È successo, il brutto anatroccolo si è trasformato in cigno, il gregario si è fatto campione. Ma andiamo per ordine. Come sapete ho una passione smisurata per la bicicletta, e per tutto quello che le gira intorno. Mi entusiasma il mezzo, la meccanica, la storia, ma anche le gare, quelle corse a detta di tutti noiosissime, lunghe circa duecento chilometri, dove si pedala per almeno cinque/sei ore, e non succede nulla (sempre a detta dei critici) fino al traguardo. Io invece le seguo con piacere e interesse, in diretta, e se il lavoro non me lo permette recupero le tappe in streaming, sul web. I miei amici non ne comprendono la bellezza, e ogni volta scuotono la testa, ma a me piacciono, veramente, e così non mi perdo una gara, anche a costo di mancare qualche uscita. Però a differenza di tanti amatori io sono sempre stato un tifoso da divano, e salvo qualche rara eccezione, come le partenze della Milano Sanremo o gli arrivi del Giro d’Italia in città, ho sempre seguito le corse in televisione, anche da bambino, quando le guardavo a casa dei nonni. Ma quest’anno è successo qualcosa di eccezionale. Il programma della stagione ciclistica mi ha riservato una sorpresa unica e irripetibile. Una tappa del Giro a Brusadaz, con arrivo in Val di Zoldo. Probabilmente queste due località non vi dicono niente, ma per me e la mia famiglia rappresentano storia e radici. Sono il luogo da cui veniamo, a cui siamo legati, e a cui ci sentiamo di appartenere. Potete immaginare quindi che emozione e giubilo nell’apprendere la notizia. Quel giorno non sarei potuto mancare, dovevo essere lì, a bordo strada, a seguire i corridori, a vivere il momento. Senza esitare ho chiesto le ferie, cinque giorni da dedicare unicamente a questo evento, e poter così assaporare pienamente l’atmosfera, i preparativi e il post corsa. Dopo settimane di attesa è arrivata la primavera, e il momento di partire. Ho caricato la bici in macchina e via, direzione Zoldo, fra le montagne, per godermi il tappone dolomitico, la gara che sarebbe passata per quel minuscolo paesino alpino dove erano nati i miei nonni, e dove era tornata a vivere mia sorella. Brusadaz era in fermento, la strada tappezzata di nastri, coccarde e bandierine. Ad ogni curva, e in ogni giardino, era stata esposta una bici, vera o stilizzata, in ferro battuto o cartapesta. La chiesa era stata decorata con dei tendaggi, rosa naturalmente, e l’asfalto era stato coperto con scritte di benvenuto e incoraggiamento. Nell’unica piazza esistente, poco più di un incrocio stradale, era stato creato uno spazio ristoro, una decina di tavoli e relative panche per una piccola festa tra i locali, per ingannare l’attesa e vivere con un po' di convivialità l’evento. Io invece, salutati gli astanti, mi ero appostato davanti a casa, con un amico, che a piedi mi aveva raggiunto dal fondovalle. Si, proprio a piedi, perché dalla sera prima tutte le strade erano state chiuse, e si poteva raggiungere il percorso solo camminando o in bicicletta. La giornata era splendida, soleggiata, così come non se ne vedevano da settimane. In lontananza si sentiva il vociare della folla, la musica a tutto volume, il fumo delle grigliate degli appassionati. Prima dei corridori sono transitate le moto, le forze dell’ordine, le auto dell’organizzazione, i giornalisti, insomma quella che in gergo viene definita la carovana, ossia quel marasma di persone che fa si che un grande giro funzioni e possa essere visto e raccontato. E poi ho sentito l’elicottero, l'inconfondibile segnale che la corsa si stava avvicinando, perché da li arrivano le immagini per la tv, e infatti ecco sbucare da un tornante i primi ciclisti, i due principali contendenti, e un gregario, che apriva la strada, dettando il ritmo. Mi sono passati davanti, senza che io riuscissi a fare nulla di tutto quello che mi ero immaginato. Niente video, foto, incoraggiamenti e folli corse. Ero immobilizzato dall’emozione, ma riconoscendo il gregario ho abbozzato comunque uno scatto. L’avevo visto tante volte in televisione, sempre davanti ad aiutare il capitano nelle salite più dure, a gestire la corsa, mettere in fila il gruppo, come oggi. Lo ammiro, per la classe, il carattere, il temperamento, lo spirito di sacrificio, per l'essere sempre a disposizione, mai una parola o un atteggiamento fuori posto, sempre al servizio della squadra. Qualche ora prima ne avevo parlato anche ad una giornalista americana, sua connazionale, che si era fermata li per vedere da vicino la tappa. E così non posso che incitare lui, anche se non vincerà, anche se fra qualche chilometro, completato il suo lavoro, si farà da parte, e quindi forza Sepp, vai vai vai…