tabacchi fc, ovvero tabacchi football club, ovvero tabacchi fancazzisti, ovvero un blog creato da quelli che si ritrovano la sera a giocare a calcetto nel parco tabacchi, quello spicchio di verde fra via tabacchi (appunto) e via giambologna, a Milano. Ovvero un contenitore per metterci tutto quello che ci passa per la testa...

martedì, luglio 31, 2012



il mio cellulare è pieno di graffi, ammaccature e abrasioni regalategli con generosità impietosa dall'usura e dal tempo. due piccoli pezzetti di scotch tengono su il pulsante di spegnimento e accensione. la sim al suo interno è di un gestore che non esiste più da circa dieci anni. un insetto di polvere raggrumata vive nel display, zampettando da una parte all'altra fra numeri e parole. ha tutte le rughe di un cellulare fermo alla tecnologia di parecchi anni fa, e in questo gran circo di pirotecnici smartphones che gonfiano i muscoli davanti allo specchio ha sicuramente un'aria abbastanza stupida e dimessa, modesta e ingenua, sicuramente antidiluviana.
ciò nonostante non mi va affatto di cambiarlo: ne ammiro l'affidabilità, l'immediatezza e la funzionalità. è perfettamente in grado di telefonare, mandare messaggi, dirmi che ore sono e tirarmi giù dal letto, e tanto basta perché non gli chiedo altro: per navigare, fotografare, ascoltare musica o mandare mail ho già altri dispositivi ben più efficienti, e posso tranquillamente sopravvivere senza essere costantemente connesso (già il fatto di essere perennemente raggiungibile è per me sufficente fonte di stress), senza avere costantemente a disposizione mappe, videogiochi, previsioni del tempo, filmati e social network, e senza dovermi districare fra mille app nate con lo scopo di soddisfare bisogni che in realtà non ho.
così ultimamente mi è capitato spesso di confrontare con gli altri questa mia piccola filosofia telefonica, vantare l'indistruttibile semplicità del mio vecchissimo cellulare e scoprire con sorpresa che ci sono parecchie persone che la pensano come me, in possesso anche loro con orgoglio di telefoni risalenti alla prima guerra punica.
perciò pazienza se per forza di cose è conciato un po' male, conservarlo e continuare a utilizzarlo mi pare un modo per ridurre gli sprechi complessivi di un mondo che ne ha già fin troppi da gestire. a pensarci bene è la stessa filosofia che tendo ad applicare per molte cose, fino alle scarpe e ai vestiti: ogni cicatrice di un oggetto ne racconta una storia, e mi piace farmela raccontare. gli oggetti si consumano, ma finché non si consuma del tutto il loro essere utili non riesco proprio a disfarmene. ma forse sono solo io che sono irrimediabilmente pigro e poco incline al cambiamento, anche nelle piccolissime cose, e probabilmente ognuna di queste è un'altra decisione mancata o rimandata.
sono pleistocenico, anticonsumista, funzionalista, tendo dunque a conservare ogni cosa finché non ha esaurito del tutto il compito per cui è stata creata, e vengo alla fine per questo spesso tacciato di eccessiva parsimonia o sciatteria, come se dare valore alle cose usate significasse poi non darlo a me stesso. perché buttare via qualcosa che tutto sommato funziona ancora bene?
ecco, il mio guaio è che non ho ancora capito quanto ci sia di pregio e quanto di difetto in questo mio modo di pensare. quanto di saggio e autenticamente rivoluzionario, e quanto di arretrato e nevrotico.
so che forse dovrei cominciare a propendere per l'arretratezza e la nevrosi. f

csxqp: the 101ers - "silent telephone"

domenica, luglio 29, 2012


era il 2005. era pomeriggio inoltrato. ero a casa, disteso sul letto. ero apatico, sciupato, sconfortato, affranto, deluso. avevo mia madre alle spalle. voleva sapere cosa mi succedesse. risponderle fu impossibile. troppo duro descrivere a parole il marasma che mi affliggeva l'anima. così, con gli occhi colmi di lacrime, presi un foglio, questo foglio, e scrissi queste tre frasi, il riassunto di una vita che non andava da nessuna parte.

mi ero laureato da poco più di un anno. avevo iniziato la carriera lavorativa con uno stage. poi l'annosa trafila di colloqui, incontri, agenzie interinali, telefonate, appuntamenti, ricerche su internet, contatti con amici di amici... mesi trascorsi alla ricerca di un impiego, giorni persi fra uffici anonimi e personale svogliato... mi ritrovavo con l'impossibilità di lavorare, anche gratis... e qui il rigetto per un mondo (del lavoro) che non mi offriva nulla e che tanto duramente mi respingeva... arrivai al punto di presentarmi ai colloqui e non varcare la porta d'ingresso, perché non ne avevo le forze, perché ero stufo delle loro domande idiote, perché ero sopraffatto dalla nausea... non ho mai capito il perché, e spesso me lo domando ancora, ma non riuscivo a fare breccia... mi hanno sempre detto che è la prima impressione che conta, e io, col carattere che ho, non sono mai riuscito a far emergere quelle qualità che un curriculum scolastico di tutto rispetto avrebbe dovuto far supporre... la verità è che volevo semplicemente un lavoro, uno qualsiasi, non mi importava quale, purché fosse un lavoro... la cosa peggiore forse era proprio questa, il non aver ambizioni, il non sapere cosa volevo precisamente, perché altrimenti sarebbe stato sicuramente più facile, avrei potuto investire tempo e risorse per uno scopo, un obiettivo, ma niente da fare, ero e sono così.
ma non era tutto, infatti dopo aver assaporato la piena libertà ero rientrato in casa, a vivere con i miei, i loro orari, le loro regole, le loro esigenze... fu un periodo difficile, ma senza lavoro non potevo aspirare a null'altro, e così all'insoddisfazione personale sia aggiunse anche un carico quotidiano di tanti piccoli contrasti incomprensioni frizioni... volevo vivere appieno la vita, prendermene carico, ma non potevo...
e poi, dulcis in fundo, le relazioni umane. quel periodo tanto disastrato coincise anche con un rapporto snervante, una falsa amicizia, un amore soffocato, non corrisposto, con tante aspettative disattese, un vortice di stati d'animo che mi portò ad eccessi di gioia e a incredibili stati di depressione, e che si trascinò oltre il plausibile, salvo poi concludersi con un affranto, quanto auspicato, addio.
era il 2005, un anno di sofferenze emotive, sentimentali, lavorative, familiari, personali.

ora di anni ne sono passati sette, e qualcosa è cambiato. dopo stage, co.co.co., contratti a progetto e a tempo determinato sono riuscito a guadagnarmi il tanto auspicato (dalla collettività) tempo indeterminato... è un lavoro, d'ufficio, come tanti, che mi è caduto addosso, per caso. lo faccio bene, senza pensieri, patemi, preoccupazioni, col "pilota automatico", con la speranza che prima o poi riesca a capire cosa veramente voglio fare, e intraprendere così una nuova strada, dove indirizzare le energie, dove riversare le mie doti, perché mi rendo conto che un'altra vita (lavorativa) è possibile, anche se non so esattamente dove e come. intanto un altro passo l'ho fatto andando a vivere da solo... sono uscito di casa, ho colto l'occasione, e ora vivo in un bilocale, nella zona dove volevo, dove sono cresciuto, e dove tutto sommato ho i miei amici. adesso che sono padrone del mio tempo ed ho un impiego stabile devo sistemare l'ultimo tassello, che poi dovrebbe essere quello più importante, l'amore. da allora è successo poco, perché il cuore raramente ha palpitato, e difficilmente riesce a far entrare qualcuno, ma non demordo. anche se ho costruito un muro alto e spesso covo sempre la speranza che qualche temeraria si armi di pazienza e incominci a scavare una breccia. riflettendo dovrei darmi più possibilità, ma se lo facessi non sarei io, e così continuo nella mia solita vita solitaria.

di anni ne sono passati sette, e qualcosa è cambiato, o forse non proprio. y

csxqp: pink floyd - "live @ pompeii"

lunedì, luglio 16, 2012



nasce casualmente, seme che incontra la terra, magari perché un merlo se l'è portato in giro o perché un bambino l'ha lanciato in un prato. cose semplici come l'acqua e il sole danno la giusta scintilla e inizia a germogliare, dapprima timidamente, ciuffo di verde sospeso fra cusiosità e incertezza. poi comincia a crescere pian piano, prime tenui foglie su un esile singolo fusto ancora esposto alle intemperie. ogni foglia è una piccola storia a sé e le storie col tempo diventano tante e l'esile fusto non basta più, si irrobustisce, si fa tronco, una spessa corteccia lo protegge e tutto comincia ad essere più grande, più solido. i rami si incamminano in ogni direzione, soprattutto verso l'alto, sono forti e fatti apposta per appoggiarvisi, trovare sostegno e riparo. e ancora foglie, e piccole storie, e ogni foglia che racchiude una storia conserva dentro di sè anche una sfumatura, un significato, una consapevolezza. tutte insieme catturano l'aria malsana del mondo per restituire oasi di respiro. e al momento dei frutti ci saranno altri merli, altra terra, altre foglie.
ecco, ogni profonda relazione umana è come un albero. l'amicizia è un albero. l'amore, è un albero.
e può capitare che in un giorno di bufera tiri vento forte, un'infida gelida tramontana, ma quando le radici sono forti e solide niente le può sradicare. f

csxqp: gogol bordello - "when universes collide"

mercoledì, luglio 11, 2012



a volte mi pare che il mondo, e con lui la mia vita, vada troppo veloce. ecco, per uno che non si può certo dire che abbia bruciato le tappe, o combinato molto, suona sicuramente come una frase ironica, tuttavia ho sempre più spesso l'impressione che i giorni e i mesi ultimamente abbiamo cominciato a vorticare troppo furiosamente, shakerando anche me nella loro convulsa e sfuggente freneticità. vorrei poter scendere, soffiarmi via dalle spalle un po' di ansia in eccesso, e guardarli anche solo per un attimo entrambi, mondo e vita, girare da fuori.
vorrei fare la conta delle cose buone e delle molte che ancora non mi riescono bene, salutare i vecchi amici che non vedo da troppo tempo, svoltare l'angolo di una via che non ho ancora percorso, godermi il caldo il cielo l'aria e pure il cemento, fermarmi a riflettere sulla vita e la morte, cercare (se c'è) un filo che tenga insieme e avvolga il tutto, smettere di far finta di avere gli anticorpi, mettere in fila i sogni, inventarne di nuovi, pedalare come se non ci fosse bisogno di una meta, leggere più di due pagine alla volta, capire se qualcosa s'è perso per strada, guardare un film, coltivare un pensiero, scrivere lunghe fitte pagine con la confusione che ho in testa.
fare un respiro. e risalire. f

csxqp: johnny cash - "sunday morning coming down"