estremamente brutale e selvaggia, ma allo stesso tempo passionale, viscerale e sanguigna, ha sempre esercitato su di me un fascino particolare, così non appena ho avuto l'età per farlo mi sono iscritto ad una squadra di aranceri, con grande orrore e disappunto dei miei, per i quali i tre giorni di città blindata e in balia di una moltitudine di bellicosi scalmanati rappresentavano, oltre che un'irrazionale barbarie, un'autentica rottura di coglioni. spinto da un amico fidato e da un'innata simpatia per i più scarsi ho tirato le mie prime arance nella squadra più giovane fra quelle che prendono parte alla battaglia: quattro gatti spelacchiati, con un'improbabile ed elettrica divisa blu e gialla e un'ammirevole dedizione per gli ultimi posti della classifica, raccolti in una delle piazze (praticamente un parcheggio) meno affascinanti della città. poi, passando dalle medie al liceo e cambiando compagnia di amici, sono finito nella squadra più antica della manifestazione, elegante divisa rossa e blu e sede nella piazza principale, squadra tanto ricca di storia quanto povera di vittorie (almeno quando ho tirato io).
così in questa elaborata metafora di una piccola rivoluzione medioevale, allegoria di una sollevazione popolare contro i soprusi della tirannia, ho combattuto diversi anni, e ogni volta ho sottoposto la mia testa a fitte gragnuole di colpi impietosi (circostanza questa che in effetti potrebbe spiegare molte cose). ricordi sparsi: il cielo letteralmente oscurato e coperto da centinaia di rotonde frecce arancioni non appena il carro svolta nella piazza, le dita intirizzite e appiccicose riscaldate con il vin brulè, l'amico con un occhio pesto accompagnato nella tenda della croce rossa, lo scalpiccìo incerto dei cavalli che si sforzano di restare immobili mentre intorno a loro infuria il finimondo, il rumore sordo e continuo delle arance che si spiaccicano ovunque, l'emozione di toccare per la prima volta il bordo del carro come gesto di grande coraggio, la sacca davanti alla pancia stracolma di proiettili e la ricarica di munizioni fra un carro e l'altro; e poi a fine battaglia, la melma che arriva letteralmente fin sopra le caviglie, ogni centimetro quadrato del corpo e del volto ricoperto di rosso sangue d'agrume, le nostre facce diventate patibolari in un trionfo splatter, abbracciare i compagni, doloranti e stremati ma sorridenti, bere altro vino caldo, atteggiarsi a eroi guerrieri per far colpo sulle ragazze, e andare in giro per la città a raccattare gli altri amici, gli altri reduci impiastricciati dalla testa ai piedi che tirano nelle altre piazze.
beh, si, è una colossale follia collettiva, questo è l'effetto che probabilmente deve fare a chi la vede da fuori, senza essere direttamente coinvolto dal senso che questa tradizione riveste per la città. per non parlare dello spreco di arance, tutte buonissime, che a tonnellate vengono lanciate e distrutte (le mura altissime di cassette che circondano le piazze, piene di arance pronte per essere scagliate contro gli avversari sui carri sono a loro volta un dettaglio che lascia a bocca aperta).
si è proprio così. ma è una follia collettiva a cui sono molto affezionato, del resto una parte di me è, e sarà sempre, indissolubilmente eporediese. ancora oggi mi capita, anche a così tanti chilometri e anni di distanza, quando qualcuno apre un'arancia nelle mie vicinanze e l'odore intenso della buccia si spande nell'aria, di essere per un attimo improvvisamente catapultato lì dalla mia mia mente e dai miei ricordi, nel bel mezzo alla battaglia.
perciò divertiti caro amico, mettiti il berretto rosso per evitare di essere bersagliato, stai attento, sii prudente, e resta dietro le reti, ma appena riesci sguscia per un attimo fuori, e tirane una anche per me. f
csxqp: jimmy cliff - "the harder they come"
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