La fretta, è con questa che inizia ogni giornata, perché quando mi sveglio è già tardi, per fare tutto quello che mi piacerebbe vorrei dovrei, ma per cui non c'è abbastanza tempo. Alzarsi prima non servirebbe, qualcosa resterebbe comunque indietro, fuori, o stretto e strizzato in quei pochi secondi che gli rimarrebbero. La maledetta fretta mi accompagna tutto il giorno: c'è quella di arrivare in ufficio, che spesso mi impedisce di lavare denti e viso. Quella di perdere il bus, che mi spinge ad attraversare col rosso e a correre, nel momento in cui si avvicina pericolosamente rapido alla fermata. Quella di andare in posta a ritirare un pacco, al fermo point a consegnarne un altro, e poi via a mangiare, e se ci riesco anche a fare la spesa, sfruttando quell'ora che dovrebbe essere un momento di pausa (pranzo) ma nella realtà è solo fonte di ulteriore affanno, stress, frenesia...
Qui si dice "se vai piano, non sei di Milano". E così si corre nel gestire le email, nel rispondere al telefono, nell'andare in bagno, nel pagare l'affitto, prendere il semaforo verde, l'appuntamento dal dottore, la metro al volo, l'offerta al supermercato, le medicine prima che la farmacia chiuda...
E' un rincorrersi, c'è la necessità, che poi è obbligo, di incastrare tutto, per fare tutto. Ma è un dannarsi per rimanere immobili, fermi fissi lì dove si è sempre stati. Anni fa avevo iniziato a sentire dei discorsi controcorrente. Stavano provando a venderci un sogno, prospettando un vivere alternativo, quello sintetizzato dal concetto che gira intorno alla decrescita felice, al meno ma meglio, dove il rallentare è un valore, come lo sono lo slow food, la circolarità dell'usato, il chilometro zero, la bicicletta, lo smart working. Tutti strumenti per realizzare un nuovo equilibrio fra vita privata e lavoro, benessere e produttività, salute e profitto. L'avere meno come condizione per la felicità. Rinunciare a qualcosa per vivere in maniera più sostenibile, magari contribuendo al perseguimento di un interesse che sia anche e soprattutto collettivo. L'idea è di svolgere si un'attività, di lavorare, ma non ad ogni costo, al solo fine del lucro, del guadagno, calpestando valori e umanità, bensì mettendo al centro le persone, il loro benessere. E invece nulla, io sono ancora qui fermo intrappolato nell'ingranaggio, in quel dannato circolo vizioso, come prima, se non peggio, a rincorrere, sfinirmi, annientarmi, per cosa poi non riesco più neanche io a spiegarmelo. Pensavo che il mio obiettivo fosse quello di conquistarmi un posto nella società, una solidità fatta di casa, lavoro, famiglia, ma in verità sto solo agognando quello che gli altri si aspettano da me, e da tutti voi. Ho sbagliato e continuo a sbagliare, ma alcuni errori li faccio consapevole che sono l'unico modo per avere quel minimo di tranquillità che mi farà dormire la notte.
Il problema è che tutto questo inizia a pesarmi. La frenesia, le urgenze, ed in sintesi il lavoro ci sono e per il momento resteranno, nonostante la crescente inquietudine sia un chiaro segnale che la misura è colma, e presto una svolta sarà necessaria. Il mio corpo mi lancia messaggi, che poi sono i dolori che mi attanagliano il fisico e la mente. Il non volermi fermare è la condizione per non cadere a pezzi, per impedirmi di pensare, di riflettere e prendere una decisione, per quanto difficile possa sembrare adesso continuare così come ho sempre fatto. Non ho tempo da dedicarmi perché non voglio averne, l'idea di prendermi una pausa mi spaventa, perché mi metterebbe con le spalle al muro, davanti ad un ventaglio di prospettive che non voglio prendermi la responsabilità di valutare. Meglio rimanere concentrato su priorità che non sono le mie, o che comunque non rappresentano una fonte potenziale di cambiamento. Ultimamente però mi sono chiesto se un primo passo potrebbe essere quello di cercarmi un appartamento, comprarlo, e crearmi uno spazio che sia tutto mio. Un’idea sulla carta entusiasmante e intelligente, anche perché la casa rimane in prospettiva un ottimo investimento, ma ci sono troppi ma a cui dare peso, e l'immobilismo è sempre la scelta più semplice e facile. Se non si fosse capito odio il cambiamento, e perché avvenga devo esserci costretto, non avere alternative. Così lo è stato quando sono uscito di casa, perché di fatto non ce n’era più una in cui stare, e così dovrà esserlo anche sul lavoro o nella vita, perché ne prenda pienamente il controllo senza lasciarmi trascinare dalla corrente, che sceglie per me.
Un giorno ti guardi allo specchio e ti rendi conto che non sei più il ragazzo di vent'anni che avevi sempre visto, immaginato, pensato e creduto. A me è successo quest'anno, e l'impatto è stato tremendo. Cosa ho fatto in tutto questo tempo? cosa ho costruito? a cosa ho dedicato anima e cuore? Si corre, ci si affanna, si crepa, senza neanche uno scopo, un obiettivo, se non la sopravvivenza. y
"no Maria, io esco."
csxqp: "kanye west ft. pusha - runaway"


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