tabacchi fc, ovvero tabacchi football club, ovvero tabacchi fancazzisti, ovvero un blog creato da quelli che si ritrovano la sera a giocare a calcetto nel parco tabacchi, quello spicchio di verde fra via tabacchi (appunto) e via giambologna, a Milano. Ovvero un contenitore per metterci tutto quello che ci passa per la testa...

giovedì, settembre 03, 2020


 

ricordo che quando ero piccolo e avevo gli anni che si potevano contare sulle dita di una mano tormentavo sempre il mio bisnonno, che abitava vicino alla stazione (lui siciliano, in un paesino vicino a genova), affinché mi ci portasse, perché come molti bambini ero affascinato dai i treni. è una cosa che mi è rimasta ancora adesso: i binari, lanciati verso l'orizzonte o ingarbugliati nel pressi delle stazioni, sono un motivo ricorrente delle mie fotografie, e quando mi capita di vedere un treno passare, apparizione fugace e incongruente su un cavalcavia cittadino, mi piace fermarmi e seguirlo con lo sguardo finché scompare.
le automobili, con il loro rombare prepotente e veloce, non hanno mai esercitato su di me lo stesso fascino, e forse si potrebbe obiettare che di quel bambino mi è rimasto un po' troppo, ma sto divagando, anzi, sto uscendo dai binari.
che poi a pensarci bene il treno è un mezzo di trasporto per certi versi strano, mi pare conservi un'andatura quasi d'altri tempi, e come la bicicletta sembra essere impermeabile e imperturbabile ai cambiamenti che con fragore gli scoppiano intorno: il suo incedere farraginoso e spezzettato gli conferisce un'apparente lentezza che davvero mal si concilia con la modernità e la sua frenesia impaziente.
in quest'ultimo anno mi sono ritrovato a prenderlo molto spesso, complice il grande amore e i novanta maledetti e frustranti chilometri che si frappongono fra le nostre vite. mi era già capitato, ormai molto tempo fa, di pendolare fra una città e l'altra, di dover oscillare fra due posti con cadenza assidua e regolare, e proprio come allora ho questa stessa sensazione, ovvero che se da un lato ne farei ovviamente volentieri a meno, di dover sprecare del tempo per raggiungere le persone che amo e che vorrei invece avere sempre vicine, dall'altro devo ammettere che, al netto dei ritardi e dei treni cancellati (già, succede anche qui: le ferrovie tedesche, oltre ad essere dannatamente care, non sono poi così tanto più efficienti delle tanto vituperate ferrovie nostrane), al di là degli immancabili inconvenienti insomma, viaggiare in treno non mi dispiace per niente.
ho imparato con il tempo ad apprezzarne i piccoli riti, i dettagli, i pregi e pure  i difetti: mi rilasso ascoltando lo sferragliante rumore di fondo, che insieme al dondolio del vagone concilia decisamente il sonno (con il rischio perennemente concreto di svegliarmi ben oltre il punto in cui era previsto scendessi), mi diverto a fantasticare osservando i passeggeri e le loro traiettorie, e a vederli condensare saluti e abbracci nel respiro breve di una fermata, lascio che il mio sguardo scorra insieme al panorama lungo l'onnipresente compagnia delle rotaie e dei fili dell'alta tensione, costantemente impegnati a legare e annodare insieme cieli e tramonti. ormai non mi pesano più nemmeno né la profonda malinconia delle banchine, dove il tempo d'attesa pare sempre dilatarsi all'inverosimile, né lo snervante stillicidio delle stazioni, sgranate lungo il percorso come un rosario, ogni fermata una piccola ma ineluttabile penitenza.
ma viaggiare in treno mi piace soprattutto perché un treno in movimento mi dà l'impressione di essere un non luogo, un posto al di là del consueto scorrere delle cose, quasi una bolla sospesa: questa sensazione, unita all'attesa forzata della destinazione, mi pare fornisca un'occasione perfetta per isolarsi dal mondo, spegnere il telefono, affrancarsi una volta tanto dalla sua tirannia, abbandonarsi sul sedile e ritagliarsi, almeno per un po', un'oasi di pace nel caos: finalmente liberi da contrattempi, interruzioni e incombenze della vita quotidiana ci si può finalmente dedicare con un po' di tranquillità alle cose che normalmente vengono a malincuore sempre rimandate, come ad esempio scrivere (questo post sconclusionato nasce ovviamente così, su un regionale delle db), oppure leggere, o ascoltare musica, in un'ora e mezza in cui solo ed esclusivamente al controllore concedo la facoltà di rompermi i coglioni.
mi piace appendere i pensieri al finestrino, quei pochi sopravvissuti alle strette maglie impietose di una stanchezza cronica, e osservarli in controluce, provare a decifrarli ripensandoli attraverso il dipanarsi del paesaggio sullo sfondo, lo srotolarsi placido di colline, alberi, graffiti, nuvole, pale eoliche e periferie, come se ciò servisse a metterli in ordine o a renderli più nitidi.
poi quando manca poco alla mia fermata sono felice che il viaggio sia finito, perché lei sarà lì, e fra poco potrò riabbracciarla. f

csxqp: bill martin, phil coulter - "i gotta get the world off my back"