tabacchi fc, ovvero tabacchi football club, ovvero tabacchi fancazzisti, ovvero un blog creato da quelli che si ritrovano la sera a giocare a calcetto nel parco tabacchi, quello spicchio di verde fra via tabacchi (appunto) e via giambologna, a Milano. Ovvero un contenitore per metterci tutto quello che ci passa per la testa...

lunedì, ottobre 27, 2008




ancora adesso le rare volte che mi imbatto nel loro primo cd, in qualche negozio di dischi usati, ho un tuffo al cuore: sento l'insopprimibile bisogno di tirarlo fuori dallo scaffale per ammirarlo, e tenendolo per un angolo con la punta dell'indice e del pollice, continuo a soffiarci sopra per non scottarmi. perchè inflammable material è semplicemente un album che brucia, e non solo per via delle fiamme che affollano la copertina. brucia di rabbia, idealismo e passione. queste canzoni sono qualcosa che mi è entrato sotto pelle e mi scorre nel sangue: saranno le chitarre crude e corrosive, saranno i testi così meravigliosamente duri e diretti, sarà la voce rauca e ringhiosa di jake burns. sarà che le inquietudini della belfast di trent'anni fa assediata dalla guerra civile non sono in fondo molto dissimili da quelle che si possono respirare in italia oggi. il loro secondo album è sufficente per consacrarli nella leggenda, il terzo contiene pezzi memorab... ok, va bene, la smetto con l'enfasi, tanto ormai l'avrete capito, gli stiff little fingers sono uno dei miei gruppi preferiti in assoluto: mercoledì scorso non potevo dunque assolutamente perdermi il loro concerto, anche perchè vederli lontano dal regno unito è davvero un evento raro. l'impatto però non è dei più promettenti: il concerto inizia alle nove, e alle nove, in un musicdrome desolato, ci sono solo una decina di persone, me e rob compresi. ma la gente arriva, un pò per volta, e nel tempo in cui il mediocre gruppo spalla fa del suo meglio per riscaldare l'atmosfera (mentre noi dal canto nostro proviamo a ottenere lo stesso effetto con un paio di birre) all'improvviso ci giriamo e come per magia... il musicdrome è ancora desolato. vabbè, ci saranno circa duecento persone, ma non è importante, del resto è un concerto per intenditori. finalmente gli slf salgono sul palco: sono quattro signori di mezza età (beh, il gruppo ha trent'anni ormai), chi un pò imbiancato chi un pò ingrassato, ma l'energia è rimasta la stessa e l'avvio è al fulmicotone: wasted life, nodody's hero e roots radicals rock and reggae sono tre delle mie canzoni preferite, e hanno lo stesso intenso furore degli esordi. temevo molto due cose: che dal vivo non fossero più all'altezza della situazione, e che la scaletta del concerto si incentrasse troppo sugli ultimi, pur pregevoli, dischi. invece no, felice di essere stato smentito: il concerto di mercoledì scorso è stato quanto di meglio potessi sperare: loro in una forma perfetta e tutti i pezzi che avrei voluto ascoltare. fade away, piccadilly circus, una bellissima it doesn't make it alright così intensamente reggae, clash city rockers dedicata a joe strummer, silver lining, barbed wire love, at the edge, fino al gran finale con la devastante suspect device (in cui non resisto e mi lancio nel pogo), la trascinante tin soldier, e infine alternative ulster, il pezzo che chiude sempre i loro concerti, con quell'introduzione che chissà perchè mi piace così tanto e mi fa sempre venire i brividi.
ecco, il punto è questo: a volte mi chiedo perchè. mi sono sempre interrogato, senza una vera risposta, su cosa guidi i miei gusti e le mie scelte, in musica come in tutto il resto. se sia questione di predisposizione, di formazione, di puro e semplice caso, oppure di tutti questi elementi mischiati insieme. voglio dire: perché gli slf e non beethoven, o miles davis, o i pink floyd? è un tema davvero affascinante. mi piace pensare che sia tutta una questione di folgorazioni: uno se ne sta lì tranquillo e zzap! passa una scarica e si accende qualcosa.
mi viene in mente questa "piccola teoria della folgorazione": "ho sempre rivendicato il primato della folgorazione sulla fruizione troppo consapevole e rimasticata delle cose. ho sempre rivendicato il primato dello stomaco sulla testa, nel giudicare qualcosa, e nello scegliere. ho sempre amato le cose che ti prendono a pugni in faccia, e ti lasciano riverso per terra a sanguinare sensazioni. la folgorazione non mente mai. la folgorazione vale per la musica come per tutto il resto: ragazze, libri, film, situazioni, persone, atmosfere. la folgorazione vale al di là del reale e obiettivo valore delle cose: le cose acquistano valore solo nel momento in cui si caricano di senso e allo stesso tempo lo rilasciano in uno scambio continuo, e quanto più grande è lo scambio tanto più grande è il valore effettivo delle cose. ogni altro criterio di giudizio sul valore all'infuori di questo alla fine lascia il tempo che trova. ed è vero che una folgorazione mancata non pregiudica una folgorazione futura: nel senso che la folgorazione si esplica nel qui e nell'ora, e il qui e l'ora sono per natura mutevolissimi. il bello è che però al contrario difficilmente le folgorazioni abbandonano: una folgorazione forse non è per sempre ma quasi, e i 220 volt una volta che attraversano un corpo difficilmente ne escono. solo i più coraggiosi si arrendono ad una folgorazione".
ecco, tutto qui, gli stiff little fingers sono una folgorazione che mi ha attraversato un bel pò di tempo fa. ed è stata una folgorazione averli visti così, ancora capaci di bruciare. f

csxqp: stiff little fingers - "alternative ulster"

mercoledì, ottobre 22, 2008


Nessuno ne è più all’oscuro, il suo nome è sulla bocca di tutti, e in merito i telegiornali non lesinano servizi, rendendolo un fenomeno di massa, anche se non se ne capisce il perché, o quantomeno io non ne comprendo l’utilità… e non fate finta di non sapere di cosa parlo, perché ci siete dentro tutti, a riempire il nulla di nulla.
Sono giorni che mi interrogo sul perché qualcuno dovrebbe prendersi la briga di perdere ore e ore del proprio tempo (e la propria vita) in quella finzione, quella “realtà virtuale”, quella fucina di superficialità che è il social network…
Non abbiamo forse abbastanza strumenti per comunicare con il prossimo senza che sia necessario un contenitore di “amici”? Fatevi un esame di coscienza, e ditemi quante delle persone nella colonnina a sinistra del vostro profilo avete contattato o visto nell’ultima settimana… e ora ditemi che sono vostri amici, che possono dare un contributo alla vostra vita, che averli “ritrovati” ha un senso…
La mia esperienza parla di persone perdute ai bivi dell’adolescenza, compagni di classe lasciati per strada, colleghi senza arte ne parte, illustri sconosciuti, tutti soggetti di cui ho fatto a meno per tanto tempo, e che per altrettanto (tempo) farò a meno, perché l’importante non è esserci, ma essere.
Emblematico è il caso dei compagni di classe, tutti tanto desiderosi di recuperare una figurina nel loro album da pretendere un sunto in tre righe di vent’anni di vita salvo poi chiudere, inevitabilmente, con un imbarazzante silenzio.
È qui che ho incominciato a interrogarmi sul senso del social network, sul senso di contattare, o meglio, rispondere, a persone con cui un tempo hai condiviso un tratto di strada, ma che ora altro non sono che dei perfetti estranei…
Spero che molti incomincino a farsi qualche domanda, e a pensare, pensare, pensare. Per quanto concerne le risposte, ognuno avrà la sua, come io ho la mia. y*

clxqp: celli, guccini, manfredi - “storie d’inverno”

p.s. e così mi interrogo sulla “febbre” del lotto, sulla crisi dei mutui, sulla repressione in tibet, sull’inconsistenza della sinistra…