all'apice della mia carriera agonistica sono stato per molti anni la riserva del playmaker di riserva in una squadra che ha girato tutti i campi più sperduti e scalcinati della provincia di torino. ok, non sono andato poi molto lontano, ma fin dal primo momento in cui ho preso in mano una palla, e l'ho buttata a terra per palleggiare, il basket mi è entrato senza scampo nel sangue, alterandone per sempre la composizione: i miei globuli non sono né bianchi né rossi, ma arancioni, e a spicchi.
tutto questo per dire che negli ultimi tempi, avendo un campo vicino a casa e degli amici contagiati dallo stesso morbo, ho riscoperto non solo la gioia quasi d'altri tempi di sudare dietro un pallone e lanciarlo dentro un canestro, ma anche che il gioco, nonostante il lungo periodo di inattività, continua chissà come a scorrermi nelle vene, e a ispirare i miei movimenti. mi ha sorpreso ritrovarlo ancora lì, perfettamente intatto, nelle mie braccia e nelle mie gambe, a trent'anni esatti da quando ho iniziato a giocarlo (e questa frase, insieme agli acciacchi che inevitabilmente fanno seguito ad ogni partita, mi fa sentire irrimediabilmente vecchio), un po' come aprire un baule polveroso e vederne saltar fuori una vecchia foto, o un oggetto carico di ricordi che si credeva perduto per sempre.
il basket, si sa, è poesia in movimento. seppure con lo stesso scarso talento di sempre, sono felice di riuscire ancora a comporne qualche verso. f
csxqp: belvès - "hoy por fin"