tabacchi fc, ovvero tabacchi football club, ovvero tabacchi fancazzisti, ovvero un blog creato da quelli che si ritrovano la sera a giocare a calcetto nel parco tabacchi, quello spicchio di verde fra via tabacchi (appunto) e via giambologna, a Milano. Ovvero un contenitore per metterci tutto quello che ci passa per la testa...

venerdì, dicembre 30, 2011


ho degli amici fantastici, infinitamente pazienti, delle persone che mi vogliono bene, che godono della mia compagnia, che si prendono cura di me, nonostante tutto, perchè sono una brutta bestia, perchè i più mi avrebbero già mandato a quel paese, con le mie lune, i miei silenzi, le mie assenze... e invece no, stoicamente resistono, perseverano, anche adesso, a ridosso del capodanno, quando bisogna necessariamente fare qualcosa con qualcuno, quando la solitudine non è un'opzione e invece io vorrei starmene solo con i miei pensieri.
Mi ero ripromesso di essere uno "yes man", di rispondere sempre "si" a ogni cosa mi fosse stata proposta, ma è durato poco, perchè sono esausto, ho investito troppe energie nel lavoro, e ora mi sento vuoto, senza nulla da darvi. Ho la necessità di riappropriarmi del mio tempo, coltivare alcuni interessi: vorrei riprendere in mano la macchina fotografica, elaborare graficamente un'idea che cullo da mesi, carpire i segreti di photoshop, andare in piscina, diffondere il verbo, organizzare un viaggio, rivitalizzare amicizie sopite, vedere mia sorella, scrivere un post, godermi una giornata alle terme, vagabondare la notte senza meta... tutte cose che adesso mi è difficile solo immaginare.
Il vostro intento è ammirevole, i vostri inviti e insistenze mi commuovono, verrei volentieri in "vespri" per una cena caciarona senza pretese, ritornerei senza indugio in quella sala giochi che è la casa di fau, e mai mi perderei un fine settimana in valbrona a base di chiacchiere, passeggiate e attività ludiche, ma non ce la faccio, perdonatemi, ho finito la benza. y

cbxqp: havana club especial e pera - "chupito"

post scriptum:
avevo incominciato a pensare che forse aveva ragione giulia, che sono un depressone, che sono innamorato della mia tristezza, che mi piace compatirmi, e invece no, non è proprio così, sono più cazzuto di quanto pensassi, e dove non arrivo io c’è comunque qualcuno che mi viene in soccorso, e mi salva dal baratro, infatti contro ogni previsione sono uscito, ho fatto festa, ho bevuto, mangiato, scherzato, riso, giocato, esultato, cantato, pedalato, insomma mi sono divertito, fino all'alba, fin quando sfinito, ma contento, ho inforcato la bici e piano piano ho ripreso la via di casa attraverso una città silente e vuota come solo una mattina di festa ti può regalare. Grazie alle tre F., e ai loro amici, sono felice, buon 2012!

"per combattere l'infelicità dobbiamo combattere contro noi stessi"

csxqa: le luci della centrale elettrica - "stagnola"

giovedì, dicembre 22, 2011


vi ho scritto dei parchi: in realtà ce ne sono ancora altri che mi piacciono veramente un sacco. bryant park, sulla 42nd, è perfettamente incastonato fra grattacieli e vie trafficate, ci sono bancarelle, campi da ping pong liberi e attrezzati (quanto manca un posto così a milano, vero y?) e una pista di ghiaccio, dove ho potuto sfoggiare le mie notevoli doti di pattinatore compiendo svariati giri aggrappato alla balaustra. c'è il riverside park, che procedendo verso sud diventa hudson river park, entrambi davvero tranquilli, panchine, sdraio al sole, campi da basket a ridosso del fiume e splendidi tramonti sul new jersey. e infine, adagiato sulla punta sud di manhattan e vegliato a distanza dalla statua della libertà e dal toro di wall street, c'è il battery park, da dove partono tutti i traghetti (prendere il ferry per staten island in una giornata di sole è un esperienza molto piacevole, si può salutare la statua della libertà da vicino o lasciar scivolare lo sguardo sull'acqua verso il largo, fino alla sagoma imponente del ponte di verrazzano).
il negozio di giocattoli con dentro una ruota panoramica, la lunga passeggiata con milla fino al palazzo dell'onu, la guglia dell'empire state building che cambia colore ogni sera.
ho visto questa città avvolta e frantumata dalle transenne per ben quattro volte: per il columbus day, per halloween, per la maratona e per il giorno del ringraziamento. in tutti e quattro i giorni ho lavorato (facendo sempre una fatica infernale per raggiungere il negozio), ma ho fatto in tempo a vedere i fiori bianchi rossi e verdi ai piedi della statua di cristoforo colombo, migliaia di zucche e scheletri e zombi sulle case e gente con i costumi più strani, i bimbi che entrano in negozio dicendo trick or treat e se ne escono contenti con un pacchetto di biscotti, la gente sudata con ancora il numero sul petto che si rifocilla con un gelato, felice di aver migliorato il proprio primato, i palloni dalle forme più strane volteggiare per la parata del thanksgiving, e migliaia di occhi all'insù per ammirarli. ho mangiato il tacchino appena uscito dal forno, in compagnia di una curiosa babele di americani.
i bancomat dentro i negozi e le carte di credito vendute nei supermercati, i grattacieli senza il tredicesimo piano, le vecchie barche a seaport.
così, senza volerlo, una mattina mi trovavo dalle parti della 72nd e ho pensato di andare a strawberry field, la collinetta di central park dedicata a john lennon, assassinato poco lontano da lì. così, senza volerlo, ci sono capitato proprio nell'anniversario della sua morte, e quando sono arrivato c'era musica nell'aria. un sacco di persone di ogni età e colore, voci e chitarre come uniche armi, si erano ritrovate in una sorta di raduno spontaneo, per cantare e suonare le sue canzoni in suo onore. mi è tornata in mente piazza del duomo, la sera in cui è morto de andrè. non c'era tristezza nè retorica, c'era il sole, ed era bello essere lì.
i giants che danno del filo da torcere a green bay, le cattedrali gotiche sopraffatte dai grattacieli, svoltare sulla 32nd e trovarsi in corea.
il greenwich village è proprio piacevole, fra negozi di dischi introvabili, polverosi circoli di scacchi, strette vie alberate e tranquille. uno dei locali più divertenti in cui sono stato si trova proprio nel village: il fat cat è una bizzarra via di mezzo fra un pub, uno scantinato, un circolo ricreativo, una sala da concerto. c'è un ottima selezione di birre alla spina, e una volta bevuto il primo sorso puoi decidere se giocare a calcetto, sederti e cimentarti con gli scacchi oppure buttarti sul buon vecchio ping pong. ci sono un sacco di tavoli, ma sopratutto c'è un enorme quantità di palline arancioni, ovunque, che volano da una parte all'altra e ti rotolano fra i piedi e rimbalzano dappertutto, scorrazzando liberamente per il locale. tutto ciò mentre un orchestra jazz, come si conviene da queste parti, fa rimbalzare a sua volta le sue note, e il sassofono, il contrabbasso e la batteria danno il ritmo alle racchette in un'atmosfera piacevolmente caotica. se abitassimo qui sarebbe senza ombra di dubbio uno dei punti di ritrovo preferiti del tfc!
la gente in allerta a mezzanotte per il black friday, le vecchie fabbriche a long island e le vecchie case di mattoni nel queens, i chewing gum piccanti alla cannella.
gestire un negozio come responsabile, per di più molto spesso in completa solitudine, non è sempre una passeggiata, bisogna avere occhio per mille cose, tenere tutto sotto controllo, saper prevenire i problemi, coordinare le persone che lavorano con te, e insomma essere molto organizzati. un negozio piccolo e confortevole come quello di columbus facilita molto le cose, e un gruppo di colleghi privi di stress crea il clima giusto per lavorare davvero bene e ridurre al minimo la fatica. eppure mi sembra davvero incredibile essermela cavata, se penso al fatto che il mio inglese è ancora ben lungi dall'essere anche solo vagamente fluente, e soprattutto che molte cose le ho sperimentate e viste qui per la prima volta. a volte forse la cosa difficile è solo trovare qualcuno che si fidi di te.
il maine per finire la collezione, le partite a forza quattro e all'impiccato con jaz e michael, la luce intensa e abbagliante a times square.
e così siamo stati invitati ad un party newyorchese, un evento mondano organizzato da un'associazione femminista, di quelli in cui tutti sono tirati a lucido e ci tengono a fare bella figura. i woodbine falls, la band della mia amica e collega laura, si esibisce stasera, e siamo qui per il loro concerto. io e fau arriviamo alla festa dopo una giornata di cammino per la città, un sacco di chilometri nelle gambe, un po' stanchi e sudaticci, non esattamente elegantissimi (almeno io, ma non è una novità) e con gli zaini in spalla: forse non il modo migliore per presentarsi a questo tipo di party! superati i primi impacci abbiamo dribblato l'asta (da veri squattrinati), ci siamo fatti una scorpacciata di salatini e mentre la mia amica cantava abbiamo ballato con allegra spensieratezza le sue canzoni.
la panna troppo montata che diventa dell'ottimo burro, i teatri sulla broadway, i fiori saturi di inchiostro blu.
mi piacciono i ponti di questa città: l'imponente maestosità di quello di williamsburg, la snella eleganza di quello di manhattan e la solida placidità di quello di brooklyn. li ho percorsi tutti a piedi almeno una volta (ho attraversato anche il queensboro bridge, che però ha sicuramente meno fascino dei primi tre): con il rombo del traffico sulla mia testa, o con lo sferragliare della metro alle mie spalle, ho ammirato splendidi tramonti rosseggianti incendiare l'east river, la statua della libertà, il new jersey. e poi i traghetti, i parchi sul fiume, la meravigliosa e tranquilla brooklyn heights promenade, i binari sopraelevati della high line: adoro questa città perché come poche altre ti da la possibilità di far correre gli occhi, guardare l'orizzonte, abbracciarne la grandezza in un unico sguardo.
i clienti che si divertono a sentirmi pronunciare stracciatella, stand clear of the the closing doors please, gli aquiloni a prospect park.
ho mangiato un sacco di porcherie (non vi stupirete, lo so) in un sacco di posti diversi, delle etnie più disparate. burritos, empanadas, gulash, pastrami, pretzels, felafel (il mitico maoz c'è anche qui!), un sacco di texas chili, insalate diy, pickles piccanti sgranocchiati per strada, popcorn dolci, hamburger giganti con dentro uova e bacon, bicchieroni di yogurt e granola, pizze con salsa bbq e pollo fritto, roasted peanuts, gelato al butter pecan, e infine hot dog, spesso tremendi, sulle bancarelle. il premio per il ristorante più particolare però lo vince senza dubbio un piccolo posto sulla 56th. scintillanti lampadari, marmi tirati a lucido e preziosi arredi ne incorniciano l'ingresso: il parker meridien è un raffinatissimo e costosissimo hotel di lusso, e nella sua lobby si aggirano uomini d'affari e signore impellicciate. si entra un po' in timorosa punta di piedi, cercando di non stridere troppo con l'ambiente circostante. ma sarà veramente qui? non bisogna lasciarsi ingannare dalle apparenze: basta andare in fondo al salone, sollevare un pesante drappo di velluto, percorrere un piccolo tunnel ed ecco apparire il burger joint, rumorosissimo e caotico fast food: odore di patatine fitte, commesse che urlano, ogni centimetro delle pareti interamente ricoperto di scritte e rudimentali graffiti lasciati dagli avventori, solo qua e là inframmezzati da un poster dei ramones. è un posto davvero piccolissimo ma c'è la fila alla cassa, e come sia finito lì, a prendere a pugni il lusso circostante, è un vero mistero.
l'albero di natale al rockefeller center, i commessi di pax e i custodi del building, i venditori di abeti lungo la strada.
sono stato davvero fortunato: sono stati tre mesi davvero caldissimi, strascichi di fine estate a ottobre, temperature decisamente primaverili a novembre, e a dicembre il freddo vero non è ancora arrivato. ho visto questa città imbiancata dalla neve a fine ottobre, per un giorno soltanto.
e sono stato davvero fortunato perché in questa città mi sono trovato benissimo. forse è vero che arrivarci con la pappa pronta (casa, lavoro, assicurazione, bel quartiere, distanze ridotte, rimborsi, vari compagni di viaggio) cambia di molto la prospettiva, ma non importa. l'ho girata in lungo e in largo, l'ho vissuta, l'ho amata, l'ho respirata fino in fondo, ho incontrato i suoi abitanti e stretto amicizie. in tutto questo non mi ha mai fatto sentire uno straniero (pur con innegabili perduranti difficoltà linguistiche) e, lontano da tutti i clichè, mi è parsa come poche altre ospitale e accogliente. non ho mai abitato per così tanto tempo lontano dal posto che sono solito chiamare casa, e col tempo, via via che l'ho scoperta e avvolta di certezze, quando uscivo da lavoro, o prendevo la metro, o andavo a zonzo per le sue strade, ho avuto la strana sensazione di new york come di un posto familiare. si è intrecciata, questa sensazione, allo stupore di essere lì, ai wow, a quella meraviglia a bocca aperta che non mi ha mai abbandonato fino alla fine.
la copertina di the freewheelin' proprio in jones street, i st louis cardinals che vincono le world series, chiacchierare con i tuoi musicisti della metropolitana preferiti.
mi mancherà tutto questo, e tanto, ma è durato il giusto, e non poteva essere più bello. sono davvero contento di tornare a casa, con tutto questo in valigia. f

csxqp: the pogues - "fairytale of new york"

lunedì, dicembre 19, 2011


"dove sei adesso e dov'eri cinque anni fa?"

è da questa domanda, tratta dal censimento ufficiale Istat, che Caterpillar aveva dato il via al censimento dei propri ascoltatori, e fra loro, io. Caterpillar è una storica trasmissione di radio2 che mi ha fatto compagnia in tutti quegli anni che volante alla mano mi è toccato rincasare dal lavoro fra code, semafori, nebbia, lavori in corso, imbecilli, incidenti, neve e smadonnamenti. Anche se l'auto, e con se l'autoradio, mi hanno abbandonato da mesi, non ho potuto esimermi dal seguire, via podcast, le allegre discussioni, dissertazioni, boiate di Cirri & Co... e così, venuto a conoscenza dell'iniziativa, e dopo un continuo rimandare, ho deciso di partecipare anch'io, di dire la mia, e presenziare alla trasmissione, per raccontare che:

"Cinque anni fa vivevo in casa con i miei genitori, avevo un contratto a progetto ma mi sentivo libero, perchè potevo permettermi di fare e disfare, andare e tornare, prendere e lasciare senza pensieri. Oggi vivo in affitto, ho un lavoro a tempo indeterminato e sono prigioniero, vincolato da due contratti e dalla paura di osare (e lasciare ciò che così faticosamente sono riuscito a costruirmi"

credo di aver scritto qualcosa di tremendamente vero, perchè quello sono proprio io, e devo anche esser stato ispirato, perchè quando mi hanno domandato cosa avessi scritto, e aver sentito la risposta, si sono subito ricordati del mio nome... ho temuto il peggio, il doverlo raccontare in diretta, e l'incubo mi era stato esplicitato, "quando torniamo dalla pubblicità parli tu, se te la senti", ma anche in questo caso devo esser stato molto convincente, quel "vi prego no" deve aver fatto effetto, perchè alla fine non ho parlato, e tutto è filato via liscio (come lo può esser la tachicardia sul monitor).
Una volta tanto non ho lasciato perdere, non ho permesso che lo scorrere del tempo decidesse per me. Il raffreddore, il mal di gola, il freddo, la timidezza e l'imbarazzo di essere solo non mi hanno scoraggiato. Ho scritto, prenotato, preso un permesso e ho partecipato, perchè ne avevo voglia, perchè ogni lasciata è persa, perchè non si può vivere di solo lavoro. y

csxqp: caterpillar @ radio2 - "diretta del 19/12/2011, teatro elfo puccini"