Come sapete a ottobre ho iniziato un corso di ping-pong. Dopo un primo periodo travagliato, che mi aveva portato a chiedere il cambio di insegnante, avevo ripreso ad allenarmi con trasporto e passione, tanto da raddoppiare i giorni di pratica. Avevo trovato in Gohar il riferimento che tanto andavo cercando, il mentore a cui affidarmi per plasmare e indirizzare il mio entusiasmo. Ma in tutto questo, lasciando da parte l’ambito agonistico / sportivo, mi era rimasta una curiosità, che credo a questo punto sia sorta anche a voi: sapere l’origine di quel nome tanto esotico e inusuale, che non conoscevo e mai avevo sentito pronunciare. Ma non essendo abbastanza sfacciato da chiedere direttamente all’interessata avevo ripiegato sulla soluzione più semplice, ma anche approssimativa, ossia internet. Il risultato della ricerca non aveva dato un responso univoco, ma era emerso come fosse un nome di origine presumibilmente persiana, diffuso nel Caucaso, ma anche in Pakistan e negli Stati Uniti. Queste informazioni potevano essere indicative come fuorvianti, perché anch’io ho un nome russo nonostante origini completamente differenti, ma erano un indizio di cui tenere conto. Non avendo possibilità di verificare mi ero tenuto il dubbio, nella speranza che prima o poi qualcosa saltasse fuori, che durante la pratica ci fosse un qualche discorso che chiarisse l’arcano. Così ho continuato ad allenarmi, due sere la settimana, con impegno e dedizione, senza più pensare a nulla che non fosse migliorarmi. E alla fine è arrivato un mercoledì di aprile, una lezione come tante altre, se non fosse per l’audacia dimostrata, nel momento in cui Gohar, rimproverandomi una certa mancanza di scioltezza nei movimenti, ha detto che dalle sue parti i bambini con la mia stessa rigidità venivano allontanati dalla pratica agonistica. Non potevo avere assist migliore, e così ho chiesto timidamente dove fossero queste “parti” che tanto assomigliavano alla Sparta dei tempi classici. Nonostante l’imbarazzo, la mia baldanza alla fine ha pagato, ho avuto risposta, e la storia è uscita fuori, non senza difficoltà, soprattutto emotive. Dapprima titubante, poi sempre con maggiore enfasi, ci ha raccontato l’epopea famigliare, la vita nell’ex unione sovietica, l’Armenia, il conflitto con l’Azerbaijan e l’emigrazione. Ma anche di sua madre, campionessa mondiale di ping-pong a Monaco ‘68, degli onori a lei riservati dallo stato, della nascita a Baku, e dei drammi della guerra. Ero stupito, non mi aspettavo questo epilogo, anche perché conosco bene quei territori, ho presente la storia e i drammi, al cui studio, nella stesura della tesi di laurea, ho dedicato sei mesi della mia vita. Ascoltando quel fiume di parole non ho potuto che provare una grande vicinanza e comprensione nei confronti di questa donna e della sua famiglia. Ma non era tutto. Lo stupore è stato ancora maggiore quando ci ha detto che il venerdì successivo avremmo incontrato sua mamma, che l’avrebbe sostituita nella lezione a cui non sarebbe stata presente.