tabacchi fc, ovvero tabacchi football club, ovvero tabacchi fancazzisti, ovvero un blog creato da quelli che si ritrovano la sera a giocare a calcetto nel parco tabacchi, quello spicchio di verde fra via tabacchi (appunto) e via giambologna, a Milano. Ovvero un contenitore per metterci tutto quello che ci passa per la testa...

sabato, settembre 03, 2022


Chi mi conosce ha ben presente quello di cui andrò a parlare, ma per tutti gli altri credo che la genesi, l’aurea e le vicissitudini di questo locale vadano raccontate, perché ne rimanga la storia e non solo la leggendaria nomea.
Tutto ebbe inizio qualche anno fa, dopo uno spettacolo serale al planetario, uno di quelli destinati ad andare per le lunghe, dove c’è musica dal vivo, la gente si diverte, e nessuno vuole andare a casa. A questo bisogna aggiungere che una volta finito l’evento, e accompagnati gli ultimi ritardatari alla porta, c’è ancora da penare, fare e brigare: bisogna smontare gli strumenti, sistemare la sala, controllare i bagni, chiudere la saracinesca e restituire le chiavi alla vigilanza. Tutto questo per farvi capire che, nella malaugurata ipotesi in cui si sia deciso di saltare la cena, prima della mezzanotte non si riuscirà a mettere le gambe sotto alcun tavolo, e tantomeno vedere del cibo, considerando che a quell’ora le cucine dei ristoranti sono chiuse. 
Quella sera, inizialmente, non fu diversa dalle altre, e così, dopo tanto faticare, con i brontolii nello stomaco, ci trovammo di fronte al solito dilemma: che fare? Accontentarsi di birra e panino in qualche baracchino lungo la strada, rincasare con la fame sperando di trovare qualcosa nel frigorifero, o lanciarsi all’avventura carichi di aspettative in cerca di un posto che non avremmo trovato mai? Per una volta non successe nulla di tutto questo, perché un membro della band, avvezzo alle ore piccole, tirò fuori dal cilindro una proposta originale e bizzarra: andare in un locale di sua conoscenza ricavato all’interno di un distributore dell’Agip. Palesemente non voleva approfondire troppo, e all’inizio decise di non raccontarcela tutta, perché in noi già vedeva il dubbio, gli occhi strabuzzati e le facce perplesse di chi pensa che fidandosi farà una cazzata. Sosteneva esserci un ristorante, brasiliano, aperto tutta notte, che meritava, nonostante il contesto singolare. Ma ad ogni particolare che aggiungeva ci convinceva sempre meno. Rimanemmo indecisi, titubanti, perché in tutto questo c’era anche da considerare lo sbattimento del tragitto. Si parlava di andare dall’altra parte di Milano, zona gallaratese, al margine ovest della città. Vedendo i nostri tentennamenti ci chiese fiducia, disse di seguirlo, che saremmo stati ripagati, avremmo mangiato bene, e probabilmente ci saremmo anche divertiti. La proposta era allettante, anche se insolita, e alla fine la conferma che ci fosse del cibo ci convinse. Così organizzammo le macchine e via, senza veramente credere che saremmo finiti in una stazione di servizio. Pensavamo che in uno slancio di entusiasmo avesse esagerato, usando una descrizione colorita, forzatamente eccessiva, e che arrivati lì avremmo trovato un locale normale, magari non lontano dalle pompe. Ma ci sbagliavamo, era tutto vero. Parcheggiamo all’interno della piazzola, e superate le colonnine per il rifornimento entrammo in quello che una volta era lo shop del distributore. Fu una serata memorabile, che mi lasciò entusiasta e stupefatto, sorpreso e sorridente. Scoprii l’amore per la caipirinha, rigorosamente al mango, per la picanha e la manioca. Fui rapito dal viavai di clienti, dalla genuinità e autenticità dei gestori, e dal contesto irreale, che mi fece sentire spaesato e straniero nella mia stessa città. 


Da allora c’ho portato tutti, amici e colleghi, parenti e conoscenti, ma non ho disdegnato neanche le visite in solitaria. Ne ho parlato a chiunque, l’ho promosso e sponsorizzato in ogni ambito e occasione, anche al mio capo, sperando di potervi organizzare una pausa pranzo. È diventato la mia valvola di sfogo nelle brutte giornate lavorative, e pensiero ricorrente quando, nelle lunghe serate estive, la sete mi assale. Durante la pandemia vi ho festeggiato il compleanno, ed è meta di pellegrinaggio ogni volta che mi voglio regalare una bella uscita in compagnia. 
Si è rivelato un posto unico, non solo perché ritagliato all’interno di un benzinaio, e neanche per l’ottimo cibo e la caipirinha, ma soprattutto per le persone che lo animano, siano loro i gestori o i clienti. È un piccolo mondo fatto di brasiliani, di famiglie, ma anche viados e prostitute. Puoi trovarci ex calciatori, sportivi in attività e modelle, ma anche forze dell’ordine, vigilantes, sbandati e gente losca. Qui trova rifugio il popolo della notte, chi oltre una certa ora deve assecondare la fame chimica, ma anche chi soffre d’insonnia, o chi per lavoro fa orari strani. Ci sono quelli che entrano solo per un caffè, per una botta di caffeina che li tenga svegli, e chi invece ha ancora voglia di un’ultima birra prima di rincasare. È uno spettacolo, vai per mangiare e ti ritrovi su un palcoscenico, dove puoi scegliere se calcare la scena o restare spettatore. 
E così per un certo periodo sono diventato uno di casa, un habitué, qualcuno che veniva identificato come cliente abituale a cui si poteva dare confidenza, con cui condividere qualche esperienza, raccontare la propria vita, e le vicissitudini che li avevano portati fin qui. Unendo i pezzi ne è uscito uno spaccato di questa famiglia allargata, fatta di un fratello e una sorella, un socio e tanti parenti, che negli anni si sono aggiunti, mano a mano che l’attività prendeva piede. Lei di giorno lavora facendo le pulizie, mentre la notte aiuta il fratello ai tavoli, dopo che in Brasile avevano dovuto lasciare un’attività analoga. Mi hanno raccontato come nel sud America sia normale aprire ristoranti in luoghi come questo, e come loro ci avessero già tentato, prima di provare l’avventura in Italia. Anni di sacrifici, che alla fine hanno pagato. Ormai il locale è avviato, le voci girano e sempre più clienti attendono in fila di potersi sedere. Ci sono tanti brasiliani, autentici, legati al loro paese, che qui si ritrovano per sentirsi un po’ a casa, e tanti italiani, che per una qualche ragione qui si sentono appagati, benvenuti e accolti.
Ultimamente le cose sono un po’ cambiate, i soci si sono divisi, il locale ha cambiato nome e uno nuovo, più tradizionale, è stato aperto nella via parallela. Nell’aria c’è maretta, non si devono esser lasciati bene, e da quello che ho visto e letto ci sono stati diversi screzi, ripicche e dispetti. Io sono rimasto fedele ai fratelli, anche se il fascino esotico del benzinaio ha ancora una grande forza attrattiva. Continuo a frequentare entrambi i locali, di uno mi piace l’atmosfera e la caipirinha, dell’altro il cibo, i gestori e la loro smania per l’ordine e la pulizia.

Adesso che ho fatto le presentazioni, e sapete tutto, o quasi, non vi rimane che prendere coraggio e provare… chi viene al tropical tchê? y

csxqp: tom jobim e elis regina - "águas de março"