tabacchi fc, ovvero tabacchi football club, ovvero tabacchi fancazzisti, ovvero un blog creato da quelli che si ritrovano la sera a giocare a calcetto nel parco tabacchi, quello spicchio di verde fra via tabacchi (appunto) e via giambologna, a Milano. Ovvero un contenitore per metterci tutto quello che ci passa per la testa...

martedì, giugno 26, 2018



callejuelas, miradores, chumberas
caminos, puentes, arcos,
toros, caracoles, naranjas:
granada, córdoba, sevilla.

amistad gitana que rebota
sobre la mesa misteriosa de la andalucìa,
el viaje una luz, y una lucha
contra el derrumbe de la noche nochera

tres ciudades, tres mujeres, tres maravillas asombrosas
tal vez cuatro
la imposible, la incomprensible, la que es todo,
la que pasa rápida como una golondrina
que sobrevola una azotea bajo las nubes,
y para siempre se desvanece.

enredan sin descanso
mi corazón desangrado,
revuelto
y reflejado en el viento.


è passato un po' in sordina, e nessuno ne ha ancora dato notizia su questo blog alla moltitudine di lettori avidi di leggere le nostre mirabolanti imprese, ma il tfc (o meglio f + y, perché jj è purtroppo ancora dato per disperso), dopo qualche anno di forzata latitanza, si è rimesso in viaggio, ancora una volta in direzione spagna e ancora una volta, ovviamente, a suo modo: zaino in spalla, ostelli della gioventù (astenetevi da facili battute, per favore), e innumerevoli chilometri a piedi, all'avventura, misurando con i passi l'anima delle città.
a granada, nei pressi della gran via, in una libreria piccola e disordinata, piena di libri accatastati alla rinfusa, ho comprato per pochi spiccioli una copia usata delle prime raccolte di poesie di garcìa lorca, animato dall'idea, anch'essa a suo modo poetica, che sia molto bello leggere un'opera o un libro nel posto in cui ha visto la luce, e da cui ha tratto ispirazione. è un'edizione discretamente vecchia, qualcuno sulla terza di copertina ha scritto "granada 1981" sotto il proprio nome, e non è nemmeno in ottime condizioni visto che molte pagine si staccano, ma mi ha fatto piacere che il viaggio fosse accompagnato dalle rime di questo poeta andaluso che di fatto conoscevo solo di fama. il mio spagnolo traballa e fa acqua da tutte le parti, perciò queste poesie le ho lette così come venivano, senza pormi l'obbligo di doverle tradurre e senza l'assillo di dover per forza capire tutto fino in fondo, ma facendomi piuttosto cullare dal ritmo, dal suono e dall'incedere suggestivo delle parole.
ho deciso di trascrivere quella che trovate qui sopra perché, come altre nella raccolta, parla delle città che abbiamo visto, e forse è l'unica che le cita tutte e tre insieme. in realtà è una di quelle poesie che il libro definisce di dubbia attribuzione, nel senso che non è chiaro se sia stata scritta proprio da garcìa lorca o da un suo omonimo, ma tant'è, la poesia, mi sembra a suo modo vicina allo spirito che ha animato il nostro girovagare in terra andalusa, e ci sono alcune delle cose che abbiamo visto, incontrato e toccato con mano.
insomma, l'ho presa forse un po' larga ma volevo dire questo: che le città straniere sono davvero delle donne seducenti che non riesci mai ad afferrare, che viaggiare è sempre pura poesia, e che farlo con un amico fidato al proprio fianco è una fortuna incredibile. f

csxqp: the pogues - "lorca's novena"

domenica, giugno 17, 2018



è da qualche settimana ormai che ho oltrepassato la fatidica e veneranda soglia dei quarant'anni. avrei voluto scrivere un bel post celebrativo, festoso e spumeggiante, per commemorare nel modo più degno questa ricorrenza così importante e cruciale, ma la verità è che non mi sembra proprio di esserci arrivato, ai quaranta (e poi quaranta mi suona ancora malissimo, segno che non l'ho ancora metabolizzata, questa soglia.)
il fatto è che me li ero sempre immaginati diversi: si suppone che uno arrivi a quarant'anni con spalle larghe e stabilità emotiva, solido, quadrato e pragmatico, pieno di certezze e capacità di affrontare le situazioni, strutturato, con un certo equilibrio interiore e una concreta idea di futuro. o almeno, così è come me li ero sempre prefigurati, sia con il (poco) senno dei vent'anni, che con quello (altrettanto limitato) dei trenta.
io invece ci arrivo incespicando e fantasticando, vago e informe, sempre sperso dietro alle nuvole, senza mai le idee chiare e con il cuore in altalena, con la consapevolezza che il mio posto nel mondo, ammesso che ci sia, sia ancora ben lontano dal farsi trovare. chissà forse lo porto bene, questo groviglio di rughe, dubbi e cicatrici, non lo so, ma non è questo il punto. quaranta mi sembrano tantissimi e allo stesso tempo così pochi, ma appunto, non me li sento ancora addosso.
così a volte mi chiedo se li ho vissuti bene, se il mio approccio verso il mondo (e il mio bilancio con esso), pur con la mia proverbiale lentezza e con tutti i difetti che mi contraddistinguono, sia in fin dei conti positivo, oppure se ho sbagliato un sacco di cose, considerato che alla fine il mondo non appartiene ai timidi, e nemmeno a quelli che riflettono troppo. insomma, uno arriva a quest'età e si fa delle domande maledettamente esistenziali, e questa ricorrenza, come tutte le cifre tonde, si porta dietro un'inevitabile strascico cogitabondo.
ovviamente non so dare una risposta precisa, e non so dire se nel mio caso alla parola quarantenne si possa affiancare l'ormai classico aggettivo "splendido". in effetti non so mai niente con certezza. so però questo: che quest'ultimo mese è stato così colmo di cose, così incredibilmente straboccante di viaggi, gite, incontri, festeggiamenti, abbracci, affetto e amici (quelli del paese, quelli della città, quelli dell'estero, in questo fantastico intersecarsi delle mie vite) che non posso non pensare che, nascosto sotto questo caos sgangherato, qualcosa di buono ci sia davvero. alla fine mi pare che l'importante sia non smettere mai di meravigliarsi della bellezza delle cose, e pazienza se il mio invecchiare non è accompagnato da quella che chiamano maturità.
perciò eccoli i miei quarant'anni, disordinati e precari, ma molto spesso ostinatamente felici. f

csxqp: caparezza - "una chiave"

sabato, giugno 02, 2018


Respiro ma è come se fossi in apnea, in questi fine settimana, interlocutori, strani, incomprensibili, in cui non faccio niente, e vorrei impegnarmi in qualcosa, o incontro qualcuno, per due chiacchiere, tre passi o un aperitivo, e invece vorrei qualcosa di diverso… è tutto così contraddittorio, ma ho la testa altrove, fissa in un sogno chiamato relazione. E' come se vivessi nell'attesa di un qualcosa che non arriva mai, desiderando costantemente quello che non posso avere. Vorrei arrendermi, sperando così che tutto si risolvi, spostando i pensieri, reindirizzandoli.
Sento la malinconia di quanto ho intravisto e mai veramente vissuto. Vorrei essere speciale, sentirmi considerato tale, ma nel freddo della solitudine mi ritrovo inutile e insoddisfatto. Rimpiango la serenità di chi ignora, o di chi si accontenta.
Perché non trovo pace? perché questo senso d'incompiutezza? perché cercare negli altri quello che dovrei trovare in me? perché chiedere cose che io stesso non posso dare? Una volta di più mi trovo inadeguato, incapace di far fronte alle aspettative, e così impossibilitato nell'essere felice. Non lo so quale sia esattamente il mio male, ma è molto profondo, e spesso insopportabile. Manca tutto, e io non so dove e cosa cercare. y

csxqp: calcutta - "pesto"