tabacchi fc, ovvero tabacchi football club, ovvero tabacchi fancazzisti, ovvero un blog creato da quelli che si ritrovano la sera a giocare a calcetto nel parco tabacchi, quello spicchio di verde fra via tabacchi (appunto) e via giambologna, a Milano. Ovvero un contenitore per metterci tutto quello che ci passa per la testa...

sabato, febbraio 01, 2025


“sapevo che in montagna si cammina da soli anche quando si cammina con qualcuno, ma ero contento di dividere la mia solitudine con questi compagni”

Ci sono fine settimana in cui vorresti solo rimanere a letto, farti vincere dalla pigrizia, ma il tempo abbandonato all’ozio non ce lo restituirà nessuno, e così qualche volta bisogna lottare contro sé stessi, e forzarsi nel fare le cose, anche quando apparentemente non ne hai voglia, quando la stanchezza vorrebbe prendere il sopravvento. La difficoltà sta sempre nel muovere il primo passo, perché dopo qualche ora sarai contento di esserti alzato all’alba, aver tolto il ghiaccio dalla macchina, aver guidato per un centinaio di chilometri ed esserti inoltrato al gelo in un anonimo bosco sperduto nel nulla. Le premesse non sono mai troppo invitanti, e ogni tanto anche la gita ha dei risvolti poco piacevoli, ma si fa sempre tutto per passione, attratti dallo spettacolo della natura, ma anche per la gioia della compagnia, perché la cosa più bella rimane avere uno o più amici con cui condividere il momento. Questo l’ho capito negli anni, e da allora le avventure in solitaria non fanno più parte delle mie giornate.

Ho la fortuna di non dover mai pensare ai dettagli. Le uniche cose che chiedo e mi vengono date sono le informazioni di base, il dove e a che ora. Non discuto mai, anche se per l’orario cerco sempre di trattare un minimo, spingendo per spostare il ritrovo più verso le nove che non le otto. A tutto il resto pensa Lorenzo. Per quanto negli anni si sia provato a più riprese a coinvolgere i conoscenti più disparati, alla fine le camminate sono spesso un affare a due. Un giorno mi piacerebbe capire come mai, cosa abbiamo fatto in passato per spaventare così tanta gente, allontanandola da noi e dai nostri progetti. Siamo consapevoli che spesso andiamo all’avventura, senza seguire un sentiero, senza un rifugio come meta, con il pranzo rigorosamente al sacco. Come la camminata sarà serrata, prolungata e con un dislivello considerevole. E come sia scontata l’eventualità di passaggi poco agevoli, esposti, in cui con molta probabilità scivolerai, ti bagnerai e sporcherai tutto, per poi tornare alla macchina solo nel tardo pomeriggio. Ma nonostante questi trascurabili aspetti restano incomprensibili le ragioni che portano tutti a stare alla larga da noi, e dai nostri giretti.

E così questa mattina mi sono tirato fuori dal letto, dal tepore del dolce dormire, per buttarmi in autostrada direzione Val Seriana. Come da copione ero all’oscuro di tutto. Non mi interessava sapere dove saremmo andati, il dislivello o il meteo. Quello che veramente mi importava era camminare, immerso nei boschi, con al fianco un buon amico. Non è che avessi grandi pretese, ma nutrivo una flebile speranza di avere quantomeno del tempo clemente. Se non altro avrebbe aiutato l’umore e agevolato le tante ore all’aria aperta che ci aspettavano. Il freddo era pungente, le nuvole basse a rendere tutto ancora più onirico o spettrale. Bardati di tutto punto ci siamo avventurati attraversando prati imbiancati da uno spesso strato di brina ghiacciata. Dopo pochi minuti avevo già le gambe stanche, ma non c’erano alternative se non andare avanti. Ancora non lo sapevo ma tutta la giornata sarebbe stata così, a faticare, testa bassa, scarpe e pantaloni bagnati, e camminare, un passo dopo l’altro, fino a quella cima che lui aveva in mente e di cui io non sapevo nulla. L’illusione di un timido raggio di sole ci ha abbandonato subito. La realtà è stata un incedere sotto/dentro/sopra nebbia/neve/nuvole, letteralmente sperduti nel mezzo del nulla, lungo un crinale senza fine, e senza una traccia di sentiero. Nonostante le incertezze abbiamo continuato a salire, ma la mancanza di visibilità impediva di capire dove effettivamente fossimo. Eravamo semplicemente su una cresta in mezzo al bianco ovattato delle nuvole. E così a un certo punto si è insinuato il dubbio che fossimo quasi arrivati, o addirittura che fossimo andati oltre, che ci fossimo persi la svolta a sinistra, e che bisognasse tagliare, per riprendere la via. Io non sarei potuto essere di alcun aiuto. Non conoscevo la zona, non sapevo dove fossimo né dove dovessimo andare. Cosi mi sono affidato a lui, dapprima fiducioso, e poi sempre più scettico vista l’evidente confusione del momento. Abbiamo iniziato scendendo, per proseguire risalendo, tornando sui nostri passi, arrampicando, aggrappandoci a ciuffi d’erba, facendoci strada fra tronchi caduti e neve. Ovunque andassimo sembrava non fossimo sulla strada giusta, nel posto dove il cellulare indicava dovessimo andare. Per qualche tempo abbiamo ancora ripreso a salire, girando intorno ad uno sperone di roccia, per poi spingerci in un intricato sottobosco di cespugli, dove solo la magrezza e la voglia di arrivare in fondo (e ucciderlo) mi ha permesso di uscirne. Alla fine il cielo si è diradato regalandoci un momento di tregua, permettendo alla mia guida di ritrovarsi e condurci verso quello spiazzo dove saremmo dovuti arrivare qualche ora prima. Naturalmente ero furioso, uno perché ci andiamo sempre a impelagare in camminate assurde fuori sentiero, in zone sperdute dove non va nessuno e dove non c’è neanche il miraggio di un rifugio. Due perché è inaccettabile questo incaponirsi nel voler continuare a salire quando la soluzione più ovvia e agevole è dichiararsi sconfitti e tornare a valle. Si può ripercorrere a ritroso la stessa strada, o scendere seguendo la pendenza della montagna, e alla fine stai sicuro che troverai un sentiero, la strada o un paese. E invece no, avanti fino allo stremo. Nella mia testa l’ho odiato, mi sono detto a più riprese “mai più”, l’ho sfanculato centinaia di volte, e sicuramente qualche parolaccia soffocata è partita, ma lui era troppo distante, troppo impegnato a raccapezzarsi per poterla sentire. Alla fine mi ha ringraziato di non aver detto nulla, di averlo seguito come un bravo soldato segue il suo capitano, anche se avrebbe tante cose da ridire. Ho confessato che se la mia bocca era stata silente altrettanto non lo erano stati i miei pensieri, e che l’avevo ricoperto di improperi e insulti, ma non si aspettava niente di diverso, era semplicemente felice del mio contegno, della dedizione e spirito di sacrificio. 
Anche per questa volta, nonostante tutto, ci era andata bene. y

fine prima parte

clxqp: paolo cognetti - “senza mai arrivare in cima”

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