tabacchi fc, ovvero tabacchi football club, ovvero tabacchi fancazzisti, ovvero un blog creato da quelli che si ritrovano la sera a giocare a calcetto nel parco tabacchi, quello spicchio di verde fra via tabacchi (appunto) e via giambologna, a Milano. Ovvero un contenitore per metterci tutto quello che ci passa per la testa...

venerdì, aprile 28, 2017



trovo veramente fantastico che il nostro cortometraggio, sottotitolato in ben due lingue, sia iscritto alle selezioni di due dei più importanti festival del mondo dedicati alla bicicletta (ovvero l'international cycling film festival, che partirà a settembre da cracovia, e il celebre bicycle film festival, che fra non molto sarà di scena a new york). non che io mi aspetti chissà che cosa (anche se una parte di me, quella che si abbandona di solito ai sogni sfrenati, un po' ci crede, non dico di sollevare al cielo l'ambita e prestigiosa pedivella d'oro, ovvero l'equivalente dell'oscar per i film sulla bicicletta, ma per lo meno di passare le selezioni ed entrare fra i film che verranno mostrati), però anche solo il fatto di essere riusciti a iscriverci, dopo la fortunata parentesi della première tedesca davanti ad un vero pubblico, rappresenta secondo me il degno coronamento del nostro lavoro, iniziato in realtà proprio con questo utopistico obiettivo. ormai l'ho visto talmente tante di quelle volte che non so più dire se in questo nostro piccolo film ci sia davvero qualcosa di valido o se sia la classica cagata pazzesca (anche se una parte di me, quella che spesso invano cerca di restare con piedi per terra, propende decisamente per la seconda ipotesi) ma non è poi una cosa importante, così come non è importante che venga ammesso o meno a questi festival: sono molto contento, ecco tutto, che siamo riusciti a dargli questa dimensione internazionale, lanciandolo nel mondo per inseguire questo piccolo sogno, e che abbiamo avuto il coraggio di provarci. f

csxqp: radici nel cemento - "la bicicletta"

martedì, aprile 25, 2017


Berlino, Londra, Parigi, Madrid, Bruxelles, tutte capitali europee, metropoli, ma anche città che ho visitato, più di una volta, che ho attraversato in lungo e in largo, soprattutto a piedi, e dove mi sono felicemente rilassato, ammirandone l'unicità, confondendomi fra la gente, cercando di coglierne le tradizioni e la cultura, assaporando il cibo, e apprezzandone la diversità. Ma anche città che recentemente sono state vittime di attentati, come San Pietroburgo, a cui penso ormai da anni, come meta di un prossimo viaggio, e da cui solo la burocrazia mi tiene lontano.
Questi eventi, il loro ripetersi, la drammaticità, le morti, le testimonianze, le immagini, hanno iniziato a lasciare un segno. Non sono più una tragedia lontana, difficile da contestualizzare, in un paese sconosciuto, ma una realtà ben presente, in luoghi che ho visto, dove sono stato, e dove probabilmente mi piacerebbe tornare.
È difficile rimanere indifferenti, continuare a vivere come se nulla fosse, e non pensare a quanto sta accadendo. Rifletto su come la mia generazione abbia avuto un'esistenza spensierata, come non abbia sperimentato le atrocità della guerra, i bombardamenti, le perquisizioni, i soprusi, le violenze. Come in questi decenni l'Europa abbia potuto godere di un lungo periodo di pace, permettendo ai suoi cittadini di vivere senza paure, e come invece ora tutto sembri messo in discussione.
Stiamo fronteggiando un nemico invisibile, senza una logica d'azione, in un campo di battaglia indefinito. Questo ha creato incertezza e preoccupazione, in me, ma anche nella società che eravamo abituati a conoscere. Mi domando se è questo che abbiamo seminato, costruito, promosso. Se stiamo ricevendo indietro ciò che abbiamo esportato. Se ci siamo illusi di agire nel giusto o se effettivamente è stato così. Se intervenendo in contesti stranieri non si sia operato in modo sbagliato.
Vivo a Milano, prendo la metro, l'autobus, frequento luoghi sensibili, sono un potenziale obiettivo, in una città che oggi più che mai è un centro culturale ed economico internazionale… occidentale e cristiano. L'essere dichiaratamente destinatari di questo odio, gli attacchi, il loro verificarsi nella quotidianità, la casualità delle vittime, l'apparente normalità dei carnefici, mi ha reso insicuro, instillando il dubbio di non poter più vivere come sempre ho fatto. Non sono ancora riusciti a farmi cambiare, a farmi desistere dal proseguire sulla mia strada, ma stanno iniziando a far vacillare le mie sicurezze, facendo emergere nuovi pensieri, timori che mai mi ero trovato a fronteggiare.

Mi auguro che questo scritto non sia premonitore di eventi futuri, ma il non pensarci, e non affrontare la realtà, sarebbe come nascondere la testa sotto la sabbia, sperando che tutto passi senza lasciare traccia. y

csxqp: goran bregović - "kalashnikov"

mercoledì, aprile 19, 2017



c'è questo sito, antiwarsongs.org, in cui ultimamente mi è capitato spesso di imbattermi ascoltando musica. è una raccolta di testi di canzoni contro la guerra, ognuno corredato il più delle volte da una scheda molto interessante che ne racconta genesi, ispirazione, contesto storico e curiosità. quasi tutte le canzoni sono tradotte, non solo in italiano, ma spesso anche in moltissime altre lingue, a volte le più disparate, con l'idea che il testo di una canzone contro la guerra sia qualcosa che non debba avere barriere, ma che anzi debba essere in grado di raggiungere il maggior numero possibile di persone.
e poi c'è questo cantautore tedesco, reinhard mey, uno di quelli vecchia scuola, a cui non servono inutili effetti speciali, perché la sua voce e la sua chitarra sono sufficienti per costruire canzoni graffianti e soprattutto ironiche (dote rara, da queste parti), colme di poesia e impegno civile. il suo miglior pregio è probabilmente quello di essere capace di addomesticare e rendere melodiosa una lingua estremamente coriacea, che fa davvero di tutto per rifiutare armonia e musicalità.
così, un po' per gioco e un po' per esercizio, mi sono cimentato a tradurre dal tedesco all'italiano qualche canzone contro la guerra di questo cantautore, mandando quello che ne è venuto fuori al sito di cui sopra, che con mio grande piacere e sorpresa l'ha pubblicato. l'ho sicuramente già scritto altrove: mi entusiasma e mi diverte sempre la sfida di trasportare qualcosa da una lingua all'altra, rispettandone senso, significato e intenzioni dell'autore. in più penso che le canzoni siano un mezzo estremamente efficace per entrare dentro la cultura e la lingua che le ha prodotte, e per imparare nuovi vocaboli e modi dire, aulici e gergali, che non vengono certo insegnati ai corsi di lingua.
purtroppo le canzoni contro la guerra sono sempre maledettamente attuali. ultimamente quando leggo i giornali mi viene sempre in mente questa vecchia vignetta di quino: il mondo sembra essere una polveriera prossima all'esplosione e spesso mi chiedo per quanto tempo ancora potremmo vederne le micce accese confinate in uno schermo televisivo, e illuderci che le poltrone del nostro soggiorno siano un posto relativamente tranquillo e sicuro: che ci sia sempre "un altro lato", lontano da noi.
in una prima stesura di questo post avevo scritto che queste mie traduzioni erano piccole infinitesimali gocce nell'oceano del pacifismo militante. poi rileggendo e ripensandoci mi è parsa, come molte cose che scrivo e a volte non cancello, una frase fondamentalmente stupida. innanzitutto perché pacifismo militante è una definizione strana, quasi un ossimoro, che non mi piace un granché e non mi convince del tutto. poi perché è una frase inutilmente autocompiaciuta, oltreché falsa: le mie non sono nemmeno gocce, quando invece ci sarebbe bisogno di cisterne, stracolme, e in gran numero. di più, ci vorrebbe per lo meno un altro oceano. non ho mai conosciuto la guerra, e sono felice di poterne soltanto intuire il vero significato. a volte mi chiedo se, per continuare a usufruire di questa fortuna e condividerla il più possibile con gli altri, io possa veramente fare di qualcosa di più, oltre che dare il mio voto a forze politiche che si proclamano pacifiste, e a comportarmi, nella vita di tutti i giorni, nel modo più civile possibile.
forse è una questione di mentalità e geometria, e la cosa migliore sarebbe che tutti prendessimo atto dell'idea, lapalissiana e rivoluzionaria al tempo stesso, che una superficie sferica di fatto non ha lati, con buona pace di quelli per i quali un muro, una frontiera, una bomba o un attentato rappresentano sempre l'unica soluzione possibile. f

csxqp: reinhard mey - "und der wind geht allezeit über das land"