tabacchi fc, ovvero tabacchi football club, ovvero tabacchi fancazzisti, ovvero un blog creato da quelli che si ritrovano la sera a giocare a calcetto nel parco tabacchi, quello spicchio di verde fra via tabacchi (appunto) e via giambologna, a Milano. Ovvero un contenitore per metterci tutto quello che ci passa per la testa...

giovedì, febbraio 08, 2024

 


devo ammettere che il mio rapporto con la tecnologia, già di per sé molto tormentato, è diventato negli ultimi tempi, se possibile, ancora più turbolento.
più passano gli anni, per esempio, e più mi costa un'enorme e per certi versi inspiegabile fatica avere a che fare con una moltitudine di account , visto che ormai non si può fare davvero più un passo senza essere costretti ad aprirne uno da qualche parte, e dovermi destreggiare nel diabolico marasma delle credenziali d'accesso. insomma trovo sempre più stressante dovermi ricordare  username e password, inserirli, inserirli nuovamente perché quelli che ho inserito non sono corretti, dover aggiornare la password perché mancano una cifra una maiuscola e un carattere speciale, attendere e inserire il codice a sei cifre che mi arriva via sms, inquadrare un qr code di conferma che rimanda a una pagina dove posso inserire il pin generato attraverso la chiave crittografica già in mio possesso, rispondere correttamente alla domanda di controllo (oddio, qual era il nome del cane di mia nonna quand'era nubile? e loro come diavolo fanno a saperlo? gliel'ho davvero detto io?), e infine cliccare con mano tremante e timorosa di vanificare tutto con un ultimo fatale errore le immagini che contengono un semaforo, chiedendomi sempre con angoscia se il palo che lo sorregge ne faccia parte e vada cliccato oppure no, e insomma tutto questo inutile stress poi solo per poter accedere alla tessera a punti della panetteria sotto casa. mi presto ad ognuno di questi faticosi passaggi con un odio crescente misto ad un rassegnato avvilimento, trovo macchinosa e snervante tutta questa supposta sicurezza informatica, e non riesco proprio a non essere maledettamente sospettoso: non autorizzo mai un bel niente e fuggo sgusciando come un pesce a cookies, tracciamenti e tentativi di profilazione.
come se non bastasse i miei due fidati computer, 20 e 12 anni (come crescono in fretta), stanno lentamente oltrepassando la sottile linea che li separa dall'obsolescenza (ok, d'accordo, ve lo concedo, sono due vetusti catorci e quella soglia l'hanno oltrepassata già da un bel pezzo), sono ostinatamente impermeabili a qualsiasi possibilità di aggiornamento, e proprio come me non riescono più a stare al passo con i tempi. così quello che mi scoccia non è doverne comprare uno nuovo, quanto essere già consapevole che con uno nuovo non potrò fare le cose che ero abituato a fare con quello vecchio, e so già che predicherò e smadonnerò senza ritegno perché non dico i floppy, ma almeno i cd uno li vorrebbe pure poter ascoltare, magari salvarsi gli mp3 da mettere nel proprio ipod, e fare delle compilation alla propria fidanzata, chissà poi se le chiavette usb sono ancora compatibili, e insomma quello che in realtà davvero mi infastidisce è prendere coscienza che il mondo è andato avanti senza aspettarmi (e meno male, visto che a pensarci bene sono rimasto fermo), visto che i miei bisogni e i miei comportamenti tecnologici non hanno subito alcuna evoluzione negli ultimi due decenni, per pigrizia e incapacità di adattamento, e la scusa che non sono un nativo digitale proprio non regge. lo ammetto, merito lo scherno e il pubblico ludibrio proprio come uno che si ostinasse a voler usare i floppy disc.
ecco, non so come sia successo, ero un giovane smanettone, e con il tempo sono diventato solo un vecchio brontolone, e invece mi sarebbe piaciuto essere un vecchio smanettone, e mi fa incazzare essere sempre più sofferente e insofferente, e vedere difficoltà insormontabili dove in realtà ci sono solo opportunità che potrebbero di gran lunga facilitarmi la vita.
ma al di là di queste considerazioni, peraltro non nuove e riproposte ciclicamente su queste pagine, ciò che mi ultimamente mi infastidisce di più è essermi accorto con orrore di avere il malsano impulso di prendere in mano il cellulare per riempire qualsiasi interstizio di esistenza che implichi inattività o attesa. quando mi siedo per pochi minuti sul divano, quando sono in fila in panetteria (con tutta la fatica che ci è voluta per aprire l'account e fare la tessera), quando sono al ristorante e chi è con me va in bagno, perfino quando io stesso sono in bagno e sto pisciando, beh ogni volta ho la tremenda abitudine di tirare fuori di tasca il cellulare, approfittare senza opporre resistenza della perenne disponibilità del suo schermo e della sua connessione, e arrendermi inconsapevole alla sua offerta di facile distrazione dal mondo e dai pensieri, come se l'incombere di quei pochi minuti di possibile noia o pensiero attivo fossero qualcosa di terribilmente insopportabile, da temere ed evitare ad ogni costo.
pure quando al lavoro sono in pausa pranzo e non ho colleghi sotto mano con cui scambiare due chiacchiere, cosa che capita spesso visto che ho orari un po' diversi dagli altri, ecco che salta fuori il telefono, che invade con la sua pervasiva e subdola impertinenza un momento in cui potrei essere più presente a me stesso e fare altre cose, non da ultimo godermi con consapevolezza quello che sto mangiando. che poi, va detto, la maggior parte del tempo che ho in mano il cellulare o gioco a scacchi o guardo le notizie sull'app del televideo (a proposito di bisogni tecnologici rimasti al palo), che sono tutto sommato due attività per nulla riprovevoli, allenare il cervello con un nobile e appassionante gioco e tenersi aggiornato sulle notizie del giorno sono cose sane e giuste, tuttavia quello che mi spaventa è rilevare l'automatica naturalezza del gesto: sto un attimo fermo ed ecco che accendo il cellulare. un capitolo a parte poi merita instagram: da un po' di tempo a questa parte mi capita ogni tanto di sorprendermi a scorrere senza sosta e senza opporre resistenza contenuti che non ho chiesto io di vedere, ma che sono dannatamente appiccicosi e finiscono per tenermi invischiato molto più del necessario: un piccolo gesto verso l'alto del pollice diventa mio malgrado meccanico e inconscio, e si trasforma in una lenta discesa nelle sabbie mobili, un perverso meccanismo che mi fa sentire una mosca in trappola, e quando alla fine con uno strattone del pensiero riesco a liberarmi dalla presa tutta la faccenda mi fa incazzare come non mai, e finisco ogni volta per darmi del cretino per aver sprecato quantità considerevoli di minuti preziosi.
ultimamente mi sono avvicinato, anche se con circospezione e molto tangenzialmente, al mondo, alle storie e alle idee che stanno dietro la pratica della meditazione, e il concetto chiave di consapevolezza mi ha in qualche modo risuonato dentro. così forse la soluzione è fare tesoro di queste idee e provare, nei momenti di inattività e non solo, a riordinare i pensieri, riallinearli al mondo che mi circonda, osservarlo, ascoltare il respiro, guardarmi intorno, sentirmi parte del tutto, essere immerso nel presente e nelle sue sensazioni, senza sentire l'impulso di fuggire o isolarmi in un posticcio e inutile altrove. e fare questo, probabilmente, implica, e presuppone, anche avere più leggerezza e un approccio più rilassato nei confronti delle cose, compresa la tecnologia. f

csxqp: will varley  - "is anyone out there?"

sabato, febbraio 03, 2024


Breve post per affermare l’importanza delle piccole cose, dei legami affettivi, dei ricordi intimi, e condividere un qualcosa di cui rischiavo di perdere memoria, che mia sorella ha fatto riemergere dal nostro passato, e che prontamente mi sono apprestato a far rivivere, in attesa che il suo ritorno permetta di riappropriarci di questo momento, insieme. Parlo di un ricordo degli anni ’90, fatto di rarissime domeniche al ristorante cinese, a pranzo, quando arrivati al dolce si scorreva il menù, e dopo diverse esperienze fatte di scelte azzardate, come la banana o il gelato fritto, l’accortezza ci spingeva ad ordinare quelle che erano fantasiosamente chiamate “more cinesi”, Yen Men nella loro lingua, e che solo adesso, a distanza di oltre due decenni, ho scoperto essere i corbezzoli, ovvero un frutto tutt’ora ignoto ai più e di cui io ancora non conosco origine e provenienza.
Al ristorante (cinese) avevamo scoperto che questa bacca carnosa, immersa in uno sciroppo amaranto dolcissimo, era la prelibatezza di cui non sapevamo di avere bisogno. Ordinate le due canoniche porzioni, aspettavamo con gioia di verificarne la quantità presente in ciascuna ciotola, per poi esultare nell’eventualità ne avessimo ricevute in dono una in più rispetto all’altro. Era un siparietto ricorrente, giocoso e infantile, fonte di sberleffi, balletti, finti pianti e promesse di vendetta. Ci divertivamo con poco, in fondo eravamo bambini, io forse un po' meno vista la differenza d’età, ma fare il cretinetti non è mai stato un problema, almeno per me!
Qualche settimana fa, mangiando dei lychees, che sono un altro frutto asiatico, mia sorella mi ha ricordato le more cinesi, e le scenette a cui davano adito. Così, un po' perché mi piacciono, un po' per crogiolarmi nei ricordi, e fare invidia a lei, che in montagna non le può trovare, sono stato in paolo sarpi, la china town di Milano, per acquistarle. In passato trovarle fra gli scaffali dei mini market non era stato complicato, ma qualcosa che ignoro deve essere successo, perché questa volta ho dovuto girare parecchio per comprarne qualche barattolo. In verità uno poteva anche bastare, ma visto che non sono così egoista e malvagio, ne ho preso qualcuno in più, per poterglielo regalare, soprattutto adesso, che è in programma il suo ritorno in città, dopo oltre due anni di assenza.

Rievocare questo episodio della nostra infanzia, apparentemente sciocco e insignificante, mi permette di ricordare quanto sia stupendo e importante avere una sorella / fratello, avere vicino qualcuno con cui sei cresciuto, che ti conosce profondamente, e su cui fare affidamento. Quanto la complicità, il sostegno e la condivisione derivanti da questo rapporto, che non è solo di sangue, possano costituire nella vita solide fondamenta e certezze. Mi auguro che questa convinzione resisti negli anni e che quello che siamo stati fino ad oggi lo si possa essere anche nel nostro futuro.

Ciao squinqui, anche se siamo lontani, se non ci sentiamo spesso, e non ce lo diciamo mai, ti voglio bene. uki

csxqp: coma cose - “mancarsi”