tabacchi fc, ovvero tabacchi football club, ovvero tabacchi fancazzisti, ovvero un blog creato da quelli che si ritrovano la sera a giocare a calcetto nel parco tabacchi, quello spicchio di verde fra via tabacchi (appunto) e via giambologna, a Milano. Ovvero un contenitore per metterci tutto quello che ci passa per la testa...

martedì, dicembre 30, 2025

 


e così alla fine abbiamo fatto il grande passo, ci siamo procurati scarpe adatte allo scopo e ci siamo iscritti ad un'associazione podistica, e due volte a settimana affrontiamo il buio e il freddo intabarrandoci sotto diversi strati di tessuto sintetico, con una lampada da minatore fissata alla testa.
correre in compagnia è molto motivante, le persone che corrono con noi sono tutte estremamente gentili, sono quasi tutti più anziani e più in forma di noi, e sembrano davvero felici di avere nuovi membri nel gruppo. sono prodighi di consigli e incoraggiamenti, mi dicono che ho talento e che sono veloce: mentono. e spudoratamente anche, è chiaro, suvvia, non ho mai fatto niente di veloce in vita mia e non comincerò certo adesso. però apprezzo molto questo sforzo di sostenermi e spronarmi, e questi loro complimenti mi tornano sempre molto utili per bullarmi e pavoneggiarmi senza ritegno con la povera v.
già, v: mi ha trascinato lei in questa cosa, ho cominciato per il gusto di farle compagnia, e l'ho assecondata in questa mania della corsa soltanto per avere l'occasione di fare qualcosa insieme di diverso dal solito. che cose assurde che fa fare l'amore: se solo pochi mesi fa mi avessero raccontato che sarei uscito dopo il lavoro a correre, incurante dei rigori invernali, strappandomi con violenza dalla comodità e dal bel calduccio domestico, beh non ci avrei davvero creduto.
la verità, però, è un'altra. ho scoperto che correre mi piace, perfino d'inverno, perfino al buio. mi piace sentire il corpo che si scalda con il movimento, fino al punto di essere indifferente alla temperatura che lo circonda, e mi piacciono i percorsi avvolti nell'oscurità, fatti di campi silenziosi, strade deserte, stelle che quasi le puoi toccare, e fugaci scorci di vita attraverso le finestre illuminate delle case: ho scoperto così quartieri e itinerari della mia città che non conoscevo, e mi è sembrata una cosa bellissima. e mi piace, forse più di tutto, farcela ogni volta, a concludere l'allenamento, riuscire a tenere il passo per svariati km, ogni volta felice di aver fatto qualcosa di più attivo che stare seduto davanti ad uno schermo.
domani ci aspetta una gara, un insidioso percorso cittadino sul pavè del centro storico, e anche se la corsa passa letteralmente sotto casa so già che imprecherò, che lì per lì non avrò voglia di uscire, che maledirò il freddo prima della gara e la fatica durante, e che mi chiederò ogni due minuti chi diavolo me l'ha fatto fare, mannaggia a me che mi faccio incastrare in queste cose, me ne stavo così bene a casa. ma so anche che poi alla fine della corsa, indipendentemente dal mio tempo al traguardo, sarò contento, in pace con me stesso, felice di avercela fatta, di essere arrivato fino in fondo, e di aver alzato il culo dal divano.
così ecco cosa mi auguro, e quali sono i miei propositi per l'anno nuovo che sta arrivando: fai cose nuove che ti fanno stare bene, esci il più possibile da quella zona di comodità dove ultimamente tendi a rinchiuderti, e per l'amor di zeus, sta lontano da quel dannato telefono. f

clxqp: haruki murakami - "wovon ich rede, wenn ich vom laufen rede"

domenica, novembre 23, 2025


Quest'estate ho vissuto un'esperienza unica, irripetibile, perché ogni prima volta porta con se un'emozione speciale, senza eguali. Sarà difficile poter rivivere lo stupore, l'entusiasmo, le suggestioni ma anche l'incertezza e i dubbi che mi hanno accompagnato in quel pellegrinaggio, ma non tutto è andato perso. Il ricordo è ancora intenso, vivo, radicato nei miei pensieri. Quei pochi giorni mi hanno in un certo qual modo segnato, creando in me un interesse che adesso mi spinge verso il mondo dell'ortodossia greca, probabilmente alla ricerca di quello stato di benessere fisico e spirituale che mi aveva accompagnato in quei momenti di scoperta e libertà. Così in questi mesi ho cercato di capire dove questo credo fosse presente a Milano, e dopo un rapido controllo su internet, ho trovato la Chiesa di Santa Maria Podone. Spinto dall'entusiasmo un sabato ho provato ad andare, per vedere, capire, tentare un approccio. L'idea era proprio quella di parlare con qualcuno, e sondare quanto fosse salda la mia volontà di intraprendere un nuovo percorso nella fede. Naturalmente, vista la fortuna che porta con se questo mio anno, le porte della parrocchia erano chiuse, con catena e lucchetto, e non c'è stato modo di incontrare o interloquire con nessuno. Ho lasciato così passare qualche settimana, stando sempre attento alle comunicazioni riportate sul sito, ed alla fine ho scoperto che il lunedì successivo ci sarebbe stata la celebrazione dei "vespri", alle 19. Colto dall'entusiasmo ho subito informato Lorenzo, colui dal quale tutto ha avuto inizio, per chiedergli se voleva partecipare anche lui. Purtroppo il lavoro non gli permetteva di essere disponibile a quell'ora, così mi ha proposto di incontrarci la domenica davanti alla basilica di Sant'Ambrogio, visto che il canto che accompagna i "vespri" è comune ad entrambe le confessioni e quel giorno si sarebbero celebrati anche lì. Ho accettato perché avevo piacere nel rivederlo, ma anche perché avevo in serbo per lui un regalo, un libro di cui già gli avevo accennato, che raccontava la storia di uno scrittore, mandato al monte Athos per indagare su una persona scomparsa. L'avevo letto prima di partire per la nostra avventura in terra greca, e trovarmi fisicamente in quei luoghi descritti così magnificamente mi aveva fatto pensare che potesse essere un dono speciale, capace di rievocare quella gioia che avevamo condiviso, e così ho fatto.

La domenica ci siamo dati appuntamento davanti alla basilica. Come di consuetudine sono arrivato con largo anticipo, così ho deciso di fare un giretto, ed appurare che effettivamente a quell'ora ci fosse la funzione. Il freddo era penetrante, la chiesa gelida. Naturalmente io non mi sono fatto sorprendere, e mi sono presentato coperto all'inverosimile, con doppi pantaloni, maglione, pile, piumino, scaldacollo e cappello. Trascorso neanche un minuto un inserviente mi si avvicina, quasi volesse aiutarmi, vedendomi leggere la bacheca e gli opuscoli presenti su un tavolo. Nulla di tutto questo, mi voleva solo richiamare per via del cappello. Non era permesso indossarlo. Sinceramente mi aspettato tutto fuorché questo. Sorpreso l'unica cosa che sono riuscito a balbettare, togliendolo e facendo ben vedere la pelata, è che senza mi sarei sicuramente ammalato, visto che avrei anche voluto partecipare all'imminente funzione, e non ero li solo come turista. Questa affermazione ha rincarato l'irritazione dell'inflessibile dipendente della curia, che ha tenuto a precisare come a maggior ragione non era possibile averlo sul capo. Niente, perorare le mie ragioni non sarebbe servito, così sono uscito sacramentando per andare lì dove avevo appuntamento. Ero furente, in quei pochi passi non sono riuscito a calmarmi, e così non ho potuto che sfogarmi con il povero Lorenzo. In primo luogo cosa potrà mai importare al Signore nostro Dio se porto o meno il cappello. Capirà che non lo faccio per insolenza o sfregio della sua autorità. Capirà che sono pelato e che stando fermo in una ghiacciaia per tre quarti d'ora l'unica conseguenza che si avrà sarà un mio malanno immeritato. E poi che ne sanno le istituzioni ecclesiastiche che questo è uno specifico precetto del Santissimo. Loro si arrogano il diritto di parlare, educare e predicare in suo nome, ma da dove gli deriva questa prerogativa? Come avrete capito in quel momento con me non si poteva ragionare. Avrei voluto mandare tutti a quel paese ma non volevo rovinare la serata al mio amico, così mi sono morso la lingua, siamo entrati, ho tolto il cappello, e mi sono messo lo scaldacollo come fascia, coprendo almeno fronte e orecchie. Devo ammettere che così stavo bene, e una volta rassicuratomi che non sarebbe stato un supplizio, mi sono finalmente rilassato. Durante la predicazione, ai pochi fedeli presenti, piano piano se ne sono aggiunti altri, fra cui inizialmente due donne, dotate di cappello di lana e panamense rosso fuoco, e poi altri due ragazzi, sempre belli incappucciati. Mi aspettavo che il solerte supervisore paladino dell'ortodossia cristiana intervenisse subito ma con loro la sorte è stata benevola, e hanno potuto presenziare senza dover temere il gelo. Finita la messa ci siamo avvicinati alla cripta dove sono riposte le spoglie del santo, e anche qui un altro zelante messo mi ha chiesto di togliere il cappello, senza notare che di fatto ne fossi già sprovvisto. Pacatamente ho chinato il capo, per far vedere la pelata, e così abbiamo potuto tutti vivere felici e contenti.


Il fatto che la chiesa si perda ancora in queste formalità mi fa imbestialire, e nonostante in questa istituzione operino tante brave persone, che aiutano gli ultimi dedicando loro la vita, non sento di poterne fare parte. Non sono il primo a dirlo, ma bisogna tornare alla testimonianza di fede di Francesco, e abbandonare tutti gli ornamenti, orpelli, gioielli e sovrastrutture che rischiano di soffocare la chiesa chiudendola in se stessa e allontanando i fedeli. Spero che quella greca ortodossa possa essere più accogliente, e diventare la mia casa. y

cvxqp: alice rohrwacher - "lazzaro libero"

venerdì, novembre 07, 2025


La fretta, è con questa che inizia ogni giornata, perché quando mi sveglio è già tardi, per fare tutto quello che mi piacerebbe vorrei dovrei, ma per cui non c'è abbastanza tempo. Alzarsi prima non servirebbe, qualcosa resterebbe comunque indietro, fuori, o stretto e strizzato in quei pochi secondi che gli rimarrebbero. La maledetta fretta mi accompagna tutto il giorno: c'è quella di arrivare in ufficio, che spesso mi impedisce di lavare denti e viso. Quella di perdere il bus, che mi spinge ad attraversare col rosso e a correre, nel momento in cui si avvicina pericolosamente rapido alla fermata. Quella di andare in posta a ritirare un pacco, al fermo point a consegnarne un altro, e poi via a mangiare, e se ci riesco anche a fare la spesa, sfruttando quell'ora che dovrebbe essere un momento di pausa (pranzo) ma nella realtà è solo fonte di ulteriore affanno, stress, frenesia...
Qui si dice "se vai piano, non sei di Milano". E così si corre nel gestire le email, nel rispondere al telefono, nell'andare in bagno, nel pagare l'affitto, prendere il semaforo verde, l'appuntamento dal dottore, la metro al volo, l'offerta al supermercato, le medicine prima che la farmacia chiuda...
E' un rincorrersi, c'è la necessità, che poi è obbligo, di incastrare tutto, per fare tutto. Ma è un dannarsi per rimanere immobili, fermi fissi lì dove si è sempre stati. Anni fa avevo iniziato a sentire dei discorsi controcorrente. Stavano provando a venderci un sogno, prospettando un vivere alternativo, quello sintetizzato dal concetto che gira intorno alla decrescita felice, al meno ma meglio, dove il rallentare è un valore, come lo sono lo slow food, la circolarità dell'usato, il chilometro zero, la bicicletta, lo smart working. Tutti strumenti per realizzare un nuovo equilibrio fra vita privata e lavoro, benessere e produttività, salute e profitto. L'avere meno come condizione per la felicità. Rinunciare a qualcosa per vivere in maniera più sostenibile, magari contribuendo al perseguimento di un interesse che sia anche e soprattutto collettivo. L'idea è di svolgere si un'attività, di lavorare, ma non ad ogni costo, al solo fine del lucro, del guadagno, calpestando valori e umanità, bensì mettendo al centro le persone, il loro benessere. E invece nulla, io sono ancora qui fermo intrappolato nell'ingranaggio, in quel dannato circolo vizioso, come prima, se non peggio, a rincorrere, sfinirmi, annientarmi, per cosa poi non riesco più neanche io a spiegarmelo. Pensavo che il mio obiettivo fosse quello di conquistarmi un posto nella società, una solidità fatta di casa, lavoro, famiglia, ma in verità sto solo agognando quello che gli altri si aspettano da me, e da tutti voi. Ho sbagliato e continuo a sbagliare, ma alcuni errori li faccio consapevole che sono l'unico modo per avere quel minimo di tranquillità che mi farà dormire la notte.
Il problema è che tutto questo inizia a pesarmi. La frenesia, le urgenze, ed in sintesi il lavoro ci sono e per il momento resteranno, nonostante la crescente inquietudine sia un chiaro segnale che la misura è colma, e presto una svolta sarà necessaria. Il mio corpo mi lancia messaggi, che poi sono i dolori che mi attanagliano il fisico e la mente. Il non volermi fermare è la condizione per non cadere a pezzi, per impedirmi di pensare, di riflettere e prendere una decisione, per quanto difficile possa sembrare adesso continuare così come ho sempre fatto. Non ho tempo da dedicarmi perché non voglio averne, l'idea di prendermi una pausa mi spaventa, perché mi metterebbe con le spalle al muro, davanti ad un ventaglio di prospettive che non voglio prendermi la responsabilità di valutare. Meglio rimanere concentrato su priorità che non sono le mie, o che comunque non rappresentano una fonte potenziale di cambiamento. Ultimamente però mi sono chiesto se un primo passo potrebbe essere quello di cercarmi un appartamento, comprarlo, e crearmi uno spazio che sia tutto mio. Un’idea sulla carta entusiasmante e intelligente, anche perché la casa rimane in prospettiva un ottimo investimento, ma ci sono troppi ma a cui dare peso, e l'immobilismo è sempre la scelta più semplice e facile. Se non si fosse capito odio il cambiamento, e perché avvenga devo esserci costretto, non avere alternative. Così lo è stato quando sono uscito di casa, perché di fatto non ce n’era più una in cui stare, e così dovrà esserlo anche sul lavoro o nella vita, perché ne prenda pienamente il controllo senza lasciarmi trascinare dalla corrente, che sceglie per me.

Un giorno ti guardi allo specchio e ti rendi conto che non sei più il ragazzo di vent'anni che avevi sempre visto, immaginato, pensato e creduto. A me è successo quest'anno, e l'impatto è stato tremendo. Cosa ho fatto in tutto questo tempo? cosa ho costruito? a cosa ho dedicato anima e cuore? Si corre, ci si affanna, si crepa, senza neanche uno scopo, un obiettivo, se non la sopravvivenza. y

"no Maria, io esco." 

csxqp: "kanye west ft. pusha - runaway"

mercoledì, ottobre 29, 2025


Mancano cento giorni alle olimpiadi invernali. La cosa sarebbe poco più che una notizia marginale se non fosse che si svolgeranno anche a Milano. Diversi mesi fa, credo addirittura a gennaio, ho pensato che potesse essere bello parteciparvi in prima persona, non tanto come atleta, visto che non ne avrei mai avuto la possibilità, ma come volontario. Ero entusiasta dell'idea di poter far parte dell’evento dall'interno, godendo appieno della magia delle gare, delle persone e di tutto quello che ci ruota intorno. La prospettiva di mettere in stand by la mia quotidianità e sperimentare un nuovo ruolo, il potermi rendere utile, e far parte di un team di persone sconosciute ma dedite ad un obiettivo comune, diverso dal denaro, mi sono state di grande ispirazione e stimolo. Insomma, volevo essere parte attiva e portare il mio piccolo contributo ad una manifestazione sportiva unica che avrebbe coinvolto l’intera città, lì dove sono nato e cresciuto, e dove ho trascorso tutta la mia vita. Lo vedevo anche come un atto di riconoscenza, e un'opportunità per dare una calda accoglienza a chi sarebbe venuto, per partecipare o semplicemente assistere alle gare. Mosso da questi propositi ho compilato la domanda online, e dopo qualche settimana ho ricevuto un'email nella quale mi si avvisava di aver superato la prima selezione, e la necessità di fissare un colloquio di persona. A distanza di pochi giorni mi sono presentato nella centrale organizzativa del comitato olimpico, ho fornito i miei dati, mi hanno fatto una foto, e dopo un'incontro di gruppo, in cui ognuno ha manifestato la sua disponibilità, competenze e motivazioni, ci siamo salutati con l'indicazione che verso luglio si sarebbero fatti sentire. Questo significava che ci avrebbero innanzitutto comunicato se la selezione era andata a buon fine, e poi informati sui dettagli del ruolo che avremmo ricoperto. A seguito di questa fase sarebbe poi seguita la formazione specifica in loco.
All'inizio non credevo che sarei andato fino in fondo. Già avevo avuto problemi nel mandare la candidatura online, che avevo dovuto compilare due volte a causa di un bug di sistema. Solo per questo passaggio avevo dedicato oltre un'ora, cosa che mi aveva fatto alquanto tentennare. Poi per il colloquio avrei dovuto prendere un permesso, cosa che ho chiesto senza troppi rimpianti. E infine c'era la questione delle ferie. Dovendo essere disponibile per almeno nove giorni consecutivi avrei dovuto assentarmi dal lavoro, cosa che richiedeva formalmente l'autorizzazione del mio responsabile, che di fatto è arrivata senza problemi. Completati tutti gli step, curati gli aspetti burocratici, e definita la parte lavorativa, sono rimasto pazientemente in attesa di notizie. Nel frattempo avevo saputo da mia madre che anche lei aveva deciso di presentare domanda, seguendo il mio stesso iter. A questo punto eravamo entrambi in fermento. Luglio arrivò in fretta, e l'estate passò senza nessun segnale o email che ci desse aggiornamenti. Solo verso la fine di settembre ricevemmo la comunicazione dove venivamo ringraziati per aver aderito al progetto, ma l'alto numero di domande impediva di poter accogliere tutti, e noi sfortunatamente non eravamo fra i selezionati. Ciò nonostante venivamo invitati a frequentare i corsi online, perché più ci si avvicina alla data più è necessario avere delle alternative, nel caso in cui qualche volontario facesse un passo indietro. Quindi le sere dei fine settimana di ottobre li ho dedicati alla formazione, inerente la sicurezza, l'antincendio, la gestione del conflitto, i ruoli e l'evento in generale. Sono stati parecchio impegnativi, e penso di averne dovuti seguire almeno una dozzina, anche in lingua inglese e con test finale. Non mi sono mai lamentato, né domandato chi me l'avesse fatto fare, perché per una volta stavo facendo una cosa in cui credevo, per cui ero disposto anche a dei piccoli sacrifici. Lato famigliare settimanalmente mi confrontavo con mia mamma, che mi informava sui suoi progressi e mi domandava se avevo avuto altri aggiornamenti. Si, perché in questa attesa che stavamo condividendo, ogni volta che arrivava un'email subito ci sentivamo per capire se era stata ricevuta da entrambi, e confrontarci su cosa bisognasse fare.

Oggi mancano esattamente cento giorni alla cerimonia d'inaugurazione, ne io ne mia madre siamo fra i 18.000 volontari richiesti, ma siamo contenti del percorso che abbiamo intrapreso. Quello che potevamo e dovevamo fare l’abbiamo fatto, con entusiasmo e disinteresse, mossi solo dalla voglia di far parte di un momento eccezionale che coinvolgerà la nostra città. Non siamo rassegnati, e anche adesso coviamo la speranza che prima o poi ci arriverà un'email che ci faccia essere parte dell’olimpiade. Se fosse necessario noi ci siamo, altrimenti pace, spero che sia un periodo entusiasmante, ricco di incontri ed eventi, ma anche di crescita e sviluppo per tutto l'interland e il movimento sportivo italiano. Per il momento l'unica certezza è che sarò spettatore di una partita di hockey, insieme a tre amici, che in tempi lontanissimi hanno pensato di acquistare i biglietti, introvabili fino a qualche giorno fa. Direi che è tutto, ci vediamo in giro, e forse chissà, mi troverete vestito da volontario in qualche palazzetto o lato pista, a strappare biglietti o controllare gli accessi. Ancora poco e lo sapremo. Divertitevi, e godetevi lo spettacolo. y

csxqp: sick tamburo - “(non) ho perso i sogni”

lunedì, ottobre 13, 2025

 


quanto sono fragili, le nostre vite, anche a sedici anni, quando dovrebbero essere tuoni e saette che sconquassano il cielo. fragili e invischiate nelle piccolezze quotidiane, fragili e confuse, come mucchi di foglie. sprechiamo il tempo a borbottare, e a non accorgerci.
e allora solleva gli occhi al cielo, imponevano le nuvole, osservalo, perditici dentro, disegnaci quel che vuoi, saranno affreschi maestosi o malriusciti scarabocchi, non importa, ma non stare fermo, non serve a nulla conservare. abbandonati al movimento, anzi sii tu stesso nuvola, mutevole e leggera, e danza.
e allora rimbomba, e squarcia di luce fin dove la luce può arrivare, smettila di tentennare, di rimandare, di nasconderti, di risparmiarti, ululava il primo vento gelido, smerigliando l'aria e rendendola trasparente. fatti trascinare, anzi, sii tu stesso vento, sparpaglia, e sparpagliati.
e allora non temere di bagnarti, e osa saltare fra le pozzanghere, scriveva la pioggia sui vetri, con la sua calligrafia obliqua e irregolare, senza gocce sulle i. tuffati e immergiti, anzi sii tu stesso acqua, inzuppa, fatti onda e creane altre.
non sappiamo davvero nulla del domani, né lo sanno gli dei a cui affidiamo le nostre scaramanzie. io ho guardato, e ascoltato, e letto, le nuvole, il vento, la pioggia e la mia cattiva coscienza, ma al primo raggio di sole ho già scordato tutto.
in bocca al lupo, giovane donna che non conosco. f

csxqp: roberto vecchioni: "ho conosciuto il dolore"

domenica, settembre 21, 2025


Ho sempre vissuto luglio come il mese dei morti, il periodo dell'anno in cui per motivi inesplicabili inforco la bicicletta e vado a rendere omaggio ai defunti. Di norma tutti pensano che il momento più affine sia novembre, per via della festività loro dedicata, e del fatto che le giornate brevi, buie e spesso piovose, con gli alberi spogli e il freddo pungente, siano le condizioni più adatte per entrare in contatto col mondo di chi non c'è più, e forse avvicinarsi, con tristezza, a quello stato di non vita che si immagina gelido e tenebroso. Per me invece è diverso, io vado quanto la natura è rigogliosa, il caldo è insopportabile e le giornate sono terse. Di prassi ci arrivo con il sole allo zenit, sfinito, dopo una pedalata senza meta nei dintorni dell'interland. Perché luglio è il mese che mi sprona a lasciare la città, a spingermi fuori, oltre, nelle campagne, seguendo strade e sentieri ignoti, guidato dall'istinto, dalla voglia di esplorare, evadere, per poi ritrovarmi al sicuro su google maps. Ma non divaghiamo. Tornando da queste fughe estemporanee, seguendo la direzione nord / ovest, ho sempre l'opportunità di passare davanti al "maggiore", il cimitero dei milanesi. Qui sono sepolti i miei nonni, e sono loro che vado a salutare, come quando tornando dall'università bussavo alla finestra del loro appartamento, posto al pian terreno di un'anonima traversa di via giambellino, e spingendomi sui pedali facevo un ciao con la mano. Così era allora e così è, in un certo qual modo, adesso.

Quest'anno però è andata diversamente. Essendo stato così travagliato, e avendomi privato della bicicletta, mi ha impedito di rispettare la tradizione, e mio malgrado ho dovuto rimandare. Ho atteso di avere le energie fisiche e mentali, di sentirmi finalmente bene, per affrontare questa sorta di pellegrinaggio. Quel giorno è arrivato il primo sabato di settembre. Non potendo utilizzare il mio mezzo d'elezione, perché sedermi sul sellino è ancora un miraggio, ho sfruttato la metro, la rossa, fino a Q8, per poi perdermi in un mare di stradine che alla fine mi hanno condotto ad uno degli ingressi laterali del cimitero. Ovviamente avevo scelto la giornata più calda, e naturalmente l'orario era quello a ridosso del pranzo, con il sole a picco sulla testa. Ciò nonostante ero convinto, deciso, perché avevo una missione da compiere. C'era un motivo ulteriore a spingermi con forza, che andava oltre il momento di raccoglimento che mi aspettava davanti alla stele. L'anno prima avevo notato che il crocifisso, regalo che avevo portato a mia nonna da Gerusalemme, e che avevo ancorato fra i fiori di plastica, era sparito. Il primo pensiero era stato che qualcuno l'avesse rubato. Poi mi ero detto che forse era caduto e così si fosse perso. Alla fine mi ero convinto che qualunque fosse stato il suo destino il mio augurio era che fosse in mano a qualcuno, che gli fosse servito o gli servisse ancora, sia che l'avesse preso con dolo o semplicemente raccolto. Da qui la volontà di portarne uno nuovo, ma non uno qualsiasi, bensì uno altrettanto carico di storia e spiritualità. A volte si può affermare che nulla succede per caso, e negli eventi si può leggere un disegno divino, e così è stato. L’occasione si è manifestata subito quest'estate, quando ho avuto l'opportunità di acquistarne uno simile, sempre proveniente da una terra santa, in questo caso agli ortodossi. L'ho trovato nel monastero di Iviron, sul monte Athos, e gelosamente l'ho conservato fino a quel giorno, quando con cura l'ho riposto lì dove uno era sempre stato, a testimoniare la grande fede di mia nonna, ed il mio amore per lei. In altri anni, dopo un pianto liberatorio, qui si sarebbe chiusa la giornata, avrei ripreso la bicicletta e arrancando mi sarei trascinato a casa, per una doccia e un pranzo ristoratore. Ma quest'anno no, in agenda c’era una seconda tappa, un'altra cara persona a cui rendere omaggio, un'altra nonna che avevo avuto nel cuore negli ultimi tempi, e che purtroppo alla fine ci aveva lasciato. Fin dal mattino avevo chiaro in testa l’obiettivo della giornata, e nonostante abbia più volte titubato, ho ripreso la metro, e dal capolinea di Molino Dorino mi sono spinto a quello opposto di Sesto. 
Sceso alla fermata Merelli ho fatto gli ultimi chilometri a piedi, come se l’arrivo dovesse includere un tributo di penitenza e riflessione. Conoscevo la zona, per quasi un anno ero stato di casa, e non mi è stato difficile ritrovarmi e incamminarmi verso quello che qui chiamano “nuovo cimitero”. Avevo un'idea di dove dirigermi, ma il timore di non trovarla era grande. Invece dopo i primi passi incerti, fra una distesa di croci, ho accelerato, e quasi correndo, tanto era l'urgenza, sono giunto li dove è sepolta Anna, con suo marito. Ho risposto alla richiesta d'aiuto di una signora, che non riusciva a spostare una scala, e poi mi sono messo in raccoglimento. Il dolore della perdita era troppo recente per non commuovermi, e così ho fatto, come già era successo qualche ora prima. Ho portato una preghiera anche al figlio, e alla nuora, sempre sepolti lì, e con l'animo leggero mi sono rimesso sulla via del ritorno, felice di aver fatto ciò che da molti mesi mi riproponevo.

Provato ma sollevato, triste ma fiero. Ho mantenuto la promessa. y

csxqp: system of a down - “lonely day”

sabato, settembre 20, 2025

 


da qualche giorno a questa parte accade che il mio tragitto per andare a lavoro sia sincronizzato perfettamente con il sorgere del sole su questo campo. tutte le volte che passo di lì inchiodo (ci arrivo alla fine di una lunga discesa a rotta di collo, in cui prego sempre che il mio catorcio non scelga proprio quel momento per abbandonarmi, sfaldandosi in mille pezzi) e mi godo per un istante quel liquido abbraccio di serenità arancione. non passa quasi mai nessuno su quella strada, e a farmi compagnia in quell'attimo di incanto c'è solo qualche cavallo mattiniero che bruca l'erba nel campo alle mie spalle. vorrei non farlo, perché in qualche modo mi sembra un brutto vizio, ma tutte le volte inevitabilmente sento il bisogno di scattare una foto, quasi come se imprimere tutta quella meraviglia soltanto nella mia memoria non fosse sufficiente a renderla vera.
comunque sia non mi servono certo le foto per accorgermi che ogni volta non è mai uguale alla precedente: un giorno quella prima luce è una carezza calda e avvolgente, di una bellezza assoluta, prepotente e primitiva, e un altro deve sgusciare caparbiamente fra le nuvole, e aprirsi un varco per fare capolino e rivelarsi. un altro giorno gioca con gli aerei a tracciare righe arancioni sul foglio azzurro del cielo, e un altro ancora i vapori della rugiada avvolgono in una sospensione irreale ogni cosa, il sole, la luce, il campo, la strada, me e i cavalli, sfumati come in un sogno.
ho pensato che vorrei saperlo fare sempre, e non soltanto all'alba: soffermarmi e godermi le differenze delle mie giornate, anche solo per un istante, saperne riconoscere i dettagli, rendermi consapevole delle piccole cose che le rendono uniche, assaporare il cibo, le parole, i colori o le sensazioni, anzi di più, quando è possibile, cercare di proposito di fare ogni giorno qualcosa di diverso. non è facile, e lo annoto qui come buona intenzione, per non dimenticarlo.
ho pensato che potrebbe essere un buon modo per fregare il tempo, che spietato e imperturbabile tritura ogni cosa e galoppa ostinato verso l'orizzonte come un assassino in fuga. f

csxqp: the clash - "jimmy jazz"