tabacchi fc, ovvero tabacchi football club, ovvero tabacchi fancazzisti, ovvero un blog creato da quelli che si ritrovano la sera a giocare a calcetto nel parco tabacchi, quello spicchio di verde fra via tabacchi (appunto) e via giambologna, a Milano. Ovvero un contenitore per metterci tutto quello che ci passa per la testa...

mercoledì, febbraio 24, 2010





ho camminato su una spiaggia lunga centinaia di chilometri, su una sabbia che, quando la si prendeva in mano, sembrava viva. ho mangiato (o meglio: ho lasciato lì, a malincuore) il panino più enorme e più farcito che abbia mai visto in vita mia. ho quasi imparato il portoghese, in una versione improbabile e spudorata, e un pò troppo spagnoleggiante. mi sono servito (non so nemmeno io come) di questa lingua improvvisata per farmi capire, per parlare di tutto (dal governo di lula al rigore di baggio nel '94), per raccontare barzellette e per descrivere l'italia. ho bevuto in una settimana tante birre quante solitamente non arrivo a berne in un anno. ho visto da lontano, dallo stesso punto, i grattacieli e le favelas di san paolo. mi sono scottato sotto uno spietato sole rovente. un paio di birre le ho bevute in bar che definire malfamati è un complimento. mi sono abbandonato ad un caffè di una dolcezza quasi insostenibile (per non parlare del vino, le bevande sono tutte maledettamente dolci laggiù). ho respirato, amato, vissuto una parentesi d'estate in un paese senza cartoline. ho visto una cabina del telefono alta cinque metri e un semaforo alto tre, in una città che si definisce esagerata (e infatti è da lì che viene anche il panino). sono diventato un tifoso sfegatato del palmeiras, e ho imparato come si sfottono i sanpaolinos e i corinthianos. ho ascoltato il choro, e cercato inutilmente dischi di chiquinha gonzaga e dei legiao urbana. ho attraversato l'oceano, per la prima volta da solo. sono stato accolto e ospitato da tantissime persone con un'amicizia, un affetto e una dolcezza che ancora adesso mi lasciano completamente senza parole. ho bevuto la caipirinha (ovviamente, mi raccomando, di cachaça pinga), e l'acqua di cocco direttamente dalla noce. ho ballato una samba davvero ridicola. ho mangiato churrasco, e una quantità incredibile di carne sommersa di contorni incredibili (banana fritta, radici di mandioca, ananas grigliato, e ottimi fagioli) in piatti enormi innaffiati con succhi di frutta mai vista prima (succhi molto dolci, s'intende). ho assaggiato la goiaba e l'acerola. ho visto carri di carnevale abbandonati sulle strade di itu e mongaguà. ho cercato sulla spiaggia quello che chiamano filo dental, ma con mio grande rammarico non ce n'era. ho quasi vinto un torneo di cacheta. sono rimasto con la bocca aperta di fronte all'avvolgente e sconosciuto cielo stellato di un emisfero capovolto. mi sono commosso, e ho pianto anch'io lacrime irrefrenabili al momento degli addii.
insomma, per farla breve: sono diventato, almeno per un po', anch'io brasileiro, e avrò per sempre un po' di saudade.
valeu, e abraçao! f

csxqp: chico buarque de hollanda - "meu caro amigo"

venerdì, febbraio 19, 2010


Non sono un fotografo, e neanche un appassionato, né un critico, ma solo uno a cui piace catturare un preciso momento per trattenerne la bellezza nel tempo… dico questo perché mi sono reso conto di quanto sia diverso il mio vivere la fotografia da chi di questa ci campa o ci bazzica. Ho un’abissale ignoranza sul profilo storico, non conosco i maestri come non ne conosco l’opera, non seguo le mostre, non studio le tendenze, non leggo le riviste, non mi diletto nei concorsi, ma ho delle convinzioni.
Per certi versi sbaglio, e ne sono consapevole, e per certi altri sto cambiando, ma non troppo, o quantomeno troppo velocemente, perché seguo un’idea. Il mio dogma è/era incentrato su un totale rigetto dell’establishment fotografico così da escludere ogni influenza e con ciò ogni tipo di emulazione: non conoscere = non copiare = non mutarmi. Ultimamente però, frequentando un corso, mi sono reso conto di come una stessa situazione possa essere vissuta da decine di persone in maniera diversa e così riportata con sfaccettature differenti sulla pellicola. Mi sono accorto che posso confrontarmi senza correre il rischio di perdere la mia peculiare visione delle cose e della fotografia. Questa considerazione mi ha portato alla convinzione che mettendo da parte la sensibilità del fotografo, che è e rimane un valore individuale e personale, nell’immagine io possa vedere la tecnica, quella che tanto infondo mi interessa e che mi sento in dovere di affinare. Vedere ora i lavori altrui è per me più opera di studio che d’interesse, guardo l’oggettività, le specifiche, cercando così di conoscere i rapporti di causa effetto, di come un risultato sia il frutto di precise impostazioni. Così se per un verso ora posso trovare un’utilità alle mostre per l’altro constatarne spesso la pochezza mi lascia sempre alquanto perplesso. Lo so, è un discorso vecchio, trito e ritrito, che prima o poi tutti si trovano ad affrontare, anche stupidamente, ma è un pensiero dal quale non posso prescindere: la soggettività dell’arte, del discernere il capolavoro dal banale, il bello dal pessimo, il genio dal mediocre… chi è legittimato a decidere?

Forse ho mentito sapendo di mentire, ma ora rileggendo, rileggendomi, mi rendo conto che quello che ho scritto non è del tutto vero, perché nel cercare “la tecnica” talvolta mi trovo sorpreso dal “punto di vista”, e poi dai colori, dal contrasto, dal tipo di stampa, ma è raro. Forse è più corretto dire che ho un gusto talmente specifico che la mente, là dove non riesce ad esser appagata dall’immagine, ricerca quantomeno la tecnica. Forse la verità sta proprio qui.

Tutto questo per dire cosa? che non mi sento di idolatrare i fotografi? che c’è un’impostazione di base che non condivido? che ho un ego smisurato? …non lo so, è tre giorni che ci giro intorno e mi ritrovo con un insieme di frasi spezzettate, abbozzi di discorsi, prese di posizione senza seguito. Troppa carne al fuoco: il mio pensiero, il mondo della fotografia, le mostre, la mia avversione a quelle verità assolute che ci propinano, la difesa strenua del gusto personale, la centralità della tecnica… forse volevo semplicemente raccomandarvi di seguire l’istinto, di fare quello che vi piace, di farlo innanzitutto per voi, di non lasciarvi influenzare dalle sirene, di aprirvi al mondo senza perdere la vostra individualità, spronarvi a continuare ad affidarvi alla vostra propria indiscutibile sensibilità… e così non ho paura di ammettere, a costo di apparire arrogante, che sono poche le foto che a distanza di settimane sanno ripresentarsi alla mia mente e farsi apprezzare come la prima volta, come sono pochi i complimenti che dispenso, e ancor minori le mostre che mi lasciano qualcosa, ma riesco ancora a sorprendermi. y*

clxqp: carlos ruiz zafòn - “l’ombra del vento”