tabacchi fc, ovvero tabacchi football club, ovvero tabacchi fancazzisti, ovvero un blog creato da quelli che si ritrovano la sera a giocare a calcetto nel parco tabacchi, quello spicchio di verde fra via tabacchi (appunto) e via giambologna, a Milano. Ovvero un contenitore per metterci tutto quello che ci passa per la testa...

martedì, gennaio 07, 2025

 

 

si, lo so, non ve lo sapete spiegare, sembra assurdo anche a me: sono dannatamente lento, ho la goffa reattività di un bradipo nei movimenti e in qualsiasi gesto della quotidianità, sono temporeggiatore e indolente in ogni decisione della vita, eppure, incredibilmente, mi sono appassionato a qualcosa che ha nella rapidità e nella destrezza la sua ragion d'essere.
ebbene si, da un po' di tempo a questa parte mi è venuto il pallino dello speedcubing, ovvero quella disciplina che si propone  di risolvere il cubo di rubik nel minor tempo possibile. la passione nacque qualche anno fa, quando vidi un documentario sull'argomento e ne rimasi folgorato, e passai diverso tempo a chiedermi: ma come diavolo fanno? al di là del cubo in se, che è un oggetto decisamente affascinante, mi parve di scorgere in quel frenetico turbinio di colori una genialità assoluta e inavvicinabile di pensiero e azione, di cervello e dita, che mi lasciò letteralmente a bocca aperta. nel tentativo non dico di capire quella genialità, ma almeno di intuirla, mi cimentai con il metodo per principianti (da qualche parte su questo blog trovate un vecchio post su quell'esperienza, che probabilmente dice più o meno le stesse cose di questo che sto scrivendo).
non me lo so spiegare nemmeno io, cosa mi abbia veramente affascinato: forse l'idea di saper trovare sempre un ordine nel caos, (un caos particolarmente caotico per giunta, fatto da 43 miliardi di miliardi di possibili permutazioni diverse), o il piacere rilassante di avere qualcosa in mano da muovere per rilasciare stress ed energie negative. forse mi colpì molto rendermi conto che i muscoli delle dita ricordano molto bene quello che il cervello poi dimentica, o forse ancora giocò un ruolo decisivo il desiderio di conoscere il cubo per utilizzarlo nel fare magia (altra bislacca passione che mi porto dietro da qualche anno a questa parte). non saprei, fatto sta che col tempo ho perfino imparato ad aprirlo, a regolarlo, a lubrificarlo, mi sono cimentato con alcune delle sue infinite varianti, e sento il bisogno di portarmelo dietro ovunque vada.
ne riparlo ora, di questa passione per il cubo, perché soltanto da poco sono finalmente riuscito a imparare una prima versione del metodo avanzato, che utilizza algoritmi più eleganti e soprattutto molto più efficienti, e porta benefici innegabili sui tempi di risoluzione. tranquilli, non c'è rischio che mi smentisca, lento ero e lento rimango, i miei tempi non sono decisamente un granché, però devo ammettere che la cosa mi ha dato davvero un'enorme soddisfazione, soprattutto perché prima di riuscirci ci ho provato mille volte, e mille volte ho gettato la spugna in preda alla frustrazione (non ce la posso fare, è tutto troppo complicato, ma che ti credevi, mi dicevo, e in realtà dicevo anche maledizione signor rubik, al diavolo te e la tua invenzione, cose così, insomma ero molto scoraggiato). poi è scattato qualcosa, quasi all'improvviso, e ce l'ho fatta a padroneggiare il tutto, non ci avrei davvero più scommesso, ed è stata una bella sensazione: quell'inebriante scossa di entusiasmo che accompagna sempre l'imparare cose nuove, anche se piccole o inutili come questa. nel riuscirci però ho trovato un'ulteriore conferma che non c'è nessun tipo di genialità in ballo: ora che ho capito il meccanismo che ne sta alla base quello che mi lasciava a bocca aperta in una risoluzione di pochi secondi continua ovviamente a lasciarmi a bocca aperta, ma per motivi diversi: chi ci riesce non è un genio, ma uno maledettamente e straordinariamente bravo.
così mi sono perfino riproposto di cimentarmi, prima o poi, con la risoluzione del cubo da bendato, che fino a poco tempo fa, da profano, mi sembrava un'abilità quasi ultraterrena appannaggio di poche menti elette, e invece si basa su un metodo forse intricato ma fattibile, certo complesso, ma molto più semplice di quanto mi sarei mai aspettato.
scrivo tutto questo solo per esprimere un pensiero che mi viene in mente ogni volta che faccio progressi con qualcosa, un piccolo promemoria che cerco di non dimenticare e che non mi stancherò mai di condividere: probabilmente non c'è davvero nulla che con un po' di allenamento o dedizione non si possa fare, o imparare, o comprendere. che si tratti di scrittura, disegno a mano libera, giocoleria con le clave o fisica subatomica, se c'è qualcosa che vi entusiasma ma che non avvicinate per paura di non essere all'altezza, beh state commettendo un errore, e vi sottovalutate ingiustamente: tutto è alla portata di tutti, a patto di trovare tempo, voglia e pazienza da investire. non bisogna arrendersi mai! f

csxqp: the stooges - "1970"

martedì, dicembre 24, 2024


Sono grato a questo 2024 perché mi ha restituito un amico che temevo di aver irrimediabilmente perso. Ritrovarlo entusiasta, propositivo, disponibile a nuove avventure mi ha reso felice regalandomi un inaspettato momento di giubilo. Non so quale sia stata la scintilla, l’evento scatenante, ma posso intuire da alcuni discorsi, che condivido e mi sono fatto spesso anch’io, che è arrivato anche per lui quel momento in cui ci si ferma a riflettere su quanto fatto e quanto ci aspetta, ed emerge l’esigenza di ridefinire le priorità, trovare un diverso equilibrio, dando alla nostra esistenza un nuovo impulso, slancio, direzione. Abbiamo raggiunto quella maturità che ci porta a sapere come vorremmo sia la nostra vita, perché non ne avremo un’altra da spendere. Così ci rendiamo conto che forse è inutile sacrificare tutto sull’altare del lavoro, mentre è sicuramente più significativo coltivare relazioni, passioni, interessi, dando il giusto peso ad ogni cosa. Nessuno ci restituirà il tempo passato davanti ad uno schermo, in riunione, lontano dai nostri affetti. Siamo arrivati a un punto dove non possiamo più permetterci che il lavoro condizioni negativamente ogni aspetto della nostra vita, spingendoci sempre verso quel limite, quella deriva che ci porta ad essere l’ombra di noi stessi. Imbruttito, stanco, stressato, è così che spesso mi sento alla fine della giornata. Mi arrendo e soccombo, sacrificando ogni altra cosa. Non è normale che l’unico sollievo diventi tornare a casa e infilarsi nel letto. Questo è il male, per noi come persone e per la nostra salute mentale. Ne risente il fisico, ma anche la nostra umanità, la nostra ricchezza culturale. Il lavoro non basta, non è tutto, e non può essere l’unico orizzonte delle nostre giornate. A capirlo ci sono arrivato piano, a piccoli passi. Forse è questa convinzione che ci ha dato consapevolezza di quello che adesso è veramente importante e deve essere la priorità. 

I fasti post adolescenziali non torneranno, ma riavere jj fra noi mi riempie di gioia. In verità è sempre stato presente, o meglio quasi sempre, perché per un certo lasso di tempo ne avevamo perso le tracce, tanto da farci preoccupare, spingendoci fino a contattarne la moglie. Di quel periodo non abbiamo mai veramente parlato, e un poco mi sento colpevole, per non esser stato più insistente, convincente, pressante, nel tendergli con più forza la mano, nel caso ne avesse avuto bisogno. Con lui ho un grosso debito, che non riuscirò mai a ripagare, e una riconoscenza che non mi fa mai dimenticare quanto sia importante l’amicizia, quanto uno sconosciuto possa diventare una presenza fondamentale, quanto possa cambiarti la vita, e salvarti dal tuo abisso. Perché per me lui è stato questo, un ragazzo che ho incrociato ai tempi dell’università, con cui per una qualche inspiegabile ragione ho legato, e che mi ha accompagnato aiutato supportato, anche inconsapevolmente, quando era necessario. Se adesso sono quello che sono lo devo a quei pochi amici che nel corso degli anni hanno impedito che mi perdessi, spronandomi, volendomi al loro fianco, continuando a cercarmi, condividendo assieme un pezzo di strada. Fra loro Luigi, che meglio non posso descrivere se non come un pilastro di quella famiglia acquisita che la vita ci regala e ci tiene vicino. 

In questi anni sono sempre state le visite di f a dettare i tempi dei nostri incontri, quasi che senza di lui, e la sua indomabile volontà di tenerci uniti, vedersi non fosse possibile. In verità non c’era nessuna valida ragione che ci impedisse di frequentarci, al di fuori di quelle serate, e infatti è bastato un messaggio sul cellulare perché succedesse. È iniziato tutto in autunno, con un invito per pranzo, rinnovato a breve distanza con il pretesto della bicicletta. Ritrovarsi è stato come riprendere un discorso mai interrotto. Abbiamo ricominciato a parlare di progetti futuri, concerti, di un cammino che fantastico di fare da qualche tempo, della possibilità di raggiungere Lecco in bicicletta, di rivedere il tfc on tour, di nuovo. Non potevo credere alle mie orecchie. Ero sorpreso, stordito, impreparato e inebriato da tutta questa partecipazione. Ci siamo lasciati con tante idee e l’impegno di ritrovarci presto. E così come promesso ieri ci siamo fatti gli auguri al planetario. Inconsapevolmente ho riunito in un solo posto e nello stesso momento la catena di affetti dei miei ultimi trent’anni. Seduto sopra una sedia girevole del Portalupi li osservavo da lontano. Ho scattato loro una foto, di nascosto, per fissare il momento, immortalandoli come gli eterni ragazzi, che sempre resteranno tali nei miei ricordi, e nel cuore. Bentornato jj, mi eri mancato. y

csxqp: eddie vedder - “rise”

domenica, novembre 03, 2024

 


cose trovate per terra #3

- se ti dico black poem, cosa ti viene in mente?
- si li conosco, dai.. è quel gruppo metal norvegese, vero? sono quelli di smash the devil with your baby. se non ricordo male sono stati famosi una decina di anni fa, quando andavamo alle medie.
- sei fuori strada. quelli erano i black pond, gli anni fa sono già più di venti, purtroppo, e comunque era slash your baby with the devil.
- caspita, che memoria. d'accordo, allora, fammi pensare… black poem hai detto... è una nuova droga? (si sfrega le mani) se si voglio provarla subito.
- sei un cretino. no, niente di tutto questo. si tratta di un modo molto divertente di scrivere qualcosa.
- (deluso) ah, ok.
- ...
- ...
- ...
- da quando in qua ti interessa la scrittura?
- ti sorprende, che mi interessi?
- un po' si, in effetti.
- a me invece sorprende che ti sorprenda.
- guarda, ti dirò, a me sorprende che ti sorprenda che mi sorpr… oddio, mi sono perso. (ridono entrambi). vabbé, insomma, mi vuoi dire cos'è 'sto black poem?
- prendi la pagina di un libro qualsiasi, la leggi, scegli alcune parole e cancelli con un pennarello tutte le altre. quelle che hai scelto, lette di seguito, dovrebbero creare qualcosa di completamente nuovo e inaspettato: una poesia, un mini racconto, o quello che vuoi tu.
- un lavoro di sottrazione insomma
- esatto, bravo! come fai a conoscere l'espressione "lavorare di sottrazione"?
- ti sorprende, che la conosca?
- si, moltissimo
- beh, a me invece sorprende che..
- (interrompendolo con uno schiaffo sul braccio) sei proprio scemo (ride). se vuoi te ne leggo uno. l'ho scritto, o meglio, l'ho cancellato, proprio l'altro giorno. sei pronto?
- vai.
- "un po' di vino, per di più in un treno, per dire semplicemente: sono qui. la tua presenza è meditazione, è una ginnastica, un modo di parlare. eccomi, sono paul. sono qui per amarti, con il viso tumefatto, tutti i giorni."
- ...
- ...
- ...
- beh?
- è molto, ecco... strano. ma mi piace.
- (imbarazzata) dai, lo dici solo per non farmi restare male.
- no, giuro, dico sul serio. stavo solo riflettendo su quale storia ci possa essere dietro al povero paul, sembrerebbe che la fatica di un amore a distanza lo lasci fisicamente molto provato.
- (ride) cretino, guarda che non è affatto facile tirare fuori qualcosa di sensato da una pagina utilizzando solo qualche parola qua e là. è divertente per quello, in realtà.
- si lo immagino, non volevo mica prenderti in giro. quello che voglio dire è che in questo modo ogni pagina viene ridotta in frantumi, e questi cocci si possono riattaccare per costruire qualcos'altro, magari una nuova storia. ogni scheggia può accendere l'ispirazione per un nuovo racconto.
- (lo guarda ammirato) è questa da dove diavolo l'hai tirata fuori? devi smetterla davvero con la droga.
- (ride) dai, scema, ne hai un altro?
- (cerca fra i suoi fogli, ne trova uno, lo solleva e inizia a declamare, stavolta impostando la voce) "gli sciacalli si aggiravano in limousine. l'èlite. nei loro salottini sontuose stoffe e ambiti parrucchieri, abbondanza. divertimenti vietati ai cani"
- anche questo non è male, parla di disuguaglianza e lotta di classe. potere ai cani! sai che in effetti non sembra per niente facile?
- beh, ci vuole un bel po' di immaginazione, e bisogna saper adattare la punteggiatura. ma possono venir fuori delle cose semplicemente surreali e divertenti. senti questo: "il piede diceva che la frutta aveva dovuto confortarlo. aveva molta febbre. per fargli coraggio gli abbiamo voltato una canna".
- (ride forte) questo è davvero bellissimo, mi sembra davvero un buon modo per far riprendere il piede!
- (ride anche lei) vuoi provare?
- ma si, dai, ora mi hai davvero incuriosito. però non so se sono capace: se viene una cosa tremenda promettimi che lo buttiamo.
- non esistono cose tremende quando fai qualcosa di creativo. ti strappo una pagina e ti cerco una penna.
- (fingendo una fitta dolorosa al petto) mi viene male però, a vederti strappare una pagina da un libro.
- si, all'inizio pure a me faceva strano. ma questo libro l'ho trovato su una bancarella, come vedi è tutto ingiallito e secondo me non l'avrebbe preso davvero nessuno. anzi, molto probabilmente sarebbe finito presto al macero.
- va bene, mi sento meno in colpa, allora.
- vai, dimmi stop quando vuoi (scorre le pagine con il pollice)
- stop
- ok, questa sarà allora la tua pagina. (la strappa e fa per dargliela) tieni.. oh no, cazzo!
- guarda come fila
- ti alzi tu a prenderla?
- non so se ne ho voglia. è già lontana.
- dai la carta è biodegradabile, lasciamola lì. ci spostiamo su quella panchina dietro gli alberi? là dovrebbe tirare meno vento.
- d'accordo (si spostano)
- tieni, ti ho strappato un'altra pagina (gliela porge insieme ad una penna), questa invece sarà la mia. ci diamo quindici minuti d'accordo? e poi vediamo cosa è venuto fuori.
- allora comincio?
- comincia. e guai a te se mi distrai. f

ccxqp: dominique lapierre - "la città della gioia"

domenica, ottobre 20, 2024

 

 

pensa te, mi son detto, probabilmente sono tantissimi, in ogni paese, i posti al di fuori delle rotte classiche e risapute del turismo che meritano un viaggio. i posti poco conosciuti dove non hai mai pensato di andare, che non hai mai intercettato se non per l'eco lontana di una battaglia o una squadra di calcio, che sai che esistono ma non sapresti nemmeno collocare su una mappa. è un pensiero che mi ha attraversato sempre tutte le volte che un pezzo di italia nascosta mi si è rivelato per la prima volta (qualche mese fa, ad esempio, mi è capitato di fare una gita a macerata, e l'ho trovata, con sorpresa, davvero incantevole), e mi si è riproposto la settimana scorsa, in occasione di un viaggio in spagna per un matrimonio. chi l'avrebbe mai detto, che le asturie fossero così belle? pensa te, non fosse stato per quel matrimonio non le avrei probabilmente mai viste, e sarebbe stato un vero peccato, perché è davvero una regione affascinante, dominata dal blu dell'oceano e dal verde delle foreste: ci sono lunghissime spiagge urbane e scogliere di smeraldo che si tuffano nell'acqua, ci sono moli, porti, fari, surfisti, e gabbiani a non finire, ci sono piccole insenature di sassi nascoste e deserte, vivaci e affollati paesini di pescatori, e città ricche di storia e architetture sorprendenti. ad avvolgere il tutto, la presenza maestosa dell'oceano: lo sguardo che corre sull'acqua per me è sempre un'esplosione di libertà, una vampata di meraviglia, e va detto che non c'è posto qui che non capisca la solennità dell'orizzonte, che non sappia elogiarlo e rendergli omaggio come si deve. l'oceano, bontà sua, è stato capace perfino di rendermi tollerabile la pioggia, e ho detto tutto.
a rendere le asturie un posto davvero speciale c'è sicuramente la gentilezza e l'ospitalità dei suoi abitanti, sempre pronti a offrirti aiuto quando ne hai bisogno, e a metterti a tuo agio con una tranquillità e un'assenza di stress che ho trovato sorprendente perfino venendo dalla germania. no te preocupes, no pasa nada, e che sarà mai, vedi quanti problemi inutili uno si fa alle volte. e poi, da menzionare, è il modo sconsiderato in cui si mangia da queste parti, i mitici menu del dia (finalmente pronunciati correttamente) sono tanto economici quanto incredibilmente abbondanti, primo secondo e dolce (e fette di pane alte tre dita) in porzioni esagerate, quasi criminali, alla bud spencer: si chiamano così probabilmente perché uno basta per tutto la giornata. e poi qui non si può ordinare un caffè senza ricevere anche due churros, il prosciutto crudo si inizia a mangiare a colazione e non si smette più, carne ovunque, come se non ci fosse un domani, e piatti locali che sono l'incubo di ogni nutrizionista.
così se avete tempo e voglia viaggiare, non avete problemi pregressi di colesterolo, e non vi vengono idee per una meta diversa dal solito, non posso che consigliarvi di fare un salto da queste parti, ci sono stato davvero bene, ed è davvero una meta perfetta per passare qualche giorno. f
p.s. questo post non è stato in alcun modo finanziato o sponsorizzato dalla pro loco o dall'ufficio del turismo delle asturie!

csxqp: ska-p - "circo ibérico"

venerdì, settembre 20, 2024


Non so se vi sia mai capitato che ascoltando un certo motivo vi sentiate ogni volta pervasi da una sensazione, un ricordo, e ne siate completamente immersi, avvolti, anche con una certa malinconia. A me è successo stamattina, e succede ogni volta che alla radio sento la sigla di una trasmissione che ormai è in onda da oltre tre decadi, sempre uguale a se stessa. 

È inverno, siamo in montagna, a Brusadaz, nei giorni successivi al Natale. Siamo in vacanza, e come ogni anno passeremo il periodo delle feste in quella che era la casa dei nonni paterni. È mattina presto, ci aspetta una lunga giornata sulle piste. Io e mia sorella siamo in calzamaglia e dolcevita, il pentolino del latte è sulla stufa, mentre la caffettiera borbotta sul gas. La cucina è fredda, mio padre è sceso prima di tutti per accendere il fuoco, ma ci vuole pazienza, è una lotta impari, soprattutto quando la casa è chiusa da mesi, i vetri delle finestre sono sottili, ed il vento trova ovunque spazi dove insinuarsi. Davanti alla porta abbiamo un salsicciotto di tessuto, dovrebbe aiutare a tenere lontani gli spifferi, ma non vuole mai stare là dove dovrebbe. Noi bambini ci stringiamo sul divano mentre i grandi organizzano la tavola. Il sole stancamente fa capolino da dietro le montagne e filtra attraverso le tende fatte all’uncinetto. Sono felice, la scuola è un lontano ricordo, non ho pensieri, se non quello di arrivare alle piste e sperare non ci sia troppo casino per parcheggiare, comprare il giornaliero (o i “punti”) e prendere la seggiovia. Le tute sono appese fuori, in corridoio, al gelo. Solo l’idea di doverla indossare mi fa venire i brividi. I guanti, il cappello e la sciarpa invece sono dentro, al tepore che piano piano si sta creando, un po’ per la legna che finalmente arde a dovere, un po’ per la nostra presenza. Il bagno è l’ambiente più angusto e gelido, nessuno ci si sofferma troppo. Indugiare con le mani sotto l'acqua non è fisicamente possibile. Ci si lava in fretta e furia. In sottofondo abbiamo sempre la radio accesa, sintonizzata sul secondo canale, l’unico che prende. Ogni mattina la sigla del Ruggito del Coniglio ci da il buongiorno. Ma è tardi, bisogna muoversi, darsi una spicciata. Raccogliamo vestiti, cose e idee, si esce. L'aria è frizzante, il panorama stupendo. È il momento di salire in macchina, oltrepassare la collina e goderci la giornata.

Sono passati trent’anni ma il ricordo di quei giorni è ancora vivido, indelebile. y 

clxqp: patti smith - “just kids”

martedì, settembre 17, 2024

 

  

 

mi hanno sempre incuriosito, tutte le volte che mi è capitato di intercettarle in rete, quelle iniziative che ti propongono di fare quotidianamente qualcosa di creativo, solitamente per un mese, fornendo come condizione soltanto un unico paletto non negoziabile: un dettaglio, un concetto o una parola a cui attenersi, una scintilla insomma che serva da innesco per far esplodere la creatività.
l'idea di fondo, che trovo molto interessante, è che ad essere importante non sia tanto il risultato o la qualità artistica di ciò che si fa, ma la costanza con cui ci si dedica a farlo: allenarsi è ovviamente fondamentale per migliorarsi, e farlo ogni giorno, nell'ambito di queste piccole sfide con se stessi, ritagliando consapevolmente nella giornata uno spazio anche minimo per quella cosa creativa che ci piace fare, si rivela spesso cruciale per diventare più bravi (e, alla fine, divertirsi ancora di più).
ma quello che più mi incuriosisce e affascina di tutto questo è soprattutto il ruolo dell'input esterno, dello spunto: avere un vincolo o un limite che riduca l'immensa varietà delle cose che si possono creare diventa in qualche modo uno stimolo decisivo per una sfida di lunga durata, senza il quale probabilmente si rinuncerebbe dopo pochi giorni, persi nell'infinito delle possibilità. il paletto diventa il punto essenziale a cui l'ispirazione può aggrapparsi per darsi una bella spinta.
ed è un sistema che funziona davvero, mi è capitato di sperimentarlo recentemente anche con la serie di racconti ispirati a cose trovate per terra. mi piaceva moltissimo l'idea di scrivere di più ma non sapevo proprio di cosa, e fotografare cose strane in cui mi sono imbattuto sul marciapiede per poi scriverci sopra un racconto è stato lo stimolo giusto: i racconti che sono venuti fuori non sono ovviamente un granché, ma il punto è che ora ho davvero un sacco di idee per cose che vorrei scrivere.
insomma, quando v mi mi ha proposto una di queste sfide come passatempo per l'estate in vista delle vacanze ho accettato con entusiasmo. ci siamo cimentati con la fotografia, e il nostro paletto è stato un colore: verde per lei, e come avrete probabilmente intuito dalle foto qui sopra, arancione per me (un colore che, chissà perché, mi piace e mi attira sempre). l'idea era quindi semplicemente quella di fotografare ogni giorno per un mese qualcosa di quel colore, e non contenti di un paletto soltanto ci siamo dati un paio di vincoli aggiuntivi: l'oggetto doveva essere fotografato nel suo contesto, evitando il più possibile di metterlo artificialmente in posa (anche se un paio di foto hanno trasgredito a questa regola, nei giorni in cui per mancanza di tempo non si è trovato nulla da fotografare e si è dovuto tirar cercare qualcosa in casa mettendolo sul tavolo); e l'oggetto del giorno, una volta scelto e fotografato, doveva restare quello: non valeva fotografare più cose di quel colore e poi decidere la sera quale fosse l'oggetto venuto meglio, e questo ha contribuito a rendere di volta in volta molto avvincente la scelta del soggetto, aggiungendo un tocco di estemporaneità creativa a questo piccolo gioco.
parlo diffusamente di questa piccola sfida su queste pagine virtuali perché è stato davvero molto divertente farla: ne sono venute fuori foto che ammirate nel suo insieme mi danno molta soddisfazione. è stato un esercizio molto utile, vista la mia recente saltuaria passione per la fotografia (sto continuando con piacere a fare foto con la vecchia macchina fotografica analogica di mio padre, e per la prima volta ho messo un rullino a colori per vedere cosa salta fuori): alla fine dei trenta giorni avevo individuato un mio stile, ovvero inquadrature per lo più molto ravvicinate, in cui il contesto, riconoscibile ma solo accennato, facesse spiccare il soggetto arancione, e avevo sviluppato un occhio molto attento per le cose e per i dettagli di quel colore. non solo al mare, dove avevo previsto fosse più facile trovare soggetti adatti, ma anche una volta rientrati in città ho scoperto che ci sono così tante cose da fotografare che mi sono rammaricato più volte che la sfida fosse finita così presto. l'arancione (come ogni altro colore, del resto) non manca mai, le cose interessanti da fotografare nemmeno, e non l'avrei mai detto all'inizio del gioco.
così se avete voglia di fare qualcosa di creativo, che sia scrivere, dipingere, fotografare, disegnare, comporre musica o girare video, ma non sapete da che parte iniziare, questo piccolo modo di creare funziona: ritagliatevi ogni giorno uno spicchio di tempo, inventatevi un paletto, e divertitevi. f

csxqp: annenmaykantereit  - "orangenlied"

sabato, agosto 24, 2024

 


cose trovate per terra #2

lato a
1 un viaggio sarebbe solo una parentesi in mezzo ad una lunga frase piena di ripetizioni: casa, ufficio, spesa, tv. casa, ufficio, spesa, tv. ufficio, tv, spesa, casa. ogni due settimane il bridge con le amiche. mi sento persa.
2 no, non mi servirebbe una parentesi, ho bisogno di mettere un punto, qualcosa di definitivo, e andare a capo. lasciare tutto, per ritrovare tutto. il mio collega nuovo l'ha fatto: ha preso la famiglia, e cambiato continente. vorrei poterlo fare anch'io. ma in fondo, perché non posso?
3 non è certo bello, ma ha coraggio, è quello che a me manca. ha gli occhi profondi di chi ha visto, e vissuto, e non teme. vorrei che tom tornasse ad avere gli stessi occhi. tv, casa, spesa, ufficio.
4 è stato bello che ci abbiano invitato a cena, ogni tanto ci vuole qualcosa di nuovo. la moglie ha una delicata esuberanza nei modi, capelli e lentiggini a profusione, il figlio gli stessi occhi del padre, in cui ci si può tuffare e nuotare al largo. il dolce con le banane fritte era delizioso, così come la musica. sarà per via delle musicassette, (una vera sorpresa, erano anni che non ne vedevo), ma mi ha portato lontano, indietro nel tempo. è stato molto carino, a regalarcele. voglio ascoltarle, devo chiedere a tom dove le ha messe.
5 chissà come dev'essere stare sospesi in equilibrio fra due mondi, mescolare entusiasmo e nostalgia, sentirsi vivi.

lato b
1 al diavolo anton. a me la nostra casa piace, mi piace la nostra città, le nostre passeggiate, mi piace alla sera guardare la tv con karen, e fare la spesa insieme. il mio lavoro non è male, e ogni due settimane allo stadio con gli amici. mi sento al sicuro, ecco, e sono certo che per lei sia lo stesso.
2 non sei certo bello: basso, pallido, quegli occhi così inquietanti, e un'accenno di calvizie che, credimi, con il passare del tempo avanzerà inesorabile. mi ero fatto un'idea diversa dei brasiliani. chi te l'ha fatto fare, di fare tutta questa strada?
3 eppure ho visto come ti guarda, quella matta. la conosco abbastanza per sapere che la sua mente è altrove, quando ti vede. è cambiata, e mi manca. vorrei che ritornasse qui.
4 odio il vostro strascicato e inquieto modo in cui pronunciate la vostra lingua, mi fa venire il mal di mare. e poi tutto questo ostentato struggimento, se avete tutta questa nostalgia tornatevene da dove siete venuti, e restateci.
5 perciò al diavolo anton, o antòn, o come cazzo ti chiami. al diavolo tua moglie, così strana, e tuo figlio, così triste, e soprattutto al diavolo la tua musica. non è arrivata, lì da voi, la tecnologia? al diavolo anche lo sguardo sognante di karen, quando l'ascolta. e poi, santo cielo, ma come vi viene in mente di friggere le banane? f

csxqp: chico buarque de hollanda - "o que serà (à flor da terra)"