tabacchi fc, ovvero tabacchi football club, ovvero tabacchi fancazzisti, ovvero un blog creato da quelli che si ritrovano la sera a giocare a calcetto nel parco tabacchi, quello spicchio di verde fra via tabacchi (appunto) e via giambologna, a Milano. Ovvero un contenitore per metterci tutto quello che ci passa per la testa...

mercoledì, agosto 20, 2025


Sono arrivato alle ferie estive fisicamente, emotivamente e mentalmente distrutto. Partire per la montagna era quanto mi ero ripromesso di fare, e una flebile speranza mi spingeva a credere che come al solito le dolomiti mi avrebbero ridato energia e gioia di vivere. Era inutile rimanere a soffrire a Milano, nella solitudine agostana, con il caldo alle porte, e la solita routine che non prometteva nulla di nuovo/buono. Così sabato mi sono alzato di buonora, sono salito in macchina, e alle cinque sono partito sperando di evitare il traffico che per quel giorno era stato indicato da bollino nero. Dal primo momento ho percepito che il viaggio sarebbe stato un calvario, avevo male, ma ho fatto finta di niente, dovevo piegare il fisico al mio volere, volevo andare, ad ogni costo, e cercare di recuperare quella serenità che il dolore, i pensieri e le rinunce di questi mesi mi avevano tolto. Il tragitto si è rivelato senza intoppi, e passando per Vittorio Veneto in viso ha fatto capolino un lieve sorriso, ormai mi sentivo arrivato, l'aria era diversa, il paesaggio stava cambiando, la visuale dell'orizzonte spaziava all'infinito. Stavo per riabbracciare le mie montagne, la mia Heimat, i miei affetti più cari. Lungo la strada mi sono fermato nel negozio di alimentari dove lavora mia sorella. L'ho vista di spalle, alla cassa, ero felice, e l'ho abbracciata come non mai, facendo affiorare qualche lacrima, perché ero finalmente a casa, lì dove avrei potuto curarmi l'anima. Ho prolungato la stretta, un po' perché ne sentivo il bisogno, un po' perché non volevo mi vedesse nelle mie debolezze. Lei è rimasta sorpresa, perché non sono solito a questi slanci d'affetto, ma non ha detto niente, anche se le si leggeva in viso. Ancora adesso ripensandoci mi viene il magone. Non lo sapevo ma questo stato d'animo, questa angoscia, questo tormento, sarebbe stato il filo conduttore di tutta la settimana, in barba alle grandi aspettative che mi ero immaginato. Avevo ancora da fare pochi chilometri e sarei arrivato in paese, dove mi aspettavano i miei genitori, e lhasa, la loro cagnolina. Erano giorni che non stava bene, e vederla così magra, spelacchiata e col passo incerto è stato un altro boccone amaro, difficile da mandare giù. Come sempre ho cercato di non far trasparire nessuna emozione, ma nel profondo ero devastato. In queste condizioni sarebbe stato duro passare del tempo in famiglia celando il disagio che stavo covando. Ero appena arrivato e già volevo scappare. I giorni successivi non furono migliori, e più volte mi ritrovai a trattenere a stento le lacrime. Volli toccare il fondo andando al cimitero, cosa che facevo ogni anno, con l'intenzione di ritrovare tutte le persone che avevo conosciuto, e rendergli così omaggio. La visita naturalmente fu straziante, e piansi senza ritegno. Un altro giorno incrociai un caro amico, che abbracciai disperato, quasi potesse offrirmi un riparo o un aiuto da tutto questo malessere. Passeggiando nel centro incontrai anche una signora anziana, che mi aveva visto crescere, ma aveva anche perso un nipote mio coetaneo. Si chiamava Federico, mi ha ricordato che erano passati ormai 25 anni dalla sua scomparsa. Lo sapevo bene, e per tanto tempo non ero riuscito più a guardarla in viso, ne a parlarle, e tantomeno esprimerle il dolore che provavo. Eravamo amici, avevamo trascorso tutte le estati della nostra giovinezza li insieme, e diventati maggiorenni ci eravamo ripromessi di rivederci, dopo qualche anno in cui era stato via, con il padre, dopo aver lasciato la scuola. L'avevo sentito per telefono, aveva una ragazza, un lavoro, era felice, e io l'aspettavo con gioia. Non lo rividi più. Anche questa volta non seppi cosa risponderle, limitandomi a piegare la testa e trattenere le lacrime. Ma mi sono ripromesso di tornare a trovarla, e per quanto sarà doloroso dirle che di lui non ci siamo mai dimenticati, che continua a vivere nei nostri ricordi.

Sono stati giorni complicati, e il dover tornare a Milano per una visita medica è stata una liberazione. Avrei potuto fermarmi un giorno in più, ma non mi sembrava il caso, meglio rincasare, lontano da tutto e da tutti. Di li a qualche giorno sarei dovuto partire per il Monte Athos, in compagnia di tre amici, ma non mi sentivo nelle condizioni per farlo. Più volte ho pensato di rinunciare, di rimanere a casa a piangermi addosso, ma così non è stato, per fortuna. Adesso mi sento rinfrancato, nel cuore e nello spirito, ma il percorso per arrivarci è stato doloroso, complesso, intricato. Difficilmente ci sarei arrivato senza il contributo di voi tutti. Grazie. y

csxqp: the cure - "boys don't cry"

ps le prime avvisaglie di questa fragilità le avevo già avute a Pescara, quando ritrovando f in stazione mi ero lasciato andare ad un abbraccio più sentito e prolungato del solito. Anche li mi sarei voluto abbandonare ad un pianto liberatorio, quello di chi raggiunge un approdo sicuro e si libera di ogni preoccupazione, ma non l'ho fatto, anche se sarebbe stato utile. grazie f e v, anche quei giorni sono stati importanti nel portarmi qui dove sono ora.
pps non è vero che i ragazzi non piangono.

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