tabacchi fc, ovvero tabacchi football club, ovvero tabacchi fancazzisti, ovvero un blog creato da quelli che si ritrovano la sera a giocare a calcetto nel parco tabacchi, quello spicchio di verde fra via tabacchi (appunto) e via giambologna, a Milano. Ovvero un contenitore per metterci tutto quello che ci passa per la testa...

domenica, giugno 21, 2009



avevo scritto due parole sul senso di libertà che mi trasmette la montagna, in contrapposizione alla città, ma tutto sembra vano, inutile, ora che le notizie dal mondo irrompono nella mia tranquilla giornata, aprendo una ferita. Ho appena sentito il telegiornale, visto una ragazza morire, per strada, mentre manifestava, sono triste, s'è spenta un'altra vita, e ogni altra cosa ha perso di significato... ma come si fa, che gente è, in nome di che Dio si può fare questo? In un mondo in cui non si ha nemmeno il diritto di aspirare a vivere dignitosamente, e in cui il rispetto della vita umana è un dettaglio trascurabile, come si può andare avanti? Lo sconforto è enorme, che schifo, vergogna, bestie! Avete rotto i coglioni, dovete sparire, siete il cancro della società, l'abominio della razza umana, il frutto malato di una cultura deviata. Ormai abbiamo perso la rotta, smarrito la direzione, l'involuzione è reale, s'è oltrepassato ogni limite, e procedendo in questo senso non vedo futuro.

Mi domando spesso se abbia significato perdere la vita per un ideale, se la cosa più preziosa che abbiamo sia sacrificabile per la libertà, se sia preferibile una vita da pecora o un giorno da leone, ma non trovo mai risposta, perché non riesco a immedesimarmi, non so cosa significa l'oppressione, la prevaricazione, l'ingiustizia, e quindi non so risponde, ma solo crucciarmi, per tutto questo male.

Oggi è un giorno triste. Ora vado a votare, prima che sia troppo tardi...
LIBERTA' per l'Iran. y*

cvxqp: wim wenders - "il cielo sopra Berlino"

sabato, giugno 20, 2009





i concerti danno completezza alla musica. ti permettono di ascoltare le canzoni in una veste comunque diversa, ne esaltano le rotondità o le spigolosità. ti consentono di dire "io c'ero". ma alcuni suoni, alcuni testi, alcune canzoni mi appartengono così profondamente (e così inspiegabilmente, dopo tutto) che a volte la musica dal vivo è semplicemente solo un modo per toccare con mano la magia, soppesarne la consistenza, e grattarne via un pò dalla superficie per mettersela in tasca.
il pubblico del palasharp non era certo quello delle grandi occasioni, sabato scorso. ma per le poche centinaia di persone accorse lì con me era sicuramente un'occasione di quelle immense, irripetibili, irrinunciabili. sinceramente non pensavo che sarei mai riuscito a vederli, a meno di organizzare una apposita trasferta a dublino, o a glasgow, o a londra, dove capita che suonino ogni tanto. e invece, incredibilmente, eccoli a milano: così sono corso qui, da solo, facendomi spostare un turno dopo neanche una settimana di lavoro, stipato in mezzo a svariate magliette verdi, odore di birra, sudore, qualche bandiera irlandese, pronto dunque a essere parte della magia, e a toccarla con mano. così come per gli slf qualche tempo fa, leggenda e folgorazione.
"anche i miei eroi sono poveri, si chiedono troppi perché" cantava guccini in una vecchia canzone. ora immaginate un personaggio davvero brutto, pericolosamente barcollante, un pò deforme, con il fegato visibilmente ingrossato, senza denti, un bicchiere di qualcosa di molto alcolico in mano, la sigaretta accesa e l'aria di chi, visibilmente ubriaco, non sa bene dove si trovi o cosa stia per succedere. fatto? orrendo, vero? già che ci siete immaginatelo ornato da un vistoso orecchino che gli dà un'aria un pò sinistra (come se non bastasse tutto il resto) e piratesca. ora immaginate la sua ciurma, un'accozzaglia di strani personaggi pittoreschi con degli improbabili strumenti in mano (un banjo, un flauto, una fisarmonica). noi, pigiati sotto, ci prepariamo all'arrembaggio.
se siete riusciti a immaginare tutto questo avrete shane macgowan e i pogues al gran completo: sgangherati, fracassoni e un pò folli, semplicemente uno dei gruppi che più abbia visceralmente amato da quando ascolto musica.
l'arrembaggio parte con "streams of whiskey" (guarda caso...) e si comincia a saltare, e poi una via l'altra si alternano canzoni frenetiche ("if i should fall from grace with god", la cupa "turkish song of the damned", e "greenland whale fisheries" davvero trascinante) e pezzi più lenti e d'atmosfera (la delicata "kitty" che non mi sarei mai aspettato, la struggente "dirty old town", immancabile).
la voce del pirata è rauca e impastata, ancora ispirata e potente come quella degli esordi, e le sue urla scomposte a metà canzone sono le stesse di un tempo. la musica è un bicchiere levato al cielo d'irlanda e alle nuvole gonfie. il rock, il punk e il folk si fondono e si fanno cosa sola. "the sunny side of the street" è una delle mie canzoni preferite e prepara degnamente il crescendo finale: "the sick bed of cuchulainn", la sfrenata "sally maclennane" che mi ha fatto innamorare di questa musica, la dolce "rainy day in soho", fino al gran finale, quel capolavoro di assurda anarchia che è "fiesta", dove darsi delle gran botte in testa con un vassoio è il modo per tenere il tempo, in questo pezzo così perfetto per una rissa da saloon in un film western.
la fine del concerto mi ha lasciato nuovamente folgorato e ancora incredulo, perchè sono riuscito a veder suonare uno dei miei gruppi preferiti e perché shane macgowan è riuscito miracolosamente a rimanere, fino alla fine, in piedi. f

csxqp: the pogues - "sally maclennane"

venerdì, giugno 19, 2009





nonostante l'umiliazione subita nell'ultima partita (un raggelante -35) rivedere l'olimpia di nuovo in finale è stata una piccola gioia inaspettata, e lo spettacolo orrendo dell'ultima (ampiamente prevista) sconfitta con siena chiude in modo inglorioso una stagione che, invece, è stata davvero gloriosa.
gloriosa perché l'olimpia di quest'anno ha saputo rialzarsi molte volte e ritrovare se stessa come squadra, nonostante tutta una serie di cose (gli infortuni, l'avvio di stagione disastroso, le numerose partite ormai vinte e poi perse all'ultimo tiro, l'assenza di un'organizzazione di gioco degna di questo nome) sembrasse remarle contro, scoprendo nell'umiltà e nell'unione le risorse che le hanno permesso di osare e di superare i propri limiti.
ma gloriosa soprattutto perché ha saputo ripetutamente stupirmi: le vittorie apparentemente impossibili contro grandi squadre d'europa (su tutte il cska, ma anche l'olimpiakos, o il real madrid), la qualificazione alle top 16, le otto partite vinte consecutive, e infine la finale sono state tutte imprese incredibili, entusiasmanti, vissute, impreviste e appunto, stupefacenti.
a volte basta buttare il cuore sul campo per mettere tutto il resto, tutto quello che non va, in secondo piano.
mi è tornata in mente un'altra stagione sorprendente e sbalorditiva, visti i mezzi e le attese. dalla finale del 2005 a questa sono cambiate molte cose, e molte cose sono successe: vittorie, sconfitte, situazioni, persone. e, naturalmente, anch'io sono cambiato. però la gioia del gioco, e la passione, e il crederci sempre, e la voglia un pò ingenua di farsi stupire, beh, quelle sono rimaste immutate.
giunto alla fine del mio quinto anno a bordo campo ho fatto un paio di calcoli e ho scoperto che ho visto le ultime centoventisei partite interne dell'olimpia. centoventisei partite casalinghe consecutive, a cui va aggiunta qualche trasferta. centoventisei e non ho ancora voglia di disintossicarmi! f

clxqp: nick hornby - "febbre a 90"

mercoledì, giugno 17, 2009





e così, dopo una laurea, un lungo periodo di lavoro stipendiato soltanto dagli applausi della gente e dai sorrisi delle ragazze e un lungo periodo di infinite preghiere e smisurate bestemmie, incalzato dall'ansia indefinita di essere qualcosa e inframmezzato solo da qualche minuscolo lavoro (rigorosamente in nero) e qualche fregatura, dopo tutto questo, dicevo, la mia prima settimana di lavoro come gelataio. un impercettibile sospiro di sollievo: rieccomi fuori dalla disoccupazione, nella parte produttiva del paese, con un contratto rigorosamente precario e un pò di sana stanchezza in più la sera.
dall'inflazione alla stracciatella, passando per shakespeare: può suonare come un percorso decisamente anomalo ma alla fine, pensandoci bene, non lo è poi così tanto. lo dico senza inutile sarcasmo: mi sembra un percorso per certi versi molto comune e perfettamente coerente con il mondo del lavoro che oggi, in italia, fatica a offrire spazi e opportunità adeguate. ma forse mi sbaglio, queste opportunità ci sono, e sono solo io che non ho ancora imparato a cercarle come si deve.
nel frattempo, questa va bene. comunque che credete, quello del gelataio è un lavoro faticoso, forgiare palline di gelato e impilarle su di un cono è una cosa solo apparentemente semplice ma in realtà maledettamente complessa, che richiede l'apprendimento di una tecnica e ore di duro allenamento. per non parlare dei gusti e della loro multiforme molteplicità: conoscerne ingredienti, composizione, provenienza e ogni variante richiede totale dedizione e uno studio costante, con frequenti corsi di aggiornamento.
scherzi a parte quello che in realtà mi ha colpito è la complessità che si cela dietro il bancone di una gelateria: un piccolo mondo allo stesso tempo caotico e organizzato, fatto di storie, persone, traiettorie, urti, macchie.
a pochi metri da dove mi sono allenato a distribuire gelati mi sono imbattuto sull'asfalto in un'altra delle scritte sulla costituzione che, come ormai sapete, mi piacciono così tanto, e ogni volta mi fanno cadere la mascella per lo stupore e le braccia per la rassegnazione. è l'articolo 36, e visto che questo post nel suo piccolo parla di lavoro lo trascrivo qui (lo so, vi ho già rotto abbastanza con queste scritte, ma perdonatemi ancora una volta): "il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa." non lo trascrivo per fare polemica: forse pecco di ingenuità, ma lo trascrivo perché mi sembra abbia la bellezza perfetta, sincera e commovente, di una poesia riuscita. f

csxqp: the clash - "career opportunities"

domenica, giugno 07, 2009



C’è stato un tempo in cui non esistevano né sabati né domeniche, né feste né amici, né viaggi né mostre, ma solo lo studio. Non mi capita spesso di ripensarci, a quei momenti, ma ogni tanto si ripresentano, soprattutto nel dormiveglia, o nei fine settimana, quando la mente, libera da impegni, può divagare, e abbandonarsi alle più disparate riflessioni.
Non vi nego che sono felice di essermi lasciato alle spalle quegli anni bui, in cui i giorni avevano tutti la stessa cadenza, in cui le mattine e i pomeriggi erano fatti solo di libri, e la mia unica speranza era di raggiungere, il più velocemente possibile, una data, quella dell’esame, che mi avrebbe finalmente liberato, nel bene o nel male. Si trattava di giorni, settimane e mesi in cui smettevo di vivere, in cui la scrivania era l’unico orizzonte della mia giornata, e la quotidianità era scandita da un’inflessibile programma fatto di studio e cibo, studio e sonno. E così sono trascorsi cinque anni, in questo psico-incubo, che ora mi fa rabbrividire, lasciandomi perplesso, a sospirare, sull’utilità del mio agire, sul metodo, sulle privazioni, sulle fatiche e pressioni a cui mi sono sottoposto. Credo soprattutto di aver spinto il mio fisico oltre un limite che il solo ripensarci ora mi scombussola, lasciandomi un diffuso senso di angoscia. Non voglio oltremodo drammatizzare quello che è stato, ne sono così presuntuoso da pensare di essere il solo ad aver vissuto certe situazioni, ma sono stati dei giorni difficili, ed il sapere che non si ripresenteranno più mi fa sentire bene, sollevato. Non riuscirei più a sostenere quell’impegno, né vorrei, come mai e poi mai lo augurerei a qualcuno. Studiare a memoria interi libri tanto da saper indicare per ogni pagina la prima e l’ultima parola, gli spazi e la posizione delle immagini; ripassare mentalmente ogni singola riga, in ogni possibile momento della giornata, in macchina, in bagno, sull’autobus, la sera prima di addormentarmi, tormentandomi, mettendomi continuamente alla prova, per poi lanciarmi in maratone di ripasso nei fine settimana, fino ad arrivare ai giorni prima dell’esame, quando raccoglievo tutte le energie per compiere quello sforzo mentale che ora descriverei come trascendentale ma che allora era solo il sinonimo della fine di un periodo travagliato. Un incubo, insomma.

Ora rido, grazie a Dio quel Johnny Mnemonic che sono stato è a riposo, e secondo gli ultimi studi ci sono buone possibilità che il cervello riesca a rigenerarsi, perché molte cellule temo di averle bruciate, in quegli anni. Oggi è domenica, sono sereno, sdraiato sul letto, a leggere, mi sono goduto la giornata, come del resto mi godo la settimana, perché, timbrato il cartellino, sono finalmente libero, e mi rallegro, come mai in passato, di essere il padrone assoluto del mio tempo. y*

clxqp: jonathan carroll - “ciao Pauline!”

p.s. non so perché ho voluto raccontarvi tutto questo, in fondo c’era già in pista un altro discorso, ma oggi è andata così, è stato un momento di riflessione, sul tempo, sprecato (molto) in passato, e dissipato (più o meno) felicemente, ma liberamente, ora.