tabacchi fc, ovvero tabacchi football club, ovvero tabacchi fancazzisti, ovvero un blog creato da quelli che si ritrovano la sera a giocare a calcetto nel parco tabacchi, quello spicchio di verde fra via tabacchi (appunto) e via giambologna, a Milano. Ovvero un contenitore per metterci tutto quello che ci passa per la testa...

sabato, maggio 07, 2022


Parafrasando una celebre pubblicità potrei dire “toglietemi tutto ma non il… latte”. Ho già avuto modo di scrivere che se me ne dovessi privare tanto varrebbe morire, un’affermazione esagerata che fa sorridere, ma che forse è meglio argomentare, giusto per farvi capire quando è profondo questo disagio.
Il latte è oggetto di abitudini diverse, e opinioni contrastanti. C’è chi è intollerante, chi lo rifiuta per una convinzione etica, chi lo beve con moderazione o solo a certe condizioni, e chi non può farne a meno, come il sottoscritto. Ma anche fra chi lo utilizza è e resta un tema articolato, se non controverso, perché ognuno ha le sue idee, le sue convinzioni, il suo rituale, il suo modo di berlo, nelle condizioni che meglio crede. E così c’è chi lo vuole solo freddo, chi caldo, chi mischiato ad altre bevande e chi no, chi zuccherato e chi al naturale, in tazza o in bicchiere, scodella o direttamente dalla bottiglia. Inoltre per la sua stessa natura, che lo rende oggetto di lavorazione, può presentarsi sotto forma di almeno due dozzine di varianti, in modo che ognuno possa avere quello che preferisce: intero, scremato, parzialmente scremato, crudo, biologico, integrale, microfiltrato, senza lattosio, pastorizzato all’inglese, fresco, UHT, a lunga conservazione… volutamente non ho citato quello di soia, e tantomeno quello di riso, inquanto non fanno parte della famiglia, non hanno il pedigree per essere tali, essendo poco più che banali imitazioni, surrogati frutto della modernità. Li ho provati entrambi, e se quello di soia forse può essere concepito solo nella sua versione vaniglia o cioccolato, come fosse un budino più liquido del dovuto, quello di riso è improponibile, sembra di bere acqua sporca, dove un imbianchino si è appena lavato le mani.

Per me esiste solo il latte fresco, intero, preferibilmente della centrale del latte di Milano. Lo assumo solo sotto forma di caffelatte, caldo, poco più di un terzo di litro, due volte al giorno, con tre cucchiaini di zucchero. In passato le dosi erano tre, mattina, pomeriggio e sera, ma la vecchiaia non me lo permette più, e così ho dovuto ridurre a due, togliendo la razione dopo cena. È la base della mia alimentazione, e la necessità è tale che per essere tranquillo devo averne di scorta in frigorifero almeno un litro, meglio due, soprattutto il fine settimana, quando lo assumo tranquillamente in dosi massicce noncurante delle lamentele del mio stomaco. Finché sono a casa la routine è molto precisa e la soddisfazione è massima. I problemi sorgono quando sono fuori, quando non posso gestire le cose personalmente, quando insomma sono in balia degli eventi e mi devo affidare a quello che trovo. Le difficoltà più grosse si presentano inevitabilmente in vacanza, con la colazione in albergo, o al bar, dove è complicato poter avere più di un assaggino, e bisogna sempre accontentarsi di un cappuccino o un latte macchiato, che paragonati ai miei standard sono lontani anni luce dal potermi vedere soddisfatto. Per essere felice ne avrei bisogno almeno tre. In queste occasioni l’unico sollievo me lo può procurare il tanto famigerato (per gli italiani) Starbucks, dove ordinando il mezzolitro mi sento finalmente a casa. Tuttavia raramente ho la fortuna di incrociarne uno, così la maggior parte delle volte mi devo rassegnare e rimanere deluso. Un’altra situazione che devo fronteggiare con metodo è la colazione con gli amici. Quando l’appuntamento è al bar è d’obbligo che io mi presenti già con la prima dose casalinga in corpo, altrimenti arriverei di cattivo umore, e poi comunque rimarrei insoddisfatto. A volte è importante conoscere i propri limiti e intervenire prima, altrimenti la delusione è dietro l’angolo. Per questo motivo tutte le volte che andiamo a Carpaneto, dove i miei amici hanno un’abitazione, prima ancora di entrare in casa facciamo una sosta al distributore del latte, qualsiasi sia l’ora, così da garantirci (garantirmi) un risveglio felice (e magari un ribattino serale). Quando invece mi fermo dalla mia ex non c’è niente da fare, li sono impotente e disarmato, non ho strategie o accorgimenti da mettere in campo, mi devo arrendere all'evidenza e saltare la colazione, o accontentarmi di una tazza di thè.
Ma oltre che come alimento il latte ha per me una valenza antidepressiva. È un abbraccio, avvolgente e ristoratore. È il sentirsi a casa, sicuro e protetto. La sera vado a letto felice perché so che al risveglio ci sarà ad aspettarmi una tazza di caffelatte. Questa per certi versi è riconosciuta come la mia unica gioia della giornata, l’unica certezza positiva di ogni mio domani. L’eventualità di alzarmi e non poter far colazione è il preludio ad una giornata di merda, iniziata male e destinata a finire peggio, a meno che non si riesca a rimediare. Così quando tutto gira storto mi affido convinto al caffelatte, soprattutto la sera, dopo il lavoro, quando ho il morale a terra, anche se so perfettamente che per il fisico sarà un duro colpo, e probabilmente manderò a quel paese la cena. Mi concedo questo extra bonus consapevole che se sul piano pratico nulla cambierà, su quello emotivo ne sarò enormemente sollevato, regalandomi un momento di pace e piacere, lontano da pensieri e grattacapi.

Nel mondo animale dopo i primi mesi di vita si verifica il fenomeno dello svezzamento, e l’assunzione di latte viene interrotta. È una informazione interessante su cui possiamo riflettere, ma per me è andata diversamente, e quel giorno non è ancora arrivato. Che io ricordi il latte è sempre stato parte della mia vita, come fonte di sostentamento e gioia, e spero sinceramente di non diventarne mai intollerante, perché ne morirei. Viva il latte, sempre e comunque! y

csxqp: achille lauro - “latte+”

p.s. se vi state chiedendo con cosa accompagno il mio tanto amato caffelatte la lista è lunga, e anche su questo aspetto c’è tutta una logica, di gusti e priorità, di momenti della giornata, insomma, c’è della malattia. Nel tempo ho provato ogni tipo di prodotto da forno e questa è la selezione finale consolidata. Per la colazione è d’obbligo avere una brioche all’albicocca del mulino bianco. In alternativa, assai raramente, pane tostato e marmellata. In aggiunta, se la situazione lo consente, biscotti e/o fette biscottate. Questi ultimi di norma sono chiamati in causa nel pomeriggio, quando la scelta può ricadere sulle macine (mulino bianco), sui frollini zalet e valtellina (galbusera), o la new entry zuppalatte (colussi). Se voglio stare leggero mi indirizzo sulle fette biscottate integrali, mentre quando mi voglio regalare uno sfizio mi concedo un trancio di torta dell’esselunga. In rari momenti dell’anno ho a disposizione anche le zwieback, un particolare tipo di fetta biscottata svizzera che trovo squisita (al burro). In passato nelle opzioni tra cui scegliere erano inclusi anche i cornflaks, ma non più. Mentre se il caso vuole che abbia preparato un caffellatte troppo amaro, entrano in gioco i savoiardi, che per la loro patina di zucchero sono ottimi per compensare. Krapfen e brioche di pasticceria sono sempre i benvenuti sulla mia tavola, ma raramente succede di potermeli gustare a casa.

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