tabacchi fc, ovvero tabacchi football club, ovvero tabacchi fancazzisti, ovvero un blog creato da quelli che si ritrovano la sera a giocare a calcetto nel parco tabacchi, quello spicchio di verde fra via tabacchi (appunto) e via giambologna, a Milano. Ovvero un contenitore per metterci tutto quello che ci passa per la testa...

lunedì, luglio 18, 2022


Dopo dodici giorni di positività stamattina il tampone ha dato esito negativo. Ho comunque preferito rimanere a casa, un po' perché andando in ufficio sarei sicuramente arrivato tardi, un po' perché ho ancora una brutta tosse, mi sento fiacco, e con questo caldo insopportabile la voglia di pedalare semplicemente non c’è. Così dopo esser stato in farmacia, e aver ricevuto la bella notizia, ho ripreso la solita routine casalinga fatta di computer, cibo, email, telefonate, spugnetta e detersivo. Però per la serata ho altri programmi, non finirà davanti alla televisione, leggendo un libro o navigando su internet. Sono ufficialmente libero, quarantena e isolamento sono finiti. Posso uscire e godermi la vita. Per fare due passi però c’è ancora troppa afa. Potrei prendere la bicicletta, ormai il sole è basso all’orizzonte, e magari pedalando rischio anche di trovare un solitario alito di vento, che mi dia un po' di respiro. Per convincermi basta un attimo, è deciso, farò proprio così. Mi vesto, prendo chiavi e portafoglio, e scendo in cortile. L’occhio registra subito un’anomalia che il cervello non è ancora riuscito a decifrare. C’è qualcosa di strano, nella rastrelliera, ci sono troppi spazi vuoti, e non vedo la mia Atala. Sono stupito e perplesso, rimango un attimo disorientato, confuso, ci deve essere un errore, è sempre stata lì, legata all’altra mia bici da battaglia, che infatti è ancora lì, dove mi aspettavo di trovarla, incatenata al suo lucchetto. Probabilmente hanno fatto dei lavori e l’hanno spostata, o forse qualche buontempone l’ha nascosta, perché non trovo altra spiegazione. Mi guardo in giro, magari è sotto uno dei teli proteggi bici che vedo non distanti, o forse mi sono dimenticato di averla legata in un posto diverso dal solito, anche se non è mai successo. Niente, in quel piccolo spazio che è il giardino condominiale, fra i cassonetti del vetro e della carta, la mia bici non c’è. Nella mente mi balena la fievole speranza che forse l’ho portata in casa per qualche riparazione, dimenticandola lì, ma così non è, purtroppo. In camera ho tante bici ma non quella. Sono incredulo, e quella brutta parola inizia a farsi largo nella mia mente. Non lo voglio ammettere, ma potrebbero proprio avermela rubata. Erano anni che non succedeva, e ritrovarmi qui adesso a soppesarne l’eventualità mi riempie di sconforto. Però è strano, perché se effettivamente è così hanno fatto un lavoro pulito. In questi giorni non ho sentito nessun rumore strano ne movimenti particolari. Inoltre non vedo neanche i resti della catena. Più ci penso più mi sembra impossibile. Era legata con il kryptonite, il gancio ad archetto più resistente in commercio, il più rinomato e caro ma anche quello che offre più garanzie. Per spezzarlo ci vuole il flessibile, e diamine quello avrei dovuto proprio sentirlo. Cmq della bici non c’è traccia e l’amarezza inizia a prendere il sopravvento. La usavo da oltre dieci anni, l’avevo trovata vicino all’ufficio a fianco di un cestino, senza ruote, e l’avevo portata a casa avvolgendola in un lenzuolo, sfruttando il passaggio in macchina di un collega. Poi pazientemente l’avevo sistemata, trovandole nuove componenti o lucidando e lubrificando quelle esistenti. Era la bici che pedalavo tutti i giorni, quella con le geometrie più comode, e quella in cui mi ci ritrovavo maggiormente, malgrado fosse una delle più malconce. Era in acciaio, con il cambio sul tubo verticale, e dei freni da rivedere, come tutto il resto. Non aveva un grande valore economico, ma quello affettivo era enorme, nonostante i continui problemi meccanici, le disavventure, e i limiti che una bici così datata necessariamente ha. Ma tornando al presente mi sembra che oltre alla mia ne manchino altre, fra cui sono sicuro due nuove del decathlon che le erano parcheggiate vicino. Inizio a pensare che abbiano fatto un colpo mirato, arraffando sole le migliori, quelle più facilmente rivendibili. Tutti i catorci sono ancora lì, come del resto quelle abbandonate senza catena. Invece la mia non c’è, e pensare che poco prima di partire le avevo anche regalato (per cause di forza maggiore*) un passaggio dal biciclettaio, privandola così alle mie solite cure. Esteticamente si presentava in ordine, e forse è stato proprio questo ad attirare l’attenzione, o forse no, cambia poco. L’unica cosa certa è che è sparita. Ma adesso che ho metabolizzato quello che è successo devo iniziare a pensare alle questioni pratiche, del tipo: cosa userò domani? Volevo andare al lavoro in bici ma a questo punto devo ripiegare su un altro mezzo, e trovare una nuova catena. Però questi sono i pensieri di una persona che si è già arresa, che è rassegnata alla perdita, e io non sono così, voglio lottare, fare tutto il possibile per ritrovarla, per riprendermi ciò che è mio, anche se non sarà semplice. Il piano che immagino prevede innanzitutto un giro del quartiere, per capire se si è trattato di una bravata, o se abbiano avuto un ripensamento abbandonando la refurtiva qui intorno. In seconda battuta dovrò controllare i mercatini sparsi per Milano e provincia, e magari anche qualche negozio di biciclette usate, soprattutto quello che c’è sui navigli, che mi è sempre parso losco, e con mercanzia di dubbia provenienza. E poi dovrei avvisare l’amministratore di condomino, perché all’ingresso abbiamo delle telecamere, e nonostante sia convinto che non registrino nulla, un tentativo devo pur farlo. Assorto in queste riflessioni salgo le scale e incrocio un inquilino dello stabile, un ragazzo giovane. Sono tentato di chiedergli se per caso ha notato nulla in questi giorni, se ha una bici in cortile, e se c'è ancora, ma preferisco tacere. È successo, devo farmene una ragione e guardare avanti. Per l’indomani inizio a preparare un’altra bici, le gonfio le ruote, e poi con i miei buoni propositi, ma pochissime speranze, esco a piedi, con l’idea di fare un giro intorno alla casa, e controllare poi tutte le vie della zona, perché nulla rimanga intentato. Naturalmente non trovo nulla, ma dopo mezz’ora ho un’illuminazione: stamattina sono andato in farmacia, in bici, ma poi sono tornato a casa a piedi. Mistero risolto. y

clxqp: bruno claudia - "solo andata" 

*è successo che pedalando in corso buenos aires mi sia esploso il copertone, e con esso anche la camera d’aria. Vista la lontananza da casa e l’urgenza del momento mi sono affidato ad un professionista in loco che nel giro di un’ora mi ha sistemato il problema. Di norma preferisco fare tutto da solo ma devo ammettere che quei trenta euro sono stati spesi bene.

sabato, luglio 09, 2022


Fishermen’s trail and surf diary

Giorno 0 - Milano, Lisbona, Porto Covo
Appuntamento fissato in aeroporto tre ore prima della partenza, le previsioni sono di grande affollamento, e così sarà. Considerando la notte movimentata l’entusiasmo, già di per se basso, rasenta il pavimento. La mancanza di sonno, la tensione e un imprecisato malessere non agevolano la propensione alla socialità, ma farò del mio meglio. Per individuare i miei compagni di viaggio mi affido ad una foto, ma sono loro a trovarmi, o meglio, è Camilla a farsi avanti, e subito capisco che con questa ragazza ci sarà una complicità speciale. Dopo aver passato i controlli ci lanciamo in improbabili video, salvo poi cincischiare fino ai primi selfie di rito, dove riesco a dissimulare malamente una certa insofferenza. Cercando rifugio lontano dal gruppo noto la presenza al gate di Manuel Agnelli, che vorrei tanto salutare, ma che per educazione lascio ai suoi pensieri. Il destino vuole che la sera prima mi sia fissato su una vecchia canzone degli Afterhours, mai ascoltata prima, ma che adesso non riesco a togliermi dalla testa. Trovarsi lì il cantante è un segno a cui devo ancora dare significato. Sull’aereo stiamo pregustando quello che ci aspetta ma ci tocca pazientare e stare seduti un’ora in attesa di dodici fantomatiche persone disperse chissà dove. Questo porterà a un ritardo tale da farci perdere la coincidenza con il pullman. Di buono c’è che le valige arrivano tutte, ma il pranzo in città è saltato, accogliamo con rassegnazione la necessità di mangiare al volo un panino in aeroporto, dobbiamo correre, prendere la metro, cambiare e incontrarci con il nostro compagno di viaggio mancante, un frequentatore seriale di avventure, che ha uno zaino degno di uno sherpa nepalese e il sorriso di una persona navigata. Il bus è puntuale e ci lascia nel tardo pomeriggio a Porto Covo. L’aria è fresca, e per un momento lo siamo anche noi, prendiamo un grosso sospiro di sollievo, siamo arrivati, ci aspettano solo giorni di spiagge e camminate, scogliere e sorrisi, alcool e chiacchiere. Ci sistemiamo per la notte e baldanzosi ci avventuriamo sullo struscio con un certo appetito. Io ordino il polipo, e come sempre sbaglio scelta. Odio la cipolla e il piatto ne è pieno. Devo fare un’operazione certosina di selezione, cosa che non sfugge a Camilla, che subito allude, salvo poi darmi una mano a farla sparire dal piatto. Dopo cena facciamo due passi verso la spiaggia, ci sono 18 gradi, è incredibile come stamattina patissi il caldo in una Milano afosa e ora mi ritrovi con maglione e felpa su una spiaggia del Portogallo.

Giorno 1 - Porto Covo, Vila Nova de Milfontes
Primo effettivo giorno di trek, primo assaggio di quanto camminare sulla sabbia sia impegnativo e metta a dura prova i polpacci. Partiti di buon mattino, dopo una colazione che più abbondante e buona non ci si poteva aspettare, il meteo si prospetta, con mio disappunto, nuvolo. Nei giorni successivi capirò che il tempo velato è da preferire al sole pieno, soprattutto quando cammini tutto il giorno senza alcuna possibilità di riparo. Dopo 25km di un sentiero ben segnato, che segue una costa fatta di calette inaccessibili e natura incontaminata, arriviamo alla fine della tappa esausti ma felici, entusiasti di aver superato l’incognita di questo singolare percorso. Dopo l’estrazione delle camere, la doccia di rito e l’esplorazione del paese, ci abbandoniamo a due caraffe della portoghesissima Sangria, accompagnati da un sottofondo originale ma pretenzioso. Per cena ci separiamo in due tavoli mangiando in un ristorante vegetariano. Il fatto di esserci divisi ci ha permesso discorsi meno dispersivi e la possibilità di approfondire, spesso a nostro sfavore, le nostre peculiarità. Sono emerse non solo valutazioni su fiction e film, serie tv e piattaforme digitali, ma anche la contrapposizione fra capitalismo e socialismo, il sostegno accorato di visioni politiche e filosofiche, il lancio di accuse e la strenua difesa delle proprie posizioni. Poi il gruppo si è riconciliato in un bar, per completare la serata alcolica, e dare ancora fastidio ad una coppia di inglesi con cui avevamo condiviso anche la cena (per l’intero viaggio il gruppo ha dato noia a tutti, ci scusiamo per il disagio ma inquanto italiani siamo chiassosi e incapaci di comprendere l’esistenza e le esigenze altrui).

Giorno 2 - Vila Nova de Milfontes, Almograve
Dopo aver lasciato un paese che prometteva Milfones ma dal quale ho portato via solo qualche scatoletta di sardine e paté di tonno, la sorpresa della giornata, e di fine camminata, è stato l’ostello della gioventù, che nella mia testa non gode di grande apprezzamento, ma che in questo caso ha saputo riscattarsi mettendoci a disposizione sia un calcetto che il ping-pong. È stato soprattutto quest’ultimo a far brillare gli occhi, scaldare gli animi, e tirar fuori l’ego di ognuno di noi giocatori. Per quanto amatore pensavo di potermi esprimere ad un livello accettabile, sapermi difendere, e così ho fatto, anche se ho trovato un osso troppo duro da battere. Ci siamo sfidati onestamente, dando e ricevendo il massimo, quasi che vincere in quel momento fosse la cosa più importante, e alla fine idealmente ci siamo stretti la mano, ho ammesso la mia sconfitta, e mi sono ripromesso che a settembre mi impegnerò con più dedizione, magari facendo un corso così come sogno inutilmente da tanti anni. Perché rimanga negli annali aggiungo che in vantaggio 19-16 nella partita decisiva, sono riuscito a perdere ai vantaggi, stremato. Oggi c’era anche un compleanno da festeggiare, e nonostante l’interessato abbia serbato il segreto fino a cena, al ristorante si è fatta festa. Credo ci abbiano odiato un po’ tutti, siamo stati chiassosi oltre ogni ragionevole tolleranza e il vino di certo non ha aiutato. Alla fine stupidamente ci hanno lasciato anche la bottiglia di liquore alle ciliegie, e questo ha fatto degenerare la serata. Qualcuno è rientrato in stanza sui gomiti. Qualcun altro, non sazio, ha chiuso i festeggiamenti in un altro bar affogando i discorsi nel gin. Io ho preferito prendere sotto braccio Camilla, che in un precario stato di equilibrio e lucidità ha cmq avuto la forza di tornare in ostello, scortata da un gatto rossiccio a cui ho dato gli avanzi del mio bacalao ordinato (e lasciato) per cena. Per la cronaca Almograve è una rotatoria con quattro case intorno, e non ferma neanche l’autobus.

Giorno 3 - Almograve, Zambujeira do Mar
Stamattina mi sono alzato strano, dopo una notte agitata fatta di incubi. Parto con un leggero mal di gola e un’actigrip in bocca, sperando che la giornata si riveli meglio delle premesse. L’aria è fresca, come sempre, ma il percorso sarà lungo, e il sole si farà sentire sulla pelle. Abbiamo fatto la spesa ma la speranza è sempre quella di trovare un punto di ristoro, dove magari concedersi anche solo un caffè. Dopo aver girato intorno al paese, e superata la spiaggia, prendiamo la solita traccia sabbiosa, spesso a picco sull’oceano. Per un certo tratto troviamo anche terra battuta, e un percorso natura, dove la maggior parte del gruppo si cimenta in improbabili esercizi zaino in spalla, mentre io e pochi altri ci guardiamo bene dal partecipare, approfittando anzi per allungare il passo. La musica è una presenza sempre più costante di queste giornate a spasso per il Portogallo, vorrei dire che ci sia omogeneità di gusti ma sarebbe vero solo in parte. A circa metà del tragitto ci concediamo un break, per bere un caffè, una spremuta, ed esplodere qualche vescica ai piedi. Facciamo due chiacchiere con una donna polacca che vive in Italia. Sta facendo il cammino in senso inverso al nostro, è armata di tenda e sacco a pelo, zero supporto logistico ma tantissima grinta. Crede di aver passato la parte più bella e selvaggia del percorso, ma lo dice perché non sa cosa l’attende, ed io non riesco a convincerla del contrario. Questi giorni sono carichi di incontri, e quasi sempre sono connazionali, che superiamo o da cui veniamo superati, per poi ritrovarci inevitabilmente alla fine della tappa, in quei caratteristici paesini di mare fatti di una via principale e tante stradine. Ripreso il cammino si continua a parlare di musica, in piccoli gruppetti o tutti insieme appassionatamente. Io sono spesso nelle retrovie, un po’ da solo, un po’ in compagnia. Non sempre si parla, basta la presenza per farsi capire, e sentirsi vicini. A volte si ascoltano i propri pensieri, altre si canticchia, si snocciolano aneddoti o semplicemente si mette un piede davanti all’altro senza tanto pensare. Quella che oggi manca è l’ombra, non riusciamo a trovare un posto dove sederci e pranzare. Avanziamo a testa bassa, con il sole sul coppino, in una landa che non offre riparo. Alla fine ci rassegniamo, non ci sono alternative, mangeremo formaggio e paté di tonno/acciughe con il sole allo zenit. Io non ho molta fame, mi accontento di una banana e frutta secca, brutto segno. Riprendiamo quasi subito la via finché non troviamo una spiaggia che potrebbe fare al caso nostro. Purtroppo la discesa è più ostica del previsto e alla fine battiamo in ritirata. Sono ore di anarchia, in cui il gruppo è tutto sparpagliato, ognuno perso nei suoi pensieri. Dopo poco però ci ritroviamo, al termine di una salita spacca polpacci, dove un bar/ristorante ci attende per il meritato relax. Abbiamo bisogno soprattutto di ombra, ma non ci faremo mancare anche qualche bibita, e l’immancabile caffè. Siamo quasi alla fine della tappa, il sole è ancora alto e caldo, ma manca ancora qualcosa: spiaggia e bagno. Ci incamminiamo con il solito passo deciso, e dopo aver saltato più di una caletta, all’apparenza inaccessibile (anche se in una c’erano due nudiste intente a fare jogging), alla fine optiamo per quella più comoda, e anche l’ultima. Scesi i duecento gradini tocchiamo finalmente la battigia, stendiamo il telo e ci tuffiamo (tutti tranne io). Il dolore alla gola si è trasformato in un incendio e preferisco evitare. Così faccio due passi sul bagnasciuga e scambio due parole con una ragazza conosciuta lungo il percorso. Ci rivestiamo, cinque minuti e siamo all’ostello. Camilla è già in modalità ricerca ristorante, qualcuno pensa a come ci divideremo le camere, o a quanto bello sarà farsi la doccia. C’è aria di aperitivo, di soddisfazione per la giornata appena trascorsa, di gioia per quello che ci attende. Mi dispiace ma devo essere il guastafeste, perché questo mal di gola è un sintomo che rimanda a cose brutte che devo verificare, soprattutto prima di una notte in camerata. Vado in farmacia per acquistare un test rapido, esito positivo, tanti saluti, è stato bello, anche se è durato poco. y 

csxqp: afterhours - “voglio una pelle splendida”