tabacchi fc, ovvero tabacchi football club, ovvero tabacchi fancazzisti, ovvero un blog creato da quelli che si ritrovano la sera a giocare a calcetto nel parco tabacchi, quello spicchio di verde fra via tabacchi (appunto) e via giambologna, a Milano. Ovvero un contenitore per metterci tutto quello che ci passa per la testa...

mercoledì, febbraio 25, 2015



succede sempre così, con le città in cui ci si ritrova a vivere e ad abitare: ad un certo punto si ha la sensazione, forse un po' astratta ma inconfondibile, di una reciproca appartenenza. è difficile da spiegare, ma sicuramente è un qualcosa che non si può percepire attraverso l'occasionale e momentaneo mordi e fuggi di una visita turistica, sbocconcellare frettoloso che lì per lì magari sazia, ma che non consente di assaporare fino in fondo i riti, gli scorci e le debolezze di una città, di respirarne i dettagli, di sentirne scorrere l'umore e l'atmosfera, di lasciarsi incantare dai suoi racconti e dalle sue sfumature.
così dopo ivrea, milano, bologna e new york ecco che anche aachen da qualche tempo mi è entrata irrimediabilmente sottopelle. è la carta su cui sto scrivendo questo pezzo della mia storia, la sento pulsare di ricordi e situazioni, vi ci ho adattato i miei ritmi e ho imparato a coglierne il carattere, nel bene e nel male, come si fa con una vecchia amica a cui con il tempo si impara a voler bene.
tuttavia ultimamente a questa sensazione se ne è affiancata un'altra, per certi versi opposta e per certi altri complementare: si è fatta largo con forza nel marasma delle impressioni di questi ultimi mesi la consapevolezza intensa di un'orizzonte molto più ampio, la percezione cioè di essere cittadino non tanto di un luogo particolare, quanto piuttosto del mondo.
aachen è in realtà una moderna babele di lingue e speranze, dove tutte le persone che ho incontrato e conosciuto fino ad ora provengono dai più disparati altrove, e dove la comunicazione avviene attraverso un tedesco liquido, traboccante di accenti e di neologismi improvvisati, di gesti e regole grammaticali infrante, di sintassi barcollanti e parole prese in prestito. una lingua mescolata con altre, sicuramente imperfetta ma non per questo meno entusiasmante o efficace, dove è divertente ascoltare sonorità mai sentite prima o sorprendersi di fronte a etimologie inaspettate.
ho scoperto di trovarmici a mio agio, a chiacchierare con il mondo, e a portarci dentro un po' di italia. sono stato molto fortunato: è sicuramente più facile non sentirsi straniero, in un posto dove tutti sono stranieri, soprattutto quando si incontrano persone che riescono a vedere nelle differenze non un limite ma un'opportunità.
su un decrepito e abbandonato edificio doganale fra germania e belgio qualcuno ha scritto "grenze ist, wenn man daran glaubt": alla fine è davvero proprio così, un confine esiste, solo quando uno ci crede. f

csxqp: lorenzo jovanotti - ora"

sabato, febbraio 07, 2015


raramente ne avevo sentito parlare, e personalmente non avevo mai approfondito, ma alcuni nomi erano ben presenti nella mia mente, e rimandavano inevitabilmente a lei. Anche senza ricordare da dove fossero usciti, ne chi li avesse pronunciati, c'erano, e richiamavano luoghi sperduti e affascinanti, selvaggi e misteriosi, carichi di storia, una storia che ancora ignoravo. Fitz Roy, Cerro Torre, Perito Moreno per me erano solo tre toponimi, riportatimi da un programma televisivo, o pronunciati in qualche casuale discorso, e nonostante ciò ero riuscito a coglierne la grandezza, la magnificenza, quell'aurea mistica che solo alcuni ambienti sanno trasmettere.
qualcuno mi scrisse "andiamo", ma anche il solo pensarci mi sembrava folle... troppo lontano, troppo tempo, troppo estremo, troppo... e invece no, qualcosa di indefinito continuava ad attirami, mi spronava, perché la prospettiva era allettante, e continuare a rifletterci inutile, non avevo motivi per rinunciare, così ho prenotato, e per tre mesi non ci ho più pensato...
sono partito senza guide e informazioni, senza immagini e ricordi riciclati, digiuno di storie e notizie, come una pagina bianca, pronto a godermi lo spettacolo della natura, la sorpresa di avventurarmi in territori a me sconosciuti, cercando di crearmi, strada facendo, il mio personale bagaglio di conoscenze, giudizi, aneddoti, esperienze, emozioni. Volevo scoprire da solo quanto è forte il vento e buia la notte, quanto è estesa la pampa e imponenti i ghiacciai, quanto inaccessibile è la vetta e aspra la vita. Volevo regalarmi lo stupore dell'esploratore, di chi si appresta ad affrontare l'ignoto.


Patagonia significa arrivare alla frontiera, non una qualsiasi, ma quella del mondo; è un viaggio nel viaggio, disseminato di voli e coincidenze, strade e attese, fra terra e nuvole, fino al termine della strada; è un luogo di passaggio, dove nessuno sembra destinato a fermarsi, dove c'è gente che arriva e che parte, chi con un sogno chi per scappare, perché questo è stato anche un posto di fuggitivi, di furfanti, di ladri, oltre che di esploratori, e ora di turisti.
Patagonia significa piegarsi al volere della natura, adeguarsi all'ambiente, al clima, alle condizioni meteo, assecondandone il volere; è mettersi in discussione, testare i propri limiti, rendersi conto delle debolezze umane; è la terra dei sogni infranti, è la delusione di non veder soddisfatte le proprie aspettative, ma è anche la gioia della condivisione, della comunanza d'intenti, delle affinità emotive; ci si sente parte di un contesto, dove ognuno segue un’ambizione, un obiettivo, che poi non è tanto differente da quello degli altri, e questo crea una forte empatia, fratellanza.
ma la Patagonia è soprattutto una condizione dell'anima, uno stato dell'essere in cui l'influenza dell'ambiente è totalizzante; cambia la prospettiva, la percezione, le priorità, si regredisce, ci si spoglia del superfluo, si torna all'essenzialità delle cose, ai bisogni primari. La vita è camminare e mangiare, proteggersi, e poi dormire, aver freddo, esser sorpresi dalla tempesta, spazzati dal vento, bagnati fino al midollo, e poi scottati dal sole... è l’attesa di un miglioramento, uno zuccotto ricolmo di mate, due chiacchiere intorno a un fornello, senza preoccuparsi di come sarà il domani… ma è anche l’emozione dei ghiacciai, dei crepacci, delle mille sfumature di blu; è il riverbero della luce, la violenza degli elementi, la stravaganza delle nuvole; è lo stupore delle vette, della loro imponenza e verticalità, e la convivialità degli incontri, con i locali, i cani, gli alpinisti, con chi ha affrontato i propri demoni, chi ha vinto e chi ha perso.
la Patagonia è caos e armonia, pace e ferocia, è un luogo fuori dal tempo, irrequieto, ostile e accogliente, è l’essere felici senza necessariamente divertirsi.

adesso che sono tornato, che mi sono fatto la mia idea, che ho vissuto il momento, ho deciso di approfondire, di informarmi, leggere libri e resoconti, e così confrontarmi, arricchirmi, aggiungere tasselli a quello che è stato, e ritrovarmi, assaporando i ricordi.
però più ci penso, e più ne parlo, più mi convinco che la Patagonia non si dovrebbe raccontare, è un'esperienza che va sperimentata, personalmente, intimamente. Ve la auguro. y

csxqp: lykke li - “i follow rivers” (yolo remix)