tabacchi fc, ovvero tabacchi football club, ovvero tabacchi fancazzisti, ovvero un blog creato da quelli che si ritrovano la sera a giocare a calcetto nel parco tabacchi, quello spicchio di verde fra via tabacchi (appunto) e via giambologna, a Milano. Ovvero un contenitore per metterci tutto quello che ci passa per la testa...

venerdì, marzo 31, 2023

 


da che ho memoria in casa mia si è sempre letta la repubblica. non ricordo di aver mai visto una copia del corriere o della stampa (testate che mi capitava spesso di incrociare in giro, nei bar o casa di amici), e anche la sentinella del canavese, il localissimo quotidiano della piccola città in cui sono cresciuto, faceva la sua comparsa soltanto quando ci finivo sopra, le rare volte in cui venivano immortalate le mie (scarse) gesta sportive o scolastiche. con il passare degli anni e l'avvento dei giornali online ho sempre mantenuto questa tradizione di famiglia, e il sito della repubblica è sempre stata la mia fonte di informazione privilegiata (ovviamente accanto al televideo, che per immediatezza e colpo d'occhio resta comunque imbattibile).
devo ammettere però che negli ultimi tempi un sacco di cose della versione digitale di repubblica mi hanno stufato, primo fra tutte il fatto che nonostante una presenza massiccia di pubblicità la quasi totalità degli articoli, se non si è abbonati, è lunga appena tre righe. se poi a questo aggiungiamo il sensazionalismo gratuito e acchiappaclick, una prima pagina lunga come un campo da calcio di holly e benji, (e il calcio, per l'appunto, sempre in primo piano, come se fosse la cosa più importante del mondo), i video del tutto inutili su cose del tutto inutili, i commenti sui commenti che finiscono per mettere in secondo piano le notizie, la quantità smodata di cronaca e un'insistita strizzata d'occhio, che si sta trasformando sempre più in uno sguardo fisso, sul gossip e sul pettegolezzo (peraltro su presunti vip che nemmeno conosco più), ecco, se aggiungiamo tutto questo il risultato è che leggere la repubblica online è diventata, da un po' di tempo a questa parte, un'esperienza un po' frustrante.
un paio di fonti affidabili mi hanno indirizzato verso il post, giornale che non conoscevo per niente. ho provato a curiosare, e già al primo sguardo si vede che tira un'aria diversa, sicuramente meno dispersiva, e soprattutto più sobria: meno rumorosa ecco, come se ad essere completamente diverso non sia solo l'idea di che cosa costituisca una notizia, ma il modo stesso di raccontarla. forse gli manca un po' l'idea di aggiornamento in tempo reale, ma la prima pagina non sbrodola incessantemente, ridondando fatalmente verso un fondo senza fondo, e contiene tutto sommato poche notizie (quelle che servono, mi viene da dire), poco urlate ma molto approfondite e ben scritte. accanto agli articoli sui temi più importanti se ne possono trovare altri di costume, sport, cultura o scienza maledettamente interessanti: non ci sono i risultati della champions ma c'è spazio per la nazionale di baseball, non ci sono i resoconti dell'ultima crisi dell'influencer di turno ma tutta una serie di approfondimenti che finiscono per essere stimoli impagabili per gente curiosa, senza contare infine che la vignetta dei peanuts è un gradito e preziosissimo bonus.
così mi sono ritrovato a leggerlo molto spesso, mi sono abbonato alla newsletter di un giornalista che ho ritrovato qui e di cui ho sempre amato il modo di raccontare il mondo, e mi sono ripromesso di ascoltare qualcuno degli innumerevoli e interessanti podcast offerti: sembra una cosa da niente (e di fatto lo è), ma per uno molto legato alle tradizioni, che ha testardamente bisogno di fare le cose sempre allo stesso modo, un po' per darsi l'illusione di riuscire a controllarle meglio, un po' per il timore di non riuscire a farlo, beh per uno così è un piccolo grande cambiamento. mi piace molto l'idea di scrivere qualche post sulle nuove abitudini: l'intenzione è che questo diventi il primo capitolo di un piccolo trittico, vediamo se mi riesce di scrivere gli altri due.
post sul post dunque, e largo alle novità nel campo dell'informazione. f

csxqp: daniele silvestri - "la mia routine"

mercoledì, marzo 15, 2023


C’è stato un tempo in cui il lettore cd era il supporto più utilizzato e diffuso per l’ascolto della musica. Dimenticati i vinili, soppiantate le musicassette, e accantonate le velleità a cartuccia di qualche pionieristico produttore, il mercato si era indirizzato verso questo formato rivoluzionario in termini di fruibilità e qualità del suono. Non è durato molto, perché il lettore mp3 era già alle porte, ma è stato un oggetto simbolo per tutti gli anni 90, periodo in cui la mia vita era nel pieno dell’adolescenza.

I primi compact disc che iniziarono a circolare in casa furono i greatest hits dei Queen, volume uno e due. Li ricevetti per natale, e da lì iniziò progressivamente la smania collezionistica fatta di possesso e accumulo. Ripensandoci, a distanza di anni, mi viene da sorridere, ma in quel momento l’averne tanti, se non tutti, era un’esigenza, una necessità, tanto lo era respirare. Questa malattia fu indubbiamente agevolata e alimentata dai masterizzatori, che se da una parte ti permettevano di avere il supporto con la musica a basso costo, dall’altro ti toglievano il piacere feticistico del libretto con annessi testi e grafiche. A questa mancanza subentrava la copisteria, o l’accondiscendenza di mia madre, che in pausa pranzo si prodigava (di nascosto) in ufficio nella stampa delle copertine a colori. La musica era quindi importante ma non era tutto, l’obiettivo era completare il processo rendendo il manufatto quanto più simile all’originale, cosa che richiedeva un discreto investimento di tempo, energie e soldi. Se si desiderava un album la prassi prevedeva innanzitutto la richiesta alla propria cerchia di conoscenze. Se lo possedevano si passava alla fase di masterizzazione (in autonomia o inoltrando supplichevole richiesta a chi l’aveva). I cd vergini venivano comprati là dove costavano meno, spesso organizzando gruppi d’acquisto o informandosi presso gli amici dove i prezzi fossero migliori. In materia di qualità c’era una gerarchia ben precisa che ti poneva di fronte a due opzioni principali: spendere poco e scegliere un Verbatim (con il rischio paventato da molti che dopo qualche anno si smagnetizzasse) o acquistare un affidabile TDK, se volevi fare il signore e puntare sul meglio. Nel mezzo, all’occorrenza, c’erano Philips, Hp, Basf e Sony. C’era la possibilità di averne colorati o neutri, riscrivibili o meno. Si poteva prendere la campana e rinunciare alle custodie o comprarli singolarmente dotati di tutto il corredo. Ogni scelta aveva delle implicazioni e un costo, e da universitario squattrinato ogni spesa aveva un peso, quindi andava valutata scrupolosamente. E quando nella masterizzazione uno si bruciava, o il sistema dava errore, le imprecazioni erano inevitabili. Ma se nessuno aveva l’album che stavi cercando allora ci si doveva ingegnare nel reperirlo su internet, tramite Napster, eMule, i bitTorrent, o affidandosi alla disponibilità degli utenti dei vari forum specializzati. Qui si sarebbero andate a cercare anche le immagini delle copertine, per completare il lavoro e poter così affidare allo scaffale un altro mattoncino. Allora avere una libreria colma di cd colorati e ordinati era la cosa più appagante che si potesse desiderare, e questo giustificava il tempo e gli sbattimenti richiesti. Ma sto divagando...

A lato di tutto questo andirivieni di file, custodie, label front e retro, masterizzazioni e campane, la parte più interessante, e per certi versi appagante, della storia che coinvolge i compact disc si chiama “ultima spiaggia”. La pirateria, per quanto utile al suo scopo, non riusciva né a coprire ogni ambito artistico/sonoro né a soddisfare pienamente le mie esigenze collezionistiche. Oltre alla possibilità di fruire della musica c’era un piacere tutto perverso nell’avere l’originale, ma non solo. In quel momento di abbondanza caratterizzato da un accesso illimitato ad ogni genere di brano c’era anche la velleità di trovare nuove sonorità, talenti nascosti, chicche dimenticate. Il massimo della gioia era scovare a basso costo un album originale, di un artista sconosciuto, dalla copertina accattivante e musicalmente appagante. E proprio con questo obiettivo il libraccio era stato elevato a epicentro della ricerca. Infatti sul retro del negozio, in un angolo buio e appartato, era stato allestito uno spazio dedicato alla vendita di quei cd che per una qualche ragione nessuno voleva. Qui aveva preso corpo quella che molto ironicamente avevano chiamato "ultima spiaggia". Ed è qui che con cadenza settimanale iniziava la nostra paziente opera di esplorazione. Come novelli Indiana Jones ci avventuravamo speranzosi nel marasma di cd accatastati, senza alcun criterio, in quella che di fatto era l’ultima possibilità data ad un artista, e al suo lavoro, prima di finire al macero. Con soli due euro si poteva dare nuova vita a chi forse troppo frettolosamente era stato ingiustamente negato l’ascolto. Avevamo la curiosità e l’entusiasmo di chi si aspettava di scoprire un tesoro, e ogni volta la scelta non poteva che essere una scommessa, basata unicamente sul gusto personale o un’intuizione. Non conoscendo il cantante, e tanto meno il genere musicale, era fondamentale interpretare la copertina, e valutare la casa discografica sulla base delle esperienze passate. Per il resto mi affidavo all’istinto, a delle sensazioni, influenzate soprattutto dalla capacità attrattiva delle immagini. Il ragionamento era molto semplice: se il mio gusto e quello dell’artista trovavano un punto di incontro sulla parte visiva allora c’erano buone possibilità che questa comunanza di vedute ci fosse anche sul versante sonoro. Ma il tutto rimaneva comunque un azzardo, una partita a carte coperte, che poteva andare bene così come male. In questo senso la nostra è stata un’opera di ricerca, recupero, ascolto e valorizzazione, in cui procedere a tentativi. Una passione che ci hanno fatto disperare e gioire, portandoci a scoprire artisti che nessuno aveva mai (o quasi mai) ascoltato, e che probabilmente il grande pubblico non conoscerà mai. Ma il loro presunto insuccesso commerciale non toglie assolutamente valore alla loro bellezza, alla creatività e talento che si nascondeva dentro quelle custodie. Sono molto orgoglioso di quanto selezionato negli anni, e della collezione di album che impreziosisce la mia libreria. E ancora oggi, quando li riprendo in mano, li ascolto con piacere e interesse, restando sorpreso di come non siano riusciti ad arrivare a maggior notorietà, a platee più ampie della mia semplice cameretta.

L’ultima spiaggia non è solo un luogo fisico, è una filosofia, una passione, una missione. Sono i negozi dell’usato, i mercatini, le bancarelle, le librerie, le associazioni di beneficenza, ovunque ci siano dei cd che aspettano solo di essere riscoperti e ascoltati. Ma è anche una predisposizione dell’animo, è l’apertura all’ascolto, all’ignoto, al diverso. È la paziente ricerca, l’entusiasmo della scoperta, la curiosità per ciò che è stato destinato all’oblio. Ed è proprio per questo che nonostante il cd sia ormai un supporto superato, obsoleto, o come direbbe f desueto, noi continuiamo ad amarlo e cercarlo, con la convinzione che ci sia ancora qualcosa di inesplorato che vada riportato alla luce. y

csxqp: rob - “satyred love”