tabacchi fc, ovvero tabacchi football club, ovvero tabacchi fancazzisti, ovvero un blog creato da quelli che si ritrovano la sera a giocare a calcetto nel parco tabacchi, quello spicchio di verde fra via tabacchi (appunto) e via giambologna, a Milano. Ovvero un contenitore per metterci tutto quello che ci passa per la testa...

domenica, settembre 21, 2025


Ho sempre vissuto luglio come il mese dei morti, il periodo dell'anno in cui per motivi inesplicabili inforco la bicicletta e vado a rendere omaggio ai defunti. Di norma tutti pensano che il momento più affine sia novembre, per via della festività loro dedicata, e del fatto che le giornate brevi, buie e spesso piovose, con gli alberi spogli e il freddo pungente, siano le condizioni più adatte per entrare in contatto col mondo di chi non c'è più, e forse avvicinarsi, con tristezza, a quello stato di non vita che si immagina gelido e tenebroso. Per me invece è diverso, io vado quanto la natura è rigogliosa, il caldo è insopportabile e le giornate sono terse. Di prassi ci arrivo con il sole allo zenit, sfinito, dopo una pedalata senza meta nei dintorni dell'interland. Perché luglio è il mese che mi sprona a lasciare la città, a spingermi fuori, oltre, nelle campagne, seguendo strade e sentieri ignoti, guidato dall'istinto, dalla voglia di esplorare, evadere, per poi ritrovarmi al sicuro su google maps. Ma non divaghiamo. Tornando da queste fughe estemporanee, seguendo la direzione nord / ovest, ho sempre l'opportunità di passare davanti al "maggiore", il cimitero dei milanesi. Qui sono sepolti i miei nonni, e sono loro che vado a salutare, come quando tornando dall'università bussavo alla finestra del loro appartamento, posto al pian terreno di un'anonima traversa di via giambellino, e spingendomi sui pedali facevo un ciao con la mano. Così era allora e così è, in un certo qual modo, adesso.

Quest'anno però è andata diversamente. Essendo stato così travagliato, e avendomi privato della bicicletta, mi ha impedito di rispettare la tradizione, e mio malgrado ho dovuto rimandare. Ho atteso di avere le energie fisiche e mentali, di sentirmi finalmente bene, per affrontare questa sorta di pellegrinaggio. Quel giorno è arrivato il primo sabato di settembre. Non potendo utilizzare il mio mezzo d'elezione, perché sedermi sul sellino è ancora un miraggio, ho sfruttato la metro, la rossa, fino a Q8, per poi perdermi in un mare di stradine che alla fine mi hanno condotto ad uno degli ingressi laterali del cimitero. Ovviamente avevo scelto la giornata più calda, e naturalmente l'orario era quello a ridosso del pranzo, con il sole a picco sulla testa. Ciò nonostante ero convinto, deciso, perché avevo una missione da compiere. C'era un motivo ulteriore a spingermi con forza, che andava oltre il momento di raccoglimento che mi aspettava davanti alla stele. L'anno prima avevo notato che il crocifisso, regalo che avevo portato a mia nonna da Gerusalemme, e che avevo ancorato fra i fiori di plastica, era sparito. Il primo pensiero era stato che qualcuno l'avesse rubato. Poi mi ero detto che forse era caduto e così si fosse perso. Alla fine mi ero convinto che qualunque fosse stato il suo destino il mio augurio era che fosse in mano a qualcuno, che gli fosse servito o gli servisse ancora, sia che l'avesse preso con dolo o semplicemente raccolto. Da qui la volontà di portarne uno nuovo, ma non uno qualsiasi, bensì uno altrettanto carico di storia e spiritualità. A volte si può affermare che nulla succede per caso, e negli eventi si può leggere un disegno divino, e così è stato. L’occasione si è manifestata subito quest'estate, quando ho avuto l'opportunità di acquistarne uno simile, sempre proveniente da una terra santa, in questo caso agli ortodossi. L'ho trovato nel monastero di Iviron, sul monte Athos, e gelosamente l'ho conservato fino a quel giorno, quando con cura l'ho riposto lì dove uno era sempre stato, a testimoniare la grande fede di mia nonna, ed il mio amore per lei. In altri anni, dopo un pianto liberatorio, qui si sarebbe chiusa la giornata, avrei ripreso la bicicletta e arrancando mi sarei trascinato a casa, per una doccia e un pranzo ristoratore. Ma quest'anno no, in agenda c’era una seconda tappa, un'altra cara persona a cui rendere omaggio, un'altra nonna che avevo avuto nel cuore negli ultimi tempi, e che purtroppo alla fine ci aveva lasciato. Fin dal mattino avevo chiaro in testa l’obiettivo della giornata, e nonostante abbia più volte titubato, ho ripreso la metro, e dal capolinea di Molino Dorino mi sono spinto a quello opposto di Sesto. 
Sceso alla fermata Merelli ho fatto gli ultimi chilometri a piedi, come se l’arrivo dovesse includere un tributo di penitenza e riflessione. Conoscevo la zona, per quasi un anno ero stato di casa, e non mi è stato difficile ritrovarmi e incamminarmi verso quello che qui chiamano “nuovo cimitero”. Avevo un'idea di dove dirigermi, ma il timore di non trovarla era grande. Invece dopo i primi passi incerti, fra una distesa di croci, ho accelerato, e quasi correndo, tanto era l'urgenza, sono giunto li dove è sepolta Anna, con suo marito. Ho risposto alla richiesta d'aiuto di una signora, che non riusciva a spostare una scala, e poi mi sono messo in raccoglimento. Il dolore della perdita era troppo recente per non commuovermi, e così ho fatto, come già era successo qualche ora prima. Ho portato una preghiera anche al figlio, e alla nuora, sempre sepolti lì, e con l'animo leggero mi sono rimesso sulla via del ritorno, felice di aver fatto ciò che da molti mesi mi riproponevo.

Provato ma sollevato, triste ma fiero. Ho mantenuto la promessa. y

csxqp: system of a down - “lonely day”

sabato, settembre 20, 2025

 


da qualche giorno a questa parte accade che il mio tragitto per andare a lavoro sia sincronizzato perfettamente con il sorgere del sole su questo campo. tutte le volte che passo di lì inchiodo (ci arrivo alla fine di una lunga discesa a rotta di collo, in cui prego sempre che il mio catorcio non scelga proprio quel momento per abbandonarmi, sfaldandosi in mille pezzi) e mi godo per un istante quel liquido abbraccio di serenità arancione. non passa quasi mai nessuno su quella strada, e a farmi compagnia in quell'attimo di incanto c'è solo qualche cavallo mattiniero che bruca l'erba nel campo alle mie spalle. vorrei non farlo, perché in qualche modo mi sembra un brutto vizio, ma tutte le volte inevitabilmente sento il bisogno di scattare una foto, quasi come se imprimere tutta quella meraviglia soltanto nella mia memoria non fosse sufficiente a renderla vera.
comunque sia non mi servono certo le foto per accorgermi che ogni volta non è mai uguale alla precedente: un giorno quella prima luce è una carezza calda e avvolgente, di una bellezza assoluta, prepotente e primitiva, e un altro deve sgusciare caparbiamente fra le nuvole, e aprirsi un varco per fare capolino e rivelarsi. un altro giorno gioca con gli aerei a tracciare righe arancioni sul foglio azzurro del cielo, e un altro ancora i vapori della rugiada avvolgono in una sospensione irreale ogni cosa, il sole, la luce, il campo, la strada, me e i cavalli, sfumati come in un sogno.
ho pensato che vorrei saperlo fare sempre, e non soltanto all'alba: soffermarmi e godermi le differenze delle mie giornate, anche solo per un istante, saperne riconoscere i dettagli, rendermi consapevole delle piccole cose che le rendono uniche, assaporare il cibo, le parole, i colori o le sensazioni, anzi di più, quando è possibile, cercare di proposito di fare ogni giorno qualcosa di diverso. non è facile, e lo annoto qui come buona intenzione, per non dimenticarlo.
ho pensato che potrebbe essere un buon modo per fregare il tempo, che spietato e imperturbabile tritura ogni cosa e galoppa ostinato verso l'orizzonte come un assassino in fuga. f

csxqp: the clash - "jimmy jazz"