tabacchi fc, ovvero tabacchi football club, ovvero tabacchi fancazzisti, ovvero un blog creato da quelli che si ritrovano la sera a giocare a calcetto nel parco tabacchi, quello spicchio di verde fra via tabacchi (appunto) e via giambologna, a Milano. Ovvero un contenitore per metterci tutto quello che ci passa per la testa...

mercoledì, luglio 17, 2024


Pedalando sto molto meglio. Così affermava una delle immagini che ho scelto per il post di giugno, e così mi sento, ogni volta che prendo la bici e mi lancio all’avventura, come ho fatto stamattina. La sveglia era puntata alle sei, l’obiettivo era arrivare lì dove solo qualche mese fa avevo fallito, arrendendomi all'imminente tempesta e all’inadeguatezza del mezzo. A metà percorso avevo desistito, tornando sulle mie orme, sconfitto, ma con la convinzione che si potesse fare. L’appuntamento con la gloria era solo rimandato. Adesso che ho dei giorni di ferie e posso dedicargli il giusto tempo, senza fretta e impegni da incastrare, ho deciso di riprovarci. E così eccomi qui oggi, una giornata che promette solo sole, e caldo, tanto caldo, da bollino rosso. Allora meglio partire presto, e sperare che il corso del fiume rinfreschi il tragitto. Questa volta niente panino, niente bici da corsa, zainetto e kway, ma solo un mezzo con le ruote cicciotte, per affrontare lo sterrato, e una borsa sottosella, dove tenere le mandorle, il mango disidratato, una barretta (che tornerà a casa) e qualche gel. Mi aspettano quasi 80 chilometri, non so bene quante ore ci vorranno, ma sarà lunga. La cosa buona è che metà della strada l’ho già vista, so cosa aspettarmi, e soprattutto dove andare. Fino a Trezzo sarà un percorso noto, da fare in velocità, e poi inizierà la parte nuova, fatta sicuramente di terra e fango, sassi e guadi, e chissà cos’altro, lo scopriremo strada facendo. Come sempre non ho voluto troppo indagare, ne approfondire, perché affrontare l’ignoto è affascinante, ti regala quel pizzico di incertezza e tensione che alla fine è gratificante, e cmq qualsiasi cosa succeda penso di potermela cavare, in un modo o nell’altro.

Prima di inforcare la bici ho tentennato. Non ero convinto fosse la giornata giusta. Avevo sensazioni poco incoraggianti. Arrivavo stanco da un fine settimana impegnativo, fatto di giardinaggio, pulizie, arrampicata, afa e poco sonno. Lunedì avevo ben pensato di sfiancarmi con un giretto per negozi, per approfittare dei saldi, mentre il martedì era stato scelto come il giorno dedicato alla ciclabile della martesana, e poi oltre, fino a quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte da monti... come direbbe il Manzoni. Mi sono svegliato presto, non tanto quanto avrei voluto, perché in origine l’idea era di partire alle cinque, ma non ce l’ho fatta. Meglio non iniziare subito di malumore, indisponenti, scontrosi, meglio essere riposati, dormire quel tantino in più da sentirsi in forze, positivi, reattivi, e così godersi la giornata dal principio. Con calma e mille ripensamenti ho preso coraggio e sono sceso in strada. Attraversare Milano si è rivelato uno dei momenti più faticosi e pericolosi. Nonostante l’ora la città era già viva, nervosa, insofferente. Per arrivare all’imbocco della martesana ho impiegato diverso tempo, causa semafori, lavori, traffico e strade dissestate. Me l’aspettavo, perché è sempre così, e nonostante ci abbia fatto l’abitudine rimane comunque la parte più pesante e noiosa. In fondo a viale Melchiorre Gioia ho finalmente trovato la ciclabile, animata da una nutrita schiera di podisti. Mi è difficile immaginare di alzarmi all’alba per andare a correre. Mi domando quale sia la forza che li spinge, se la passione o la necessità di tenersi in forma. Nessuno sorride, procedono un passo davanti all’altro, incupiti, probabilmente pensano alla giornata che li aspetta, la frenesia e lo stress che li attende. Mi domando quale possa essere la loro vita, se sono studenti o lavoratori, disoccupati o manager. Se fatta la doccia andranno di fretta al lavoro, o se potranno godersi un momento di pace, dedicandolo alle loro passioni. Li supero, io ho altri programmi, altri spazi da raggiungere, esplorare, conquistare. L’aria è ancora fresca, le gambe girano bene, spingo un rapporto medio, perché voglio lasciarmi alle spalle la città velocemente ma senza esagerare e stancarmi. Incrocio via padova e viale monza, e piano piano mi allontano dal centro, dalla città. Pedalo con il naviglio sulla sinistra, e la linea verde del metro sulla destra. Per tanti chilometri questi saranno i miei punti di riferimento. Superato il Lambro, e fatto il sottopasso dell’autostrada, si palesano tutti quei paesini dell’interland che nessuno ha mai visto o visitato, ma che tutti conosciamo di nome, perché sono fermate della metro: Vimodrone, Cernusco, Bussero, Gorgonzola, Gessate… l’orizzonte è spesso fatto di palazzi, sono i dormitori di chi viene a lavorare in città, ma che per necessità o volontà ha deciso di viverne fuori. La ciclabile inizia a popolarsi di monopattini elettrici, e più ci si spinge lontano, meno persone si incrociano. Nell’acqua iniziano a vedersi le anatre, la natura piano piano conquista terreno. I nugoli di moscerini diventano la mia preoccupazione principale. Ne attraverso diversi e ne esco completamente ricoperto. L’asfalto è messo bene, la bici viaggia scorrevole, è il momento di spingere sui pedali, macinare chilometri. A Cassano d’Adda faccio una pausa, ricordo una fontanella, e li mi fermo, per riempire la bottiglietta, rinfrescarmi e mangiare qualche mandorla. Devo ricordarmi di alimentarmi più spesso, di bere anche quando non ho sete, perché come insegnano i professionisti le crisi sono sempre dietro l’angolo, pronte a coglierti in fallo quando meno te lo aspetti. I primi 37 chilometri sono andati, ho ancora parecchia strada da fare, anche se ancora non lo so. Fin qui è andato tutto liscio, ho potuto solo pedalare, senza preoccuparmi del percorso. Questa volta anche l’arrivo a Trezzo sarà più agevole, senza quell’inutile deviazione nei boschi che tanto tempo e fatica mi aveva richiesto pochi mesi addietro. Qui inizia lo sterrato, e quella parte di tracciato che non ho mai affrontato. Sono guardingo, concentrato, accorto. Riconosco alcuni ciclisti che ho incontrato lungo la via, immagino che anche loro abbiano avuto la mia stessa idea, e stiano andando a Lecco. Non voglio perdermi troppo con il cellulare per trovare il sentiero, così almeno inizialmente seguo uno di loro, lo tengo a portata d’occhio, per quanto possibile. Loro sono attrezzati di tutto punto, con completo da ciclista, bici gravel, occhiali e caschetto. Io sono un po' più alla buona. Ho un mezzo un po' datato e ormai fuori moda, degli anni novanta, ma il casco e i pantaloni con il fondello li ho anch’io. Soprattutto quest’ultimi ho capito essere indispensabili, se si ha l’idea di pedalare per parecchio tempo. Anche la sella è fondamentale, e finalmente credo di aver trovato quella perfetta per le mie chiappette (non ridete, perché è veramente importante, se non volete avere brutte sorprese). Alla fine comunque quelle che contano sono le gambe, ed io mi sento particolarmente bene. Abbandonato il naviglio adesso ho al mio fianco l’Adda, con il suo corso imponente, arricchito dalle forti piogge delle ultime settimane. Il sentiero è nella boscaglia, proprio sull’argine del fiume. Inaspettatamente è fresco, c’è una leggera brezza, che mi rinvigorisce, mi spinge a pedalare con maggior intensità. Il terreno è sconnesso, a tratti fangoso, ci vuole precisione e prudenza. Bisogna stare attenti ai sassi, ma è un dolce andare, in leggera salita. Si rimane ben lontani dalla civiltà, nessuna possibilità di ristoro o rifornimento. Raziono l’acqua, e continuo ad alimentarmi, cercando di fermarmi il meno possibile. Pedalo nella natura, uno scoiattolo decide di accompagnarmi per una decina di metri, uccellini e libellule volteggiano nell’aria, tutto procede meravigliosamente, senza intoppi. Ma passate le due centrali idroelettriche Edison trovo la strada sbarrata, un cancello arrugginito chiuso con lucchetto. La cosa è alquanto strana, mistero. Altri due ciclisti sono sbigottiti quanto me, pensano al da farsi. Appurata l’assenza di ogni possibilità di continuare da quella parte, cellulare alla mano cerco di capire come proseguire. Mi rassegno, devo tornare indietro un bel pezzo, attraversare il paese e poi cercare di riprendere il tracciato più avanti. Questa piccola deviazione mi costerà grande fatica, dovuta al caldo, alla salita, ad uno sterrato sconnesso fatto di ciottoli grossi e fastidiosi. Sarà il momento in cui ho tentennato, in cui ho pensato di tornare indietro, di rimandare ad una terza volta. Ma ho resistito, non mi sono dato per vinto, mi sono fatto guidare da google maps attraverso i campi, le frazioni, le villette, fino al ponte di San Michele. Li sono riuscito a riprendere il sentiero, e continuare lungo il corso del fiume. Nella mia testa pensavo che l’arrivo fosse vicino, al massimo una decina di chilometri, anche perché l’umanità cominciava a riaffacciarsi sul percorso. Ma non sarà così. Ormai pedalo da quattro ore, penso che il più sia fatto, la tensione si allenta, sento la meta a portata di mano, così decido che al primo bar farò una sosta seria, con tanto di cappuccino e brioches. Ormai le mandorle sono quasi finite, un gel è andato, e la bottiglietta perde. Meglio approfittare dell’occasione per unire l’utile al dilettevole, riprendere fiato, rifocillarmi, e godermi il momento. Sento mio padre, mi aveva cercato quando non potevo rispondere. Gli racconto cosa sto facendo, è sorpreso, non commenta, chissà cosa pensa veramente. Il tempo corre ed io ho una meta da raggiungere. Dopo la sosta alla bocciofila inforco la bici con nuovo vigore, riempio la bottiglia alla fontanella e riprendo a pedalare. Adesso il sole è alto, fa caldo, per fortuna stamattina mi sono forzato a mettermi dappertutto la crema, sarà la mia salvezza. Il tracciato segue sempre il corso dell’Adda, ma qui gli argini non hanno tenuto, l’acqua ha tracimato. Pedalo lentamente, cercando di evitare gli schizzi, e di bagnarmi più del necessario. Ma più procedo più sprofondo, e alla fine mi rassegno, non ho alternative, l’acqua mi arriva ai polpacci, pedalerò gli ultimi chilometri con le scarpe zuppe. Il sentiero tende a diventare sempre più un tracciato di ciclocross, diverse volte sono costretto a caricarmi la bici in spalla per superare degli alberi caduti. Fango e piccoli ruscelli sono i protagonisti del momento. Mi sento bene, in pace, è una mattina stupenda, sto facendo quello che mi piace, e queste piccole disavventure sono il sale della giornata, le storie che mi rimarranno attaccate e che mi piacerà ricordare. Pedalo senza fretta, con leggerezza, la tensione iniziale si è allentata, assaporo già l’arrivo. È un errore. Bisogna sempre essere prudenti, stare attenti e accorti. Mai perdere la concentrazione, distrarsi, ma è successo. Ho preso una curva troppo centrale, senza aspettarmi nessuno, e invece ho trovato un altro ignaro ciclista, che procedeva in senso opposto. È stato un attimo. D’istinto abbiamo tirato i freni e cercato di allontanarci. La velocità e la ghiaia non ci hanno permesso di evitare lo scontro, ma ci siamo miracolosamente incastrati senza farci male. Uno di fronte all’altro ci siamo sorrisi, felici dello scampato pericolo. Appurata l’assenza di danni ci siamo scusati a vicenda, dandoci una pacca sulla spalla. Nel rischio schivato umanamente ci siamo trovati emotivamente vicini, sollevati di essere ancora interi e sani. È stato un istante, ma avrebbe potuto rovinarmi la giornata, se non di più. Ho fatto una leggerezza, ne conserverò il ricordo come monito per il futuro.

Dopo il grande spavento riprendo la via, curioso di capire quanto possa mancare. Sbircio il cellulare, mi indica ancora otto chilometri. Alla prima fontanella mi fermo, ho deciso di fare il ritorno in treno, e non posso salire con la bici piena di fango. Mi dedico ad un lavaggio sommario, per salvare le apparenze, e renderla presentabile agli occhi del controllore. Anch’io sono bello conciato, soprattutto la schiena, ed ho le gambe e le braccia piene di insetti, ben amalgamati con i peli e la crema solare. Già mi sogno la doccia che mi farò a casa. Ma non è ancora finita, c’è ancora un ultimo pezzettino di strada da fare. Dopo tanta natura, solitudine, tranquillità, ritrovarsi nel traffico di una statale non è l’immagine più entusiasmante per chiudere questa giornata, ma così è. Gli ultimi chilometri sono caratterizzati da continui lavori, deviazioni, mezzi pesanti, caldo asfissiante. Raggiungo Lecco, mi vorrei fare una foto con il cartello, per testimoniare l'impresa, ma ogni ricerca è vana. Rinuncio anche all'idea del pranzo, e mi avvicino alla stazione. Scopro che le bici non pagano più, e che in poco più di tre quarti d'ora sarò al punto di partenza, la mia amata Milano. In tutto ho pedalato sei ore, sono entusiasta e soddisfatto, è stata una giornata epica, da ricordare. y

csxqp: sick tamburo - "fino a farcela"

postfazione: per quanto le gambe abbiano retto, e non abbia avuto nessun dolore muscolare, il giorno dopo il fisico ne ha risentito, forse più per l'aria condizionata del treno che non della pedalata in se, e mi sono svegliato con la febbre. Per fortuna sono riuscito a scrivere queste righe prima di rendermene conto, perché altrimenti mi sarei perso tanti dettagli, e forse non sarei più stato in grado di portare sulla carta quest'avventura. 

lunedì, luglio 01, 2024

 


una coppia di carissimi amici, plurimaratoneti e addirittura ultramaratoneti, mi ha recentemente istigato alla corsa. ho sempre opposto loro una strenua resistenza, osservando con un misto di scetticismo e compassione (diciamo pure: con orrore) il loro alzarsi presto la mattina per andare a macinare chilometri. poi però un giorno, trascinato da v, ho provato ad accontentarli, dai, ho pensato, per una volta che male può fare, e alla fine ho scoperto, non l'avrei mai detto, che correre mi piace. così sono un paio di mesi che i due amici sono diventati anche personal trainer a distanza, e che le mattine del weekend mi trovate in maglietta e pantaloncini ad allenarmi nel parco vicino a casa (tutto questo, beninteso, se non piove e non fa freddo: in quel caso col cavolo che mi schiodo di casa).
mi piace correre soprattutto perché è bello sentire il proprio corpo capace di fare cose: l'ho già scritto altrove su queste pagine virtuali, il movimento mi sembra un'arma formidabile per combattere, ed esorcizzare, la paura di invecchiare. e poi c'è da dire che l'attività fisica ha il pregio di lasciarmi sempre, insieme alla stanchezza, una sorta di inaspettato benessere, e un persistente buonumore.
mi affascina molto anche l'aspetto mentale della faccenda, di come il corpo e il cervello quasi si separino durante la corsa, come se seguissero due spartiti diversi: il primo impegnato nel suo incedere ritmico, un passo dopo l'altro scandito dal respiro, il secondo a cercare le sue melodie vagando altrove, spesso molto lontano, nel tentativo semplice ma efficace di ingannare la fatica.
e poi mi piace la consapevolezza di avere in qualche modo fiato, e resistenza, e chilometri nelle gambe. quand'ero ragazzo ero un volenteroso mezzofondista, mi ero cimentato con la marcia e al liceo mi ero perfino iscritto con entusiasmo alla squadra di corsa campestre (cosa non si fa per saltare le lezioni). di quell'esperienza ricordo un epico arrivo in solitaria, ai campionati regionali, rimasto negli annali della scuola: caparbiamente ultimo, con gli atleti della gara successiva in esasperata attesa che io tagliassi il traguardo per poter finalmente partire a loro volta. poi però da allora non avevo praticamente mai più corso, e adesso sapere di poter fare cinque chilometri tutti in un volta, senza arrivare rantolando con la lingua a penzoloni, è davvero una bella sensazione. ok, è vero, lo ammetto, cinque chilometri non sono davvero niente, ma proprio perché erano quasi trent'anni che non correvo più mi sembrano lo stesso degni di nota, alla mia età e con la mia pigrizia poi.
il ruolo di v in tutto questo è fondamentale: non solo perché possiede, almeno in questo frangente, costanza e meticolosità che io non ho, e mi spinge ad un allenamento graduale e ragionato per evitare che cuore e ginocchia collassino senza rimedio (fosse per me correrei finché ce n'è, come un giovane cavallo selvaggio e scalpitante che non si può imbrigliare con la cavezza del buonsenso), ma anche perché la sua compagnia è davvero decisiva: correre resta per me, vai a sapere perché poi, un'attività che da solo non farei davvero mai. ammetto che mi piacerebbe molto mettermi alla prova in mezzo agli altri, con un pettorale sulla maglietta, e partecipare ad una corsa vera e propria, di quelle che di tanto in tanto da queste parti si organizzano per i dilettanti: dev'essere divertente correre in mezzo a tante persone. l'obiettivo, ovviamente, sarebbe quello di non arrivare ultimo.
sono un corridore un po' smandrappato, che corre per il gusto di correre: non mi alleno regolarmente, non tengo traccia dei miei tempi con l'idea di battere i miei primati (anche perché sarebbero tempi lentissimi, meglio non lasciarne traccia), non ho abbigliamento tecnico né scarpette in carbonio, e nemmeno un cardiofrequenzimetro che mi dice quante calorie ho bruciato. per ora mi accontento di avere entusiasmo nei piedi, buona volontà nei polmoni, e un cuore pronto a battere forte. f

csxqp: gil scott-heron  - "running"