Sono grato a questo 2024 perché mi ha restituito un amico che temevo di aver irrimediabilmente perso. Ritrovarlo entusiasta, propositivo, disponibile a nuove avventure mi ha reso felice regalandomi un inaspettato momento di giubilo. Non so quale sia stata la scintilla, l’evento scatenante, ma posso intuire da alcuni discorsi, che condivido e mi sono fatto spesso anch’io, che è arrivato anche per lui quel momento in cui ci si ferma a riflettere su quanto fatto e quanto ci aspetta, ed emerge l’esigenza di ridefinire le priorità, trovare un diverso equilibrio, dando alla nostra esistenza un nuovo impulso, slancio, direzione. Abbiamo raggiunto quella maturità che ci porta a sapere come vorremmo sia la nostra vita, perché non ne avremo un’altra da spendere. Così ci rendiamo conto che forse è inutile sacrificare tutto sull’altare del lavoro, mentre è sicuramente più significativo coltivare relazioni, passioni, interessi, dando il giusto peso ad ogni cosa. Nessuno ci restituirà il tempo passato davanti ad uno schermo, in riunione, lontano dai nostri affetti. Siamo arrivati a un punto dove non possiamo più permetterci che il lavoro condizioni negativamente ogni aspetto della nostra vita, spingendoci sempre verso quel limite, quella deriva che ci porta ad essere l’ombra di noi stessi. Imbruttito, stanco, stressato, è così che spesso mi sento alla fine della giornata. Mi arrendo e soccombo, sacrificando ogni altra cosa. Non è normale che l’unico sollievo diventi tornare a casa e infilarsi nel letto. Questo è il male, per noi come persone e per la nostra salute mentale. Ne risente il fisico, ma anche la nostra umanità, la nostra ricchezza culturale. Il lavoro non basta, non è tutto, e non può essere l’unico orizzonte delle nostre giornate. A capirlo ci sono arrivato piano, a piccoli passi. Forse è questa convinzione che ci ha dato consapevolezza di quello che adesso è veramente importante e deve essere la priorità.
I fasti post adolescenziali non torneranno, ma riavere jj fra noi mi riempie di gioia. In verità è sempre stato presente, o meglio quasi sempre, perché per un certo lasso di tempo ne avevamo perso le tracce, tanto da farci preoccupare, spingendoci fino a contattarne la moglie. Di quel periodo non abbiamo mai veramente parlato, e un poco mi sento colpevole, per non esser stato più insistente, convincente, pressante, nel tendergli con più forza la mano, nel caso ne avesse avuto bisogno. Con lui ho un grosso debito, che non riuscirò mai a ripagare, e una riconoscenza che non mi fa mai dimenticare quanto sia importante l’amicizia, quanto uno sconosciuto possa diventare una presenza fondamentale, quanto possa cambiarti la vita, e salvarti dal tuo abisso. Perché per me lui è stato questo, un ragazzo che ho incrociato ai tempi dell’università, con cui per una qualche inspiegabile ragione ho legato, e che mi ha accompagnato aiutato supportato, anche inconsapevolmente, quando era necessario. Se adesso sono quello che sono lo devo a quei pochi amici che nel corso degli anni hanno impedito che mi perdessi, spronandomi, volendomi al loro fianco, continuando a cercarmi, condividendo assieme un pezzo di strada. Fra loro Luigi, che meglio non posso descrivere se non come un pilastro di quella famiglia acquisita che la vita ci regala e ci tiene vicino.
In questi anni sono sempre state le visite di f a dettare i tempi dei nostri incontri, quasi che senza di lui, e la sua indomabile volontà di tenerci uniti, vedersi non fosse possibile. In verità non c’era nessuna valida ragione che ci impedisse di frequentarci, al di fuori di quelle serate, e infatti è bastato un messaggio sul cellulare perché succedesse. È iniziato tutto in autunno, con un invito per pranzo, rinnovato a breve distanza con il pretesto della bicicletta. Ritrovarsi è stato come riprendere un discorso mai interrotto. Abbiamo ricominciato a parlare di progetti futuri, concerti, di un cammino che fantastico di fare da qualche tempo, della possibilità di raggiungere Lecco in bicicletta, di rivedere il tfc on tour, di nuovo. Non potevo credere alle mie orecchie. Ero sorpreso, stordito, impreparato e inebriato da tutta questa partecipazione. Ci siamo lasciati con tante idee e l’impegno di ritrovarci presto. E così come promesso ieri ci siamo fatti gli auguri al planetario. Inconsapevolmente ho riunito in un solo posto e nello stesso momento la catena di affetti dei miei ultimi trent’anni. Seduto sopra una sedia girevole del Portalupi li osservavo da lontano. Ho scattato loro una foto, di nascosto, per fissare il momento, immortalandoli come gli eterni ragazzi, che sempre resteranno tali nei miei ricordi, e nel cuore. Bentornato jj, mi eri mancato. y
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