tabacchi fc, ovvero tabacchi football club, ovvero tabacchi fancazzisti, ovvero un blog creato da quelli che si ritrovano la sera a giocare a calcetto nel parco tabacchi, quello spicchio di verde fra via tabacchi (appunto) e via giambologna, a Milano. Ovvero un contenitore per metterci tutto quello che ci passa per la testa...

venerdì, aprile 18, 2014



quindi, fatemi capire... ci stiamo giocando in questi giorni l'accesso alle final four (che saranno a milano, per giunta) contro il maccabi tel aviv (proprio il maccabi!) in una serie con il vantaggio del fattore campo, dopo aver disputato delle top 16 a dir poco sontuose in cui ci siamo permessi il lusso di battere, con inaspettata scioltezza, squadre ben più forti e quotate di noi, e come se tutto ciò non bastasse in campionato siamo primi in classifica con un cospicuo margine sulla seconda?
cioè, ricapitolando, se davvero non mi state prendendo in giro... dopo intere stagioni senza il benché minimo barlume di una certezza, con squadre magari volenterose e vagamente talentuose, intendiamoci, ma irrimediabilmente male assortite e del tutto ondivaghe, dove una bella azione sembrava più figlia del caso che della volontà (e infatti si contavano sulle dita di una mano nell'arco di un anno), dopo intere stagioni passate così ora possiamo contare su una circolazione di palla quasi sempre fluida, belle costruzioni di tiro, partite quasi sempre controllate e portate a casa con il carattere che compete alle grandi squadre?
no, solo per essere certo di aver inteso bene: dopo quasi vent'anni di delusioni in cui gli dei del basket si sono fatti beffe di noi in ogni modo possibile, fra retrocessioni sfiorate e titoli sfumati all'ultimo decimo di secondo, con squadre spesso in balia della propria mediocrità, capaci alla prima difficoltà soltanto di sbriciolarsi e produrre inconsulti sparacchiamenti da tre e scriteriati uno contro tutti alla sperindio, dopo tutto questo ora abbiamo finalmente un gruppo affidabile, in puro e incosciente stato di grazia, capace di sputar sangue quando serve e buttare il proprio cuore al di là degli ostacoli più insormontabili?
non vi credo. troppe partite vinte, troppo bel gioco: abbiate pazienza ma non può essere questa la mia amata olimpia, non la riconosco più. sono chiaramente vittima di una colossale allucinazione e ho bisogno che mi diate un grosso pizzicotto sul braccio.
però no, non subito, aspettate un momento. è una bella allucinazione: lasciatemela godere ancora un po'. f

csxqp: dropkick murphys - "tessie"

sabato, aprile 12, 2014



la verità è che mi sono divertito. mi sono incazzato, ho visto molte scelte sbagliate e modalità di gestione arroganti che mi hanno fatto star male, ho lottato e rivendicato, sono stato ostaggio di turni ipervariabili, ho sentito la fatica e la stanchezza infierire sulle mie braccia, schiena e gambe, sono stato sottopagato e ho imparato meno di quello che avrei voluto. ma mi sono divertito, eccome.
come al solito, pur consapevole che in qualche modo questo sia un atteggiamento fuori moda e fuori dal tempo, finisco per misurare la qualità delle esperienze dalle persone con cui le ho vissute, che ho conosciuto, con cui ne ho condiviso umori e circostanze: è stato così vero per il teatro, è valido allo stesso modo per il gelato.
perciò se penso alle mille cazzate sparate dietro il banco, agli scherzi, agli episodi che mi hanno fatto ridere, ai viaggi intercontinentali, alla battaglia sindacale, alle serate nottambule post chiusura, alla complicità dei miei compagni di fronte alle cose che non vanno, ai giochi e agli abbracci, beh non posso che ammettere di essermi divertito un sacco. e poi, ricchezza nella ricchezza, ho avuto anche la fortunata opportunità di conoscere persone di ogni tipo, da tutto il mondo, dall'asia all'africa al sudamerica, che mi hanno raccontato com'è la vita a manila, ad asmara, a colombo, o a montevideo (e ho finito per imparare modi di dire ed espressioni colorite negli idiomi più disparati: caralho, kakova kuja, chupaconcha!).
se la fine di un'esperienza ti lascia in eredità persone che puoi chiamare amici significa che è stata un'esperienza che valeva la pena di fare, e su cui non avrò mai rimpianti.
così ieri, dopo quasi cinque anni, ho dato felicemente le dimissioni: niente più coni e coppette, niente più mani ruvide e cioccolata sui gomiti, nuove avventure mi aspettano, a mia volta in un nuovo paese. sono curioso di sapere, dopo shakespeare e la stracciatella, cosa abbia in serbo per me questa mia esemplare carriera da lavoratore del nuovo millennio. f

csxqp: uochi toki - "traccia 2"

venerdì, aprile 11, 2014



la cosa che rende veramente uniche le canzoni delle luci della centrale elettrica è la sua formidabile maestria nel saper sintetizzare in poche parole, in incisivi accostamenti di significati, vastissime e profonde inquietudini altrimenti inesprimibili. aggiungerei, anche a costo di fare una generalizzazione stupida o azzardata: le inquietudini di un'intera generazione, quella sospesa fra il precariato e la tecnologia, fra la decadenza del mondo e la comunicazione 2.0 (forse già 3.0, ormai), quella che ha avuto alle spalle pochi ideali e troppa televisione, quella che ha avuto genitori molto più ricchi, materialmente e spiritualmente.
è un cantore perfetto del nostro tempo, non solo nei contenuti, ma anche nella forma: come le sue canzoni non hanno una una struttura definita o definitiva, non hanno un inizio o una fine, così, mi pare, che nemmeno le nostre inquietudini ce l'abbiano: sono incapaci di farsi concrete e sono rivolte verso qualcosa di vago, forse perché le storture del mondo si sono fatte troppo grandi e intangibili. allo stesso modo le sue canzoni non raccontano una storia se non indirettamente, attraverso una catena di immagini e suggestioni quasi ipertestuali, veloci e incalzanti come veloce e incalzante è la fruizione delle cose al giorno d'oggi. se ci si riesce a soffermare, a cliccarci sopra col pensiero, ogni immagine, ogni anello della catena, rivela una finestra spalancata su nervose speranze suburbane, immensi smarrimenti, voglie sconfinate e necessità d'infinito, raccontate, nel loro scorrere rapido e appena tratteggiato, nella loro vaga sintesi, con estrema poetica precisione.
l'accostamento, che ogni tanto viene fatto, con i cccp, mi sembra quanto mai azzeccato: nelle loro canzoni si può trovare la stessa identica ansiosa urgenza: urgenza di non si sa bene cosa, forse, ma comunque urgenza. chissà, forse gli anni ottanta e gli anni dieci, questi cazzo di anni dieci, hanno molte cose in comune.
pensavo a tutto questo mentre me ne tornavo in bici, l'altra sera, pedalando nella notte, dopo il concerto: anch'io ho una sensazione permanente di indefinita inquietudine e ansia astratta verso il mondo, di cui riesco a cogliere solo immagini sfuggenti. mi sento precario, a volte, come un pezzo di scotch appiccicato ad una chitarra. f

csxqp: le luci della centrale elettrica - "ti vendi bene"