tabacchi fc, ovvero tabacchi football club, ovvero tabacchi fancazzisti, ovvero un blog creato da quelli che si ritrovano la sera a giocare a calcetto nel parco tabacchi, quello spicchio di verde fra via tabacchi (appunto) e via giambologna, a Milano. Ovvero un contenitore per metterci tutto quello che ci passa per la testa...

sabato, agosto 30, 2025


Quest'anno sono arrivato alle agognate ferie arrancando, fiaccato nel fisico e nella mente. Più la data della partenza si avvicinava più la mia convinzione scemava. Ho più volte tentennato pensando al viaggio che ci aspettava, a quel piccolo sogno che con tanta pazienza, passione e tempo avevamo costruito, scontrandoci spesso con una cronica mancanza di informazioni e mille difficoltà logistiche e linguistiche, che alla fine ci avevano spinto, per la richiesta del visto, a rivolgerci ad un'agenzia specializzata. Pur trattandosi di un territorio europeo, pur essendo parte della vicina Grecia, la repubblica monastica del Monte Athos ha una sua autonomia speciale, delle leggi e delle disposizioni uniche nel suo genere, a cui bisogna necessariamente attenersi: si può soggiornare solo per quattro giorni, non sono ammesse le donne, si devono indossare pantaloni lunghi, il bagno in mare è vietato, le ciabatte si possono indossare solo col calzino... 
L'idea del dove, del quando e del come ha iniziato a prendere forma a gennaio, e mese per mese abbiamo aggiunto tanti piccoli tasselli al mosaico di quello che sarebbe stato il nostro pellegrinaggio. Ottenuto il visto (ufficiosamente, perché le cose devono essere complicate, e fisicamente l'avremmo avuto in mano solo la mattina dell'imbarco, presentandoci negli appositi uffici) abbiamo iniziato a verificare i voli, i traghetti e le loro fermate, i monasteri, a valutare gli alberghi e le tratte dei bus. Ci siamo spesso trovati ad arrancare davanti ai nostri limiti linguistici, non conoscendo il greco, e dinnanzi all'assenza di notizie pratiche e canali ufficiali a cui rivolgersi. L'impossibilità di trovare risposte e chiarimenti ai molti punti oscuri e contraddittori che ci tormentavano ci ha spinto a interrogarci sull'effettiva fattibilità di quello che sulla carta sarebbe dovuto essere semplice ma nella realtà era tanto aleatorio quanto imprevedibile. Nonostante le innegabili problematiche irrisolte ero tranquillo, il non avere tutto organizzato nel dettaglio ci dava un po' di sana incertezza, quel pathos che poi è il sale della vacanza, e allo stesso tempo la flessibilità di cambiare i piani strada facendo. Definito tutto il possibile (volo e pernottamenti) abbiamo iniziato il tragitto di avvicinamento atterrando in tarda serata a Salonicco. Qui abbiamo preso accordi con il taxi, che ci aveva raccolto in aeroporto, affinché la mattina seguente ci venisse a riprendere per portarci nella cittadina costiera dove avremmo preso visto e traghetto. Nonostante il Monte Athos sia una penisola l'unico modo di accedervi è via mare, partendo da Ouranopoli. Come previsto ci siamo arrivati in taxi, ma non con l'autista con cui avevamo concordato il trasporto. Nella notte era stato male e ci aveva affidato ad un collega, che non parlava una parola di inglese, e con il quale ogni scambio è dovuto passare attraverso il figlio al telefono, che faceva da tramite fra noi e il padre. Questo è un piccolo simpatico esempio che vi riporto giusto per farvi capire quanto la barriera linguistica fosse grande e impattante, limite che ci accompagnerà per tutti i giorni della nostra permanenza.


Una volta ritirato il visto, e comprati i biglietti per la tratta marittima, molti dubbi si sono dissolti, la tensione si è allentata e abbiamo finalmente realizzato che ce l'avevamo fatta, era tutto vero, stava per iniziare la nostra esplorazione nel misterioso universo dell'ortodossia. Dopo poco più di un'ora di navigazione saltiamo agili sul molo del monastero di San Grigoriou, che ci avrebbe ospitati la prima notte. Siamo felici, ma anche frastornati e titubanti. Non sappiamo come muoverci, siamo soli, spaesati. Dopo trenta minuti di attesa, di figure losche, spazi angusti, odore acre di sudore e parole balbettate, già meditavo la fuga, un comodo traghetto di ritorno, verso quella civiltà quantomai cara. Preso da questi pensieri, incerto sul da farsi, e maledicendo le mie strane fantasie di viaggio, con la promessa che le prossime ferie le avrei gestite diversamente, veniamo infine avvicinati dal monaco incaricato dell'accoglienza. Ci spiega le regole della comunità, ci fa vedere gli spazi, dove avremmo dormito, il refettorio e i bagni. Con solerzia ci informa degli orari delle funzioni, specificando che vi avremmo dovuto partecipare. La messa iniziava alle 4 di mattina, per terminare alle 7.30. A quel punto quindici minuti per la colazione e poi via, liberare le stanze. La sera invece alle 17.30 avremmo presenziato ai vespri, per poi terminare e cenare alle 18.45. Alle 19 venerazione delle reliquie. Non potete capire lo stupore, i volti basiti e perplessi. Sul mio avreste riconosciuto sicuramente incredulità e rassegnazione. Avevo capito bene? Ormai non avevamo scelta, o alternative, questo era quanto. Mi sono consolato pensando che quattro giorni tutto sommato passano in fretta, e poi a veder bene l'ultimo riguardava il rientro. Si poteva fare, magari questa esperienza mi avrebbe fatto vedere la mia quotidianità con occhi differenti, più accondiscendenti e meno critici. Per farmi coraggio, e prendere familiarità con il contesto, ho pensato che la cosa migliore fosse esplorarlo, guardarsi intorno, godere della natura e della vista del mare. L'ambiente era affascinante, e il monastero fiabesco. La bellezza era intorno a me: torri fortificate a picco sul mare, strutture medioevali, la cittadella con la chiesa color porpora. Ho iniziato ad apprezzare il silenzio, i sentieri, gli orti terrazzati, i filari di uva lungo il decumano, i gatti oziosi e gli scorci delle insenature. E poi l'isolamento, l'assenza di strade, attività commerciali, esseri umani. Sono entrato in comunione con la spiritualità del luogo, con la sua unicità. Non dovevo fare nulla, niente da preparare, di cui preoccuparmi, a cui pensare. Un quarto d'ora prima della funzione un tocco di campana ci ha chiamato a raccolta. Diligentemente siamo accorsi in chiesa, senza alcuna nozione del culto ortodosso e di come avremmo potuto partecipare. E' stata un'ora abbondante di raccoglimento, studio dei dettagli, contemplazione. Ho osservato attentamente pratiche e movimenti, cercando di capirne i dettami. Mi sono immerso totalmente nella liturgia, facendomi cullare dalla litania e dalla luce fioca delle candele, l'unica presente nello spazio dedicato ai miscredenti, ovvero i non ortodossi. Mi sono accomodato lì dove ci era stato indicato di stare, mi sono alzato quando tutti si alzavano, e fatto il segno della croce quando necessario. Ho abbassato il capo quando richiesto, e sono stato ripreso quando ho incrociato le gambe, cosa che ho capito essere vietata perché segno di lassismo e mancanza di rispetto. Non comprendere una parola è stato faticoso, ma la curiosità e l'emozione del momento sono state grande fonte di motivazione. Finiti i vespri siamo stati invitati con una certa solerzia alla cena, composta da un piatto di semolino, pane, olive, pomodori e cetrioli in insalata. Il silenzio era d'obbligo, e tutto doveva essere consumato con una certa celerità. Dopo neanche quindici minuti un suono metallico ci ha richiamato in chiesa, per la venerazione delle reliquie, ultimo atto della giornata monastica. Noi avevamo preso a riferimento Alexios, il monaco che ci aveva accolto e forse preso in simpatia. Durante la funzione, inquanto cattolici, non avevamo potuto accedere alle reliquie, ma una volta terminata ci aveva preso in disparte, invitandoci nel santa sanctorum. Qui, su un vassoio d'argento, ci ha reso visibile il loro tesoro, le sacre reliquie, spiegandocene la storia e incoraggiandoci a baciarle. Come gesto finale ci ha benedetto quattro santini, con raffigurata Sant'Anastasia, a cui è dedicato il monastero, e a cui adesso mi sento devoto, per l'accoglienza e la disponibilità che ci hanno donato.
Il grande portone d'ingresso si sarebbe chiuso alle 21 ed entro quell'ora bisognava essere dentro. Prima di coricarmi ho sfruttato il tempo su una panca in legno, sul ballatoio della zona dedicata agli ospiti. Mi sono sdraiato e guardando il tramonto ho aspettato che il buio calasse perso nei miei pensieri. Ho meditato su quanto stavo vivendo, e mi sono sentito leggero, sgombro da ogni preoccupazione. Mi sono lasciato accarezzare dalla brezza marina e con lo sguardo fisso verso il cielo ho incrociato una stella cadente. Era tutto perfetto, ero in pace, potevo andare a letto. Questo momento è stato la svolta, qualcosa è scattato, non avevo più alcun timore, incertezza, perplessità. Dinnanzi a me ci sarebbero stati solo giorni stupendi. 
Partecipando alla funzione tardo pomeridiana avevamo capito che c'era una certa flessibilità nella liturgia. Stranamente noi italiani eravamo stati ligi ai dettami, mentre gli altri pellegrini, nonché i monaci, avevano avuto un atteggiamento alquanto disinvolto, andando e venendo con una certa sorprendente libertà. Il mattino seguente mi ero quindi permesso di frequentare la chiesa verso le 6.30, dedicando alla preghiera poco più di un'ora. Dopo questa, come a cena, è seguita subito la colazione, frugale e frettolosa, fatta delle stesse pietanze della sera, col l'aggiunta dell'anguria. Per noi è stato un duro colpo non poter avere caffè o tè, e qualche dolce da forno, ma questa era la prassi, e di quello che ci veniva offerto abbiamo fatto tesoro. Il tempo però stringeva, e una volta raccolte le nostre poche cose ci siamo confrontati sul come proseguire, direzione monastero di Iviron. La verità è che non avevamo idea di come arrivarci, e dopo un fallito tentativo per farci venire a recuperare a metà strada, abbiamo optato per una irta camminata lungo la costa in direzione di un altro eremo, al cui attracco avremmo potuto incrociare un'imbarcazione. La decisione era presa. Il sole era appena sorto, tirava un vento fresco e a tratti incontenibile, la natura era verde e rigogliosa. Armati di spirito d'avventura e fatalismo ci siamo messi in movimento, zaino in spalla, un passo dopo l'altro, verso l'ignoto. E' stato faticoso ma la vista che ci ha riservato il sentiero è stata sorprendente. Mi ha riempito l'animo di entusiasmo e gioia, facendomi dimenticare tutto il pregresso, il mal di schiena, e tutti qui mesi carichi di sofferenza che avevano caratterizzato quest'anno maledetto. Al volo abbiamo preso la piccola Mikra Aghia Anna, sbarcando dopo pochi minuti nell'approdo principale, dove tutti arrivano e stazionano per riprendere il pellegrinaggio. La presenza di alcuni pulmini presupponeva la possibilità di un servizio di trasporto, ma tutto era sospeso nell'incertezza, non essendoci linee ufficiali e tabelle orarie. Lungo la banchina abbiamo raccolto un po' di notizie, capendo che sarebbero partiti non appena trovati almeno dieci passeggieri. Così ci siamo messi pazientemente seduti, in attesa, chi mangiando frutta secca e chi bevendo un pessimo caffè greco, speranzosi di raggiungere la capitale e poter poi riprendere il sentiero fra i boschi per arrivare alla nostra seconda meta, il monastero di Iviron.


Non è il caso che racconti tutto per filo e per segno, meglio lasciare un minimo di mistero, ed il piacere della scoperta, per chi vorrà intraprendere questo percorso. Ogni monastero ha la sua storia, le sue peculiarità, tradizioni, orari, riti e reliquie. Troverete castelli medioevali, fortezze imponenti, con spessi muri di pietra e alte torri, con i camminamenti e la cittadella. Vedrete affreschi e chiese buie ma scintillanti di ori e argenti, icone e biblioteche centenarie, portoni blindati con armature di metallo dietro cui la sera sarete rinchiusi, al sicuro. Incontrerete monaci schivi e diffidenti, spesso guardinghi e all'apparenza ostili, ma dai modi cortesi e l'animo gentile. Sarete ospitati in camere e spazi simili ai nostri convitti per studenti, con lenzuola e asciugamani sempre puliti e profumati. Avrete una colazione e una cena, ma dimenticatevi il pranzo. Nella nostra esperienza la dieta è sempre stata vegetariana, ma non posso dire se sia la prassi o solo una casualità. Sarete immersi nella spiritualità e nel rispetto reciproco, nella compostezza, lontani dal clamore, dall'apparenza e dal superfluo. Camminerete in un luogo che tutti voglio preservare, custodire gelosamente, mantenendolo così come è sempre stato. E per quanto riguarda il lato organizzativo vivete il momento, una via la troverete, e nella peggiore delle ipotesi non avrete comunque difficoltà a incontrare una struttura dove essere accolti.


Per quattro giorni sono stato fuori dal mondo, fuori dalla mia vita, e da ogni pensiero che mi portavo dietro. E' stato un viaggio verso l'ignoto, nell'anima dell'ortodossia alla scoperta delle sue radici profonde, di un universo sconosciuto carico di tradizioni. Abbiamo tentennato, errato, dubitato. Ci siamo interrogati sul significato di tutto questo, e solo adesso riesco a raccogliere emozioni ed idee. Lì ero troppo preso a vivere il momento per fermarmi e riflettere. Ora ho il tempo per farlo, e quello che provo è una grande gioia, e riconoscenza.
Monte Athos io vado, ma non è un addio, c'è ancora tanto da scoprire, ascoltare, apprendere. Non so quando ci rivedremo, per adesso grazie di questi giorni intensi. y

csxqp: c.c.c.p. - ortodossia

giovedì, agosto 21, 2025

 


un sorridente pompiere nero con la sua inseparabile accetta e un'avvenente miss ciglia lunghe con corona e abito da sera sono stati i protagonisti del nostro ormai tradizionale progetto fotografico estivo: abbiamo affidato al caso la scelta di questi due personaggi e ce li siamo portati dietro dovunque andassimo per un mese, immortalandoli ogni giorno in una fotografia (quella che vedete è l'ultima della serie, scattata sulla "spiaggia" della nostra città). le regole erano sostanzialmente quelle dell'anno scorso, e devo ammettere che fotografare un personaggio, sempre lo stesso, si è rivelato a suo modo più impegnativo che trovare un soggetto di un determinato colore: mettere il mio pompiere in un contesto che avesse un senso e al contempo raccontasse qualcosa che stavo facendo in quel momento è stata senza dubbio una piccola piacevole sfida. innanzitutto perché mi sono accorto ben presto che fotografare una cosa relativamente piccola con uno sfondo alle spalle presenta una difficoltà tecnica non banale legata alla messa a fuoco: o si vede bene il personaggio o si vede bene lo sfondo, e ho rinunciato a tante idee di foto in campo largo perché, perfezionista come sono, non mi sarebbero riuscite come volevo (poi magari l'impostazione per mettere bene a fuoco tutto sul cellulare c'è, e sono io pigro che non ho avuto voglia di andare a cercarla): poco male però, ho fatto di necessità virtù e ho cercato di restringere le inquadrature e concentrarmi sui dettagli, ed è stato un bell'esercizio. e poi perché quasi tutte le foto le ho scattate in luoghi pubblici, e tutte le persone che mi hanno visto fare un book fotografico ad un playmobil (guardami, sorridi, bravo, così, più intenso, fai un passo indietro, alza l'accetta, ci siamo) mentre appunto cercavo lo scatto e l'inquadratura perfetta, avranno probabilmente pensato, come dargli torto, che fossi un po' matto. non che me ne freghi qualcosa, ma di sicuro ho strappato a molti passanti ben più di una risata (e a nulla, credo, sia valso provare a spiegare, e a cercare indulgenza facendomi scudo con le parole "progetto artistico": avranno sorriso bonari per poi picchiettarsi la tempia con l'indice, appena giravo le spalle).
però quello che conta è che è stato bello: anche quello di quest'anno è stato un gioco creativo davvero molto divertente, e mi è piaciuto davvero tantissimo farlo. sono molto soddisfatto delle trenta foto scattate: ognuna racconta un momento di quella giornata, un aspetto della vacanza, della vita al mare, del rientro a casa, o del mio lavoro, le cose che ho fatto o che amo fare, o semplicemente un dettaglio che in quel giorno mi ha incuriosito, attirando la mia attenzione.
d'accordo, forse mi entusiasmo con poco, e sono l'eterno bambino che ha sempre bisogno di giocare, ma il punto importante di questo post in realtà è un altro, e ha a che fare con la fortuna: è un periodo in cui, forse per la piega che sta prendendo il mondo, mi capita spesso di pensare a tutte quelle che ho, che sono tante. è già di per se un privilegio poter dedicare tempo ed energie ad un passatempo così frivolo e giocoso, perché significa non avere la mente intasata da preoccupazioni o malesseri, ma la vera propria meraviglia è quella di avere al mio fianco una persona divertente, con uno spiccato senso dell'umorismo, una miss battuta pronta giocherellona e aperta allo scherzo, che non solo è capace di stare al gioco, ma che nel gioco mi ci trascina con tutte le scarpe, come nel caso di questo piccolo progetto. ridiamo davvero tanto, ed è davvero una fortuna: grazie! f

csxqp: dire straits - "lady writer"

mercoledì, agosto 20, 2025


Sono arrivato alle ferie estive fisicamente, emotivamente e mentalmente distrutto. Partire per la montagna era quanto mi ero ripromesso di fare, e una flebile speranza mi spingeva a credere che come al solito le dolomiti mi avrebbero ridato energia e gioia di vivere. Era inutile rimanere a soffrire a Milano, nella solitudine agostana, con il caldo alle porte, e la solita routine che non prometteva nulla di nuovo/buono. Così sabato mi sono alzato di buonora, sono salito in macchina, e alle cinque sono partito sperando di evitare il traffico che per quel giorno era stato indicato da bollino nero. Dal primo momento ho percepito che il viaggio sarebbe stato un calvario, avevo male, ma ho fatto finta di niente, dovevo piegare il fisico al mio volere, volevo andare, ad ogni costo, e cercare di recuperare quella serenità che il dolore, i pensieri e le rinunce di questi mesi mi avevano tolto. Il tragitto si è rivelato senza intoppi, e passando per Vittorio Veneto in viso ha fatto capolino un lieve sorriso, ormai mi sentivo arrivato, l'aria era diversa, il paesaggio stava cambiando, la visuale dell'orizzonte spaziava all'infinito. Stavo per riabbracciare le mie montagne, la mia Heimat, i miei affetti più cari. Lungo la strada mi sono fermato nel negozio di alimentari dove lavora mia sorella. L'ho vista di spalle, alla cassa, ero felice, e l'ho abbracciata come non mai, facendo affiorare qualche lacrima, perché ero finalmente a casa, lì dove avrei potuto curarmi l'anima. Ho prolungato la stretta, un po' perché ne sentivo il bisogno, un po' perché non volevo mi vedesse nelle mie debolezze. Lei è rimasta sorpresa, perché non sono solito a questi slanci d'affetto, ma non ha detto niente, anche se le si leggeva in viso. Ancora adesso ripensandoci mi viene il magone. Non lo sapevo ma questo stato d'animo, questa angoscia, questo tormento, sarebbe stato il filo conduttore di tutta la settimana, in barba alle grandi aspettative che mi ero immaginato. Avevo ancora da fare pochi chilometri e sarei arrivato in paese, dove mi aspettavano i miei genitori, e lhasa, la loro cagnolina. Erano giorni che non stava bene, e vederla così magra, spelacchiata e col passo incerto è stato un altro boccone amaro, difficile da mandare giù. Come sempre ho cercato di non far trasparire nessuna emozione, ma nel profondo ero devastato. In queste condizioni sarebbe stato duro passare del tempo in famiglia celando il disagio che stavo covando. Ero appena arrivato e già volevo scappare. I giorni successivi non furono migliori, e più volte mi ritrovai a trattenere a stento le lacrime. Volli toccare il fondo andando al cimitero, cosa che facevo ogni anno, con l'intenzione di ritrovare tutte le persone che avevo conosciuto, e rendergli così omaggio. La visita naturalmente fu straziante, e piansi senza ritegno. Un altro giorno incrociai un caro amico, che abbracciai disperato, quasi potesse offrirmi un riparo o un aiuto da tutto questo malessere. Passeggiando nel centro incontrai anche una signora anziana, che mi aveva visto crescere, ma aveva anche perso un nipote mio coetaneo. Si chiamava Federico, mi ha ricordato che erano passati ormai 25 anni dalla sua scomparsa. Lo sapevo bene. Per tanto tempo non ero riuscito più a guardarla in viso, ne a parlarle, e tantomeno esprimerle il dolore che provavo. Eravamo amici, avevamo trascorso tutte le estati della nostra giovinezza li insieme, e diventati maggiorenni ci eravamo ripromessi di rivederci, dopo qualche anno in cui era stato via, con il padre, dopo aver lasciato la scuola. L'avevo sentito per telefono, aveva una ragazza, un lavoro, era felice, e io l'aspettavo con gioia. Non lo rividi più. Anche questa volta non seppi cosa risponderle, limitandomi a piegare la testa e trattenere le lacrime. Ma mi sono ripromesso di tornare a trovarla, e per quanto sarà doloroso dirle che di lui non ci siamo mai dimenticati, che continua a vivere nei nostri ricordi.

Sono stati giorni complicati, e il dover tornare a Milano per una visita medica è stata una liberazione. Avrei potuto fermarmi un giorno in più, ma non mi sembrava il caso, meglio rincasare, lontano da tutto e da tutti. Di li a qualche giorno sarei dovuto partire per il Monte Athos, in compagnia di tre amici, ma non mi sentivo nelle condizioni per farlo. Più volte ho pensato di rinunciare, di rimanere a casa a piangermi addosso, ma così non è stato, per fortuna. Adesso mi sento rinfrancato, nel cuore e nello spirito, ma il percorso per arrivarci è stato doloroso, complesso, intricato. Difficilmente ci sarei arrivato senza il contributo di voi tutti. Grazie. y

csxqp: the cure - "boys don't cry"

ps le prime avvisaglie di questa fragilità le avevo già avute a Pescara, quando ritrovando f in stazione mi ero lasciato andare ad un abbraccio più sentito e persistente del solito. Anche li mi sarei voluto abbandonare ad un pianto liberatorio, quello di chi raggiunge un approdo sicuro e si libera di ogni preoccupazione, ma non l'ho fatto, anche se sarebbe stato utile. grazie f e v, anche quei giorni sono stati importanti nel portarmi qui dove sono ora.
pps non è vero che i ragazzi non piangono.

domenica, luglio 27, 2025

 


cose trovate per terra #5

ciao, eccoti qui signorina, ti aspettavo, tua mamma mi ha detto che stavi arrivando. ho già preparato tutto, dille per favore che le albicocche non mi sono arrivate oggi, però le ho messo le nespole, so che le piacciono. ascolta, i carciofi li ho messi qui, guarda, puoi alzare un attimo gli occhi da quel coso per favore, li ho messi così se no non ci stavano, stai attenta quando li porti se no ti pungi con le spine. ho messo anche qualche peperoncino per tuo papà, gliel'avevo promesso, sono quelli di mio cognato, digli che li offre la casa. la rucola è qui sopra. ce la fai a portare tutto? se è troppo pesante te lo divido in due bust...

- capre che urlano swipe
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- oddio questa qui balla davvero malissimo swipe
- dai un tocco kawaii a tutti i tuoi disegni swipe
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- sa_mantha09 ha pubblicato qualcosa per la prima volta dopo tanto tempo click
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- i mondiali di ginnastica ritmica in bulg... swipe
- è partita la campagna abbonamenti della palmiz...swipe
- anita mostra i suoi abiti preferit... cuore swipe
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- gianfusto e karima si sono messi ins... swipe
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- i dieci migliori scambi della stag... swipe
- altre capre che ur... swipe
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- stridore di fren... swipe
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f

csxqp: le luci della centrale elettrica - "iperconnessi"

domenica, giugno 29, 2025

 


si si l'hai già detto, non serve ripeterlo, la bellezza del sentirsi vivi attraverso l'acido lattico e il sudore, la soddisfazione del poter muovere il proprio corpo che anche lei ti imperla le ascelle e la schiena (che schifo), cercare di fregare con la velocità (e che velocità poi) il sordo e latente terrore di invecchiare: tutte cose già scritte, puoi passare al paragrafo successivo.
la cosa più assurda è che non li avevi mai corsi tutti in una volta, tutti quei chilometri (tutti quei, vabbè), almeno in età adulta (adulta è una parola grossa, lo sai), se non la settimana prima della gara. per non parlare del fatto che non avevi la minima idea di come fosse il percorso (state attenti alle salite, non andate troppo forte, c'è un pezzo che si inerpica subito dopo la partenza che metterà a dura prova il vostro spirito e le vostre ginocchia), avevi solo in mente questi tardivi avvertimenti della vigilia, buoni soltanto ad alimentare le preoccupazioni dei principianti (principianti allo sbando, aggiungerei). e poi c'erano quasi trentacinque gradi, incongrui e inaspettati in quest'angolo d'europa, il sole a divorarsi lo stadio e la pista d'atletica, ti è andata solo bene che il percorso passava fra gli alberi e che tu hai una resistenza al caldo fuori dal comune (in compenso sotto i venticinque è subito felpa).
l'avevi scritto un anno fa, che ti sarebbe piaciuto cimentartici, e alla fine l'avete fatto davvero: audaci (o incoscienti, dipende dai punti di vista) vi siete iscritti ad una gara vera propria, con tanto di cronometro, traguardo, altri corridori principianti (per nulla allo sbando, però), orribili barrette proteiche prima della partenza e un pettorale sulla maglietta. la cosa più incredibile, permettimi di dirlo

- oh scusa, ma chi sei, che continui a intrometterti nel mio post?
- sono il tuo senso del ridicolo. disturbo? vuoi che me ne vada?
- no tranquillo, resta pure, ma non interrompermi ogni minuto, se puoi.
- ci provo.
- grazie.
- ma non garantisco.

la cosa più incredibile, permettimi di dirlo, è che siate riusciti a portarla a termine, questa gara assurda, che erano dieci chilometri tutti di fila ed è stata una bella soddisfazione farli tutti, i corridori della domenica di solito si fermano a cinque, ammetterai che nonostante ostentassi sicurezza a oltranza non eri affatto certo di tagliarlo quel traguardo, e stai scrivendo questo post solo per ricordartela, questa piccola soddisfazione, di avercela fatta, alla tua comunque non così giovane età (per niente giovane età, meglio), e rammentarti quanto l'allenamento e la determinazione alla fine pagano, tutto si può fare se ci si dedica tempo, però adesso non ricominciare, per favore, anche queste cose le hai già scritte più volte. la cronaca esigerà che si riporti il tempo finale, un'ora e diciassette (c'è chi va più veloce camminando, probabilmente), ma solo per ricordarlo come tempo da battere l'anno prossimo, ormai sai che ci hai preso gusto, chissenefrega se il vincitore ci ha messo meno della metà del tuo tempo, e poi l'avevi scritto un anno fa, l'obiettivo era non arrivare ultimo ed è stato pienamente raggiunto (ma pensa, c'è qualcuno che è arrivato dopo di te, nemmeno questo l'avresti mai detto).

- sai che non è tutto merito tuo, vero?
- si lo so.

dovrai ringraziare sopratutto v, amore infinito, compagna di vita, di viaggi, di storie e di imprese, che in questa, di impresa, ti ci ha trascinato, che l'allenamento e la determinazione sono stati, devi ammetterlo, soltanto merito suo, che ha finito questa corsa con una caparbietà immensa, che è stato bellissimo aspettarla e baciarla all'arrivo, che è un dono, e una fortuna avere a fianco, nella corsa grande della vita, che ogni cosa bella che ti capita è bella perché la puoi condividere con lei.
e poi grazie a m e c, personal trainer a distanza, che questa impresa l'hanno innescata con la loro passione, che le loro, di imprese, sono sempre capaci di ispirarti e lasciarti a bocca aperta, ma dove la trovano tutta questa energia? dispensatori di consigli e suggerimenti, preziosi motivatori e incoraggiatori, ma soprattutto, incrollabili amici.

- dimentichi qualcosa?

e infine una dedica speciale a y, che il suo corpo temporaneamente non lo può muovere come vorrebbe, tu sai bene che non resisteresti un solo giorno senza poterlo fare, il suo post ti ha colpito, così hai pensato anche a lui mentre correvi, vorresti dirgli questo, ecco, che hai corso anche per lui, che è il tuo modo per mandargli un abbraccio, per dirgli tieni duro, passerà, e che lo aspetti l'anno prossimo, alla partenza, ce la correremo insieme, fra un giro in bici e una partita a ping pong. f

csxqp: i ratti della sabina - "chi arriva prima aspetta"

sabato, giugno 14, 2025


È tanto che non mi confronto con il foglio bianco, tanto quanto la mia vita è stata attraversata da un episodio che mi ha emotivamente distrutto. Mi ero ripromesso di non scrivere finché non mi fossi riassestato, finché non avessi ritrovato la gioia di stare bene, senza dolori, ma questa attesa si è protratta troppo, e così sono dovuto scendere a patti, pormi dei piccoli traguardi, per poter andare avanti, uscire dal letto, e non abbandonarmi allo sconforto.

A gennaio è iniziato un prima e un dopo. Un prima in cui i problemi del lavoro erano la mia preoccupazione principale, ma in cui ero libero di fare quello che più rendeva felice, senza limitazioni. E un dopo in cui ho dovuto smettere di guidare, andare in bicicletta e giocare a ping-pong. In cui non potevo portare uno zaino in spalla, né tenere in mano le buste della spesa. Un dopo dove stare seduto era un supplizio, e trasportare dei pesi o una bottiglia d’acqua era impensabile. Tutto questo è vero ancora adesso, ma qualche progresso è stato fatto e questa è la ragione che mi ha permesso di prendere oggi il foglio e scriverne la storia. Il mio incubo è iniziato in Sardegna, quando qualcuno ha pensato che fosse divertente saltarmi addosso con i suoi 100 kg, trascinandomi per terra. Questo è l’antefatto con cui è iniziato un incubo fatto di dolori alla schiena, notti insonni e preoccupazioni, e che mi ha portato a quel calvario che dura da oltre cinque mesi. All’inizio ho minimizzato, nonostante la percezione che qualcosa di grave fosse successo. Ho sperato che il passare del tempo avrebbe risolto tutto. Così ho continuato come se niente fosse, dedicandomi a lunghe passeggiate, l’unica attività che non mi dava problemi. Ma dopo un mese il dubbio che non fosse la soluzione divenne una verità impossibile da ignorare. Da qui l'inizio dell'angoscia e dell'inquietudine, e l’inferno, perché questo è stato, delle visite mediche. Un vai e vieni dal medico di famiglia, a lottare, per avere un riscontro, e un minimo di empatia, mai pervenuta. E poi ricette e prenotazioni, visite specialistiche, lastre, laser terapia. Tanto e di tutto, ma senza nessun beneficio, solo tanto sconforto. Mi sono sentito veramente solo e impotente, di fronte ad una sanità pubblica incapace di dare risposte, ed una privata che si ti accoglieva subito, ma senza darti la sensazione di prendersi veramente a cuore il tuo caso. Ho capito che aver bisogno della sanità vuol dire condannarsi a vivere in un girone dantesco, dove si gira nella miseria e nell’abbandono agognando una risposta, in un caos generalizzato fatto di ticket e attese, appuntamenti e improvvisazione. Altri mesi passati così, allo sbando, senza sapere quale effettivamente fosse la causa di tutto questo, fino a quando, consigliato da una collega, non mi sono rivolto al suo fisioterapista di fiducia. Un incontro alla settimana, in cui ho sentito al mio fianco la presenza di una persona disposta a lottare con me, a fare dei tentativi, per sistemarmi pezzo dopo pezzo. Non sempre è stato semplice, spesso ho titubato, e ancora oggi non so se le cose sono state fatte tutte nel modo corretto, ma avere qualcuno convinto che sarei guarito è stato d’aiuto, tanto quanto la manipolazione del fisico. Dopo ogni seduta mi sentivo meglio, un dolore spariva, anche se ne usciva uno nuovo dove prima non c’era. È stato un periodo in cui mi sono costantemente analizzato, ho soppesato ogni azione, valutandone l’impatto e la reazione del fisico. Ero uno scienziato che annotava cosa andava bene e cosa no, cosa fare e cosa no, nell’attesa di poterne discutere con chi poi mi avrebbe dato una risposta. Settimane di incontri, di domande, in cui tutto aveva un principio, una spiegazione, un razionale. Ma ad un certo punto mi è stato detto che altro non si poteva fare, tutto dipendeva dal coccige, deviato, così come risultava dalle lastre. Ho dovuto prendere una decisione, se volevo guarire andava raddrizzato. L’alternativa era non risolvere, non vivere, mentre io volevo lasciarmi tutto alle spalle, e riprendere la vita così come l’avevo sempre conosciuta, libero. Perché è proprio questo il punto, ad un certo punto mi sono sentito vulnerabile, incatenato, impossibilitato nel fare. Ho abbandonato progetti, cammini, acquisti, sogni, semplicemente perché non potevo più portarli avanti. Tutto quello che mi dava gioia era precluso, e il pensiero era sempre fisso a ciò che non potevo più fare. Ero troppo abituato a vivere senza preclusioni, e questa nuova condizione mi uccideva. Non stavo più vivendo. Non volevo vedere più nessuno, né fare alcunché. Esisteva solo il dolore, l’incertezza della diagnosi e delle cure, la paura che potesse essere cronico. Ero tormentato da questi pensieri. Mi sono sentito solo, ho voluto essere solo, isolandomi. Alla mia famiglia ho nascosto tutto, e a domande specifiche ho sempre minimizzato. Poi un giorno il medico del lavoro, che era venuto in ufficio per una visita prevista dalla legge, mi ha dato la scossa. In modo spontaneo e disinteressato ha fatto un passo in più, che esulava dal motivo per cui era lì. Vedendomi turbato ha voluto spostare l’attenzione dalle questioni meramente burocratiche alla mia realtà, e in pochi minuti mi ha aperto gli occhi. Mi ha raccontato cose che mi hanno lasciato stupefatto. Avevo le lacrime, aveva capito la profondità della mia angoscia, di quel disagio da cui non riuscivo a staccarmi, e semplicemente mi ha ricordato che spesso è tutto nella nostra testa. È bastato questo per aggiungere un tassello alla guarigione e portarmi lì dove sono adesso. Non è cambiato molto da gennaio, ancora lotto contro alcuni dolori, ancora ho bisogno dell’aiuto degli specialisti, ancora mi domando quale sia il prossimo step, quali esercizi mi facciano bene, cosa posso fare e cosa no. Ma ho capito che ho altre possibilità, che la vita non è finita, che ci sono persone messe tanto peggio che nella gravità della loro situazione non hanno mollato, e continuano a vivere a testa alta. Se non posso più andare in bicicletta andrò in piscina. Se non posso portare lo zaino andrò in montagna leggero. Se non riesco a stare seduto mi porterò un cuscino che mi dia sollievo. E così sto facendo. Non è il massimo ma è quello che adesso la vita ha da offrirmi. Non posso più rimuginare sui se e sui ma. Ne cullarmi nel rancore per chi ha causato tutto questo. È una realtà che devo accettare così com’è, con la speranza che un giorno tutto si sistemi. Per questo parlo di un prima e di un dopo. Un prima in cui davo tutto per scontato, inconsapevole della precarietà della vita, e di quanto molte cose fossero futili, e un dopo in cui mi sono svegliato da un bel sogno con il culo per terra. Ho rivalutato l’esistenza, in primis il lavoro, e ridato a molte cose la giusta dimensione. Bisogna vivere il momento, adesso, senza aspettare tempi migliori, perché del futuro non v’è certezza.

Ho avuto paura, e ancora ho il timore che non guarirò, che il dolore resterà, cronico. Ho sentito dire che il dolore fa parte del viaggio, non lo sapevo, e non lo aspettavo così presto, perché non mi sono mai reso conto che il tempo stava passando veloce, e che non sono più un ragazzino. Credevo che avrei vissuto all’infinito così come sempre, in salute, ma scoprire che la verità è diversa è stato un colpo difficile da sopportare. Adesso ho fatto pace con quanto sto affrontando, ma sono convalescente, perché riconosco che nella mia mente l’equilibrio è debole, precario. C’è una flebile speranza, a cui non voglio ancora credere, così resto coi piedi per terra, pensando solo al presente. Mi sento una persona diversa. Tutto quanto successo mi sarà d’aiuto, e forse mi farà crescere, dandomi nuove consapevolezze.

Non avrò altra vita al di fuori di questa, non devo dimenticarlo. y

csxqp: rolling stones - “paint it, black”

martedì, maggio 13, 2025

 


qualche mese fa ci siamo trasferiti in un nuovo magazzino, molto più grande di quello dove stavamo prima, e molto più vicino al negozio dove le biciclette vengono poi vendute, due fattori che in pratica rendono il mio lavoro davvero molto più semplice e più comodo. all'inizio però ho guardato con molto sospetto a questo trasferimento, come del resto ahimè faccio sempre con tutti i cambiamenti, ma poi ho cominciato ad abituarmi, a strutturare il mio lavoro adattandolo intorno a questi nuovi spazi e a queste mutate condizioni e ad apprezzare i pregi di questa nuova sistemazione, mettendone in secondo piano i difetti, che pure ci sono. ci sto provando: devo imparare a concentrarmi sulle porte che si aprono invece che su quelle si chiudono, forse è davvero l'unico modo di superare questo irragionevole vizio che ho di affezionarmi maledettamente alle cose.
da qualche giorno ho ricominciato ad andare a lavoro in bici dopo la lunga ed estenuante pausa invernale: si è fatta attendere, è sempre troppo timida la ragazza, ma alla fine si è affacciata anche da queste parti, irresistibile e sensuale, la primavera. così ho scoperto che c'è un aspetto di questo cambiamento che, devo proprio ammetterlo, è estremamente positivo: il percorso per raggiungere questo nuovo magazzino è, se possibile, perfino più bello dell'altro.
certo è più breve, e questo un po' quasi mi dispiace, inoltre i saliscendi da affrontare sono molto più ripidi, e laddove prima potevo cavarmela con un dolce e graduale dislivello qui c'è una salita in cui ogni volta che arrivo in cima mi tocca girarmi per controllare di non aver lasciato indietro un polmone (non è vero, sono un contaballe, era per dare al racconto un po' di tensione drammatica, in realtà la pigrizia prende il sopravvento quasi subito, i polpacci si ammutinano, scendo dopo pochi metri dal mio fidato catorcio e poi lo spingo a mano, insomma scalatela voi 'sta montagna, se ne avete voglia, io passo. che poi a dirla tutta non è vero neanche questo, la verità è che cerco ogni volta di fare qualche metro in più di quello che ho fatto il giorno precedente e a furia di piccoli obiettivi di avanzamento prima o poi ce la farò a farla tutta, quella maledetta salita. ecco, questa mi sembra la versione più bella delle tre, e in ogni caso lascio a voi decidere quale sia quella vera).
però dopo che mi lascio alle spalle il quartiere universitario, la porta nord, e le ultime paciose propaggini residenziali della città ecco che giro una curva e improvvisamente mi trovo al cospetto di una campagna maestosa, un trionfo di verde e cielo che ogni volta, immancabilmente, mi sorprende e mi lascia senza fiato. sono sempre felice di trovarmi lì, in bici, e pedalando mi scorrono a fianco cascine e maneggi, prati e campi coltivati, colline e fattorie, mucche e cavalli, papere e aironi, alberi imponenti e nuvole in fuga, mentre il sole, imperturbabile e magnifico, benedice ogni cosa.
si lo so cosa state pensando, probabilmente sono il solito uomo di città così irrimediabilmente inurbato da emozionarsi a sproposito non appena vede un ramo e due fili d'erba. forse, ma è più forte di me, questo aprirsi degli spazi e questo verde a rotta di collo mi riempiono sempre di meraviglia, mi mettono di buonumore, il cuore mi sobbalza, l'anima mi si illumina, e ride. andare a lavoro diventa una cosa bella, che faccio volentieri, e non è poco.
è una piccola fortuna in più fra le tante che so di avere, e ne sono grato. f

csxqp: joe strummer & the mescaleros - "x-ray style"