tabacchi fc, ovvero tabacchi football club, ovvero tabacchi fancazzisti, ovvero un blog creato da quelli che si ritrovano la sera a giocare a calcetto nel parco tabacchi, quello spicchio di verde fra via tabacchi (appunto) e via giambologna, a Milano. Ovvero un contenitore per metterci tutto quello che ci passa per la testa...

domenica, novembre 23, 2025


Quest'estate ho vissuto un'esperienza unica, irripetibile, perché ogni prima volta porta con se un'emozione speciale, senza eguali. Sarà difficile poter rivivere lo stupore, l'entusiasmo, le suggestioni ma anche l'incertezza e i dubbi che mi hanno accompagnato in quel pellegrinaggio, ma non tutto è andato perso. Il ricordo è ancora intenso, vivo, radicato nei miei pensieri. Quei pochi giorni mi hanno in un certo qual modo segnato, creando in me un interesse che adesso mi spinge verso il mondo dell'ortodossia greca, probabilmente alla ricerca di quello stato di benessere fisico e spirituale che mi aveva accompagnato in quei momenti di scoperta e libertà. Così in questi mesi ho cercato di capire dove questo credo fosse presente a Milano, e dopo un rapido controllo su internet, ho trovato la Chiesa di Santa Maria Podone. Spinto dall'entusiasmo un sabato ho provato ad andare, per vedere, capire, tentare un approccio. L'idea era proprio quella di parlare con qualcuno, e sondare quanto fosse salda la mia volontà di intraprendere un nuovo percorso nella fede. Naturalmente, vista la fortuna che porta con se questo mio anno, le porte della parrocchia erano chiuse, con catena e lucchetto, e non c'è stato modo di incontrare o interloquire con nessuno. Ho lasciato così passare qualche settimana, stando sempre attento alle comunicazioni riportate sul sito, ed alla fine ho scoperto che il lunedì successivo ci sarebbe stata la celebrazione dei "vespri", alle 19. Colto dall'entusiasmo ho subito informato Lorenzo, colui dal quale tutto ha avuto inizio, per chiedergli se voleva partecipare anche lui. Purtroppo il lavoro non gli permetteva di essere disponibile a quell'ora, così mi ha proposto di incontrarci la domenica davanti alla basilica di Sant'Ambrogio, visto che il canto che accompagna i "vespri" è comune ad entrambe le confessioni e quel giorno si sarebbero celebrati anche lì. Ho accettato perché avevo piacere nel rivederlo, ma anche perché avevo in serbo per lui un regalo, un libro di cui già gli avevo accennato, che raccontava la storia di uno scrittore, mandato al monte Athos per indagare su una persona scomparsa. L'avevo letto prima di partire per la nostra avventura in terra greca, e trovarmi fisicamente in quei luoghi descritti così magnificamente mi aveva fatto pensare che potesse essere un dono speciale, capace di rievocare quella gioia che avevamo condiviso, e così ho fatto.

La domenica ci siamo dati appuntamento davanti alla basilica. Come di consuetudine sono arrivato con largo anticipo, così ho deciso di fare un giretto, ed appurare che effettivamente a quell'ora ci fosse la funzione. Il freddo era penetrante, la chiesa gelida. Naturalmente io non mi sono fatto sorprendere, e mi sono presentato coperto all'inverosimile, con doppi pantaloni, maglione, pile, piumino, scaldacollo e cappello. Trascorso neanche un minuto un inserviente mi si avvicina, quasi volesse aiutarmi, vedendomi leggere la bacheca e gli opuscoli presenti su un tavolo. Nulla di tutto questo, mi voleva solo richiamare per via del cappello. Non era permesso indossarlo. Sinceramente mi aspettato tutto fuorché questo. Sorpreso l'unica cosa che sono riuscito a balbettare, togliendolo e facendo ben vedere la pelata, è che senza mi sarei sicuramente ammalato, visto che avrei anche voluto partecipare all'imminente funzione, e non ero li solo come turista. Questa affermazione ha rincarato l'irritazione dell'inflessibile dipendente della curia, che ha tenuto a precisare come a maggior ragione non era possibile averlo sul capo. Niente, perorare le mie ragioni non sarebbe servito, così sono uscito sacramentando per andare lì dove avevo appuntamento. Ero furente, in quei pochi passi non sono riuscito a calmarmi, e così non ho potuto che sfogarmi con il povero Lorenzo. In primo luogo cosa potrà mai importare al Signore nostro Dio se porto o meno il cappello. Capirà che non lo faccio per insolenza o sfregio della sua autorità. Capirà che sono pelato e che stando fermo in una ghiacciaia per tre quarti d'ora l'unica conseguenza che si avrà sarà un mio malanno immeritato. E poi che ne sanno le istituzioni ecclesiastiche che questo è uno specifico precetto del Santissimo. Loro si arrogano il diritto di parlare, educare e predicare in suo nome, ma da dove gli deriva questa prerogativa? Come avrete capito in quel momento con me non si poteva ragionare. Avrei voluto mandare tutti a quel paese ma non volevo rovinare la serata al mio amico, così mi sono morso la lingua, siamo entrati, ho tolto il cappello, e mi sono messo lo scaldacollo come fascia, coprendo almeno fronte e orecchie. Devo ammettere che così stavo bene, e una volta rassicuratomi che non sarebbe stato un supplizio, mi sono finalmente rilassato. Durante la predicazione, ai pochi fedeli presenti, piano piano se ne sono aggiunti altri, fra cui inizialmente due donne, dotate di cappello di lana e panamense rosso fuoco, e poi altri due ragazzi, sempre belli incappucciati. Mi aspettavo che il solerte supervisore paladino dell'ortodossia cristiana intervenisse subito ma con loro la sorte è stata benevola, e hanno potuto presenziare senza dover temere il gelo. Finita la messa ci siamo avvicinati alla cripta dove sono riposte le spoglie del santo, e anche qui un altro zelante messo mi ha chiesto di togliere il cappello, senza notare che di fatto ne fossi già sprovvisto. Pacatamente ho chinato il capo, per far vedere la pelata, e così abbiamo potuto tutti vivere felici e contenti.


Il fatto che la chiesa si perda ancora in queste formalità mi fa imbestialire, e nonostante in questa istituzione operino tante brave persone, che aiutano gli ultimi dedicando loro la vita, non sento di poterne fare parte. Non sono il primo a dirlo, ma bisogna tornare alla testimonianza di fede di Francesco, e abbandonare tutti gli ornamenti, orpelli, gioielli e sovrastrutture che rischiano di soffocare la chiesa chiudendola in se stessa e allontanando i fedeli. Spero che quella greca ortodossa possa essere più accogliente, e diventare la mia casa. y

cvxqp: alice rohrwacher - "lazzaro libero"

venerdì, novembre 07, 2025


La fretta, è con questa che inizia ogni giornata, perché quando mi sveglio è già tardi, per fare tutto quello che mi piacerebbe vorrei dovrei, ma per cui non c'è abbastanza tempo. Alzarsi prima non servirebbe, qualcosa resterebbe comunque indietro, fuori, o stretto e strizzato in quei pochi secondi che gli rimarrebbero. La maledetta fretta mi accompagna tutto il giorno: c'è quella di arrivare in ufficio, che spesso mi impedisce di lavare denti e viso. Quella di perdere il bus, che mi spinge ad attraversare col rosso e a correre, nel momento in cui si avvicina pericolosamente rapido alla fermata. Quella di andare in posta a ritirare un pacco, al fermo point a consegnarne un altro, e poi via a mangiare, e se ci riesco anche a fare la spesa, sfruttando quell'ora che dovrebbe essere un momento di pausa (pranzo) ma nella realtà è solo fonte di ulteriore affanno, stress, frenesia...
Qui si dice "se vai piano, non sei di Milano". E così si corre nel gestire le email, nel rispondere al telefono, nell'andare in bagno, nel pagare l'affitto, prendere il semaforo verde, l'appuntamento dal dottore, la metro al volo, l'offerta al supermercato, le medicine prima che la farmacia chiuda...
E' un rincorrersi, c'è la necessità, che poi è obbligo, di incastrare tutto, per fare tutto. Ma è un dannarsi per rimanere immobili, fermi fissi lì dove si è sempre stati. Anni fa avevo iniziato a sentire dei discorsi controcorrente. Stavano provando a venderci un sogno, prospettando un vivere alternativo, quello sintetizzato dal concetto che gira intorno alla decrescita felice, al meno ma meglio, dove il rallentare è un valore, come lo sono lo slow food, la circolarità dell'usato, il chilometro zero, la bicicletta, lo smart working. Tutti strumenti per realizzare un nuovo equilibrio fra vita privata e lavoro, benessere e produttività, salute e profitto. L'avere meno come condizione per la felicità. Rinunciare a qualcosa per vivere in maniera più sostenibile, magari contribuendo al perseguimento di un interesse che sia anche e soprattutto collettivo. L'idea è di svolgere si un'attività, di lavorare, ma non ad ogni costo, al solo fine del lucro, del guadagno, calpestando valori e umanità, bensì mettendo al centro le persone, il loro benessere. E invece nulla, io sono ancora qui fermo intrappolato nell'ingranaggio, in quel dannato circolo vizioso, come prima, se non peggio, a rincorrere, sfinirmi, annientarmi, per cosa poi non riesco più neanche io a spiegarmelo. Pensavo che il mio obiettivo fosse quello di conquistarmi un posto nella società, una solidità fatta di casa, lavoro, famiglia, ma in verità sto solo agognando quello che gli altri si aspettano da me, e da tutti voi. Ho sbagliato e continuo a sbagliare, ma alcuni errori li faccio consapevole che sono l'unico modo per avere quel minimo di tranquillità che mi farà dormire la notte.
Il problema è che tutto questo inizia a pesarmi. La frenesia, le urgenze, ed in sintesi il lavoro ci sono e per il momento resteranno, nonostante la crescente inquietudine sia un chiaro segnale che la misura è colma, e presto una svolta sarà necessaria. Il mio corpo mi lancia messaggi, che poi sono i dolori che mi attanagliano il fisico e la mente. Il non volermi fermare è la condizione per non cadere a pezzi, per impedirmi di pensare, di riflettere e prendere una decisione, per quanto difficile possa sembrare adesso continuare così come ho sempre fatto. Non ho tempo da dedicarmi perché non voglio averne, l'idea di prendermi una pausa mi spaventa, perché mi metterebbe con le spalle al muro, davanti ad un ventaglio di prospettive che non voglio prendermi la responsabilità di valutare. Meglio rimanere concentrato su priorità che non sono le mie, o che comunque non rappresentano una fonte potenziale di cambiamento. Ultimamente però mi sono chiesto se un primo passo potrebbe essere quello di cercarmi un appartamento, comprarlo, e crearmi uno spazio che sia tutto mio. Un’idea sulla carta entusiasmante e intelligente, anche perché la casa rimane in prospettiva un ottimo investimento, ma ci sono troppi ma a cui dare peso, e l'immobilismo è sempre la scelta più semplice e facile. Se non si fosse capito odio il cambiamento, e perché avvenga devo esserci costretto, non avere alternative. Così lo è stato quando sono uscito di casa, perché di fatto non ce n’era più una in cui stare, e così dovrà esserlo anche sul lavoro o nella vita, perché ne prenda pienamente il controllo senza lasciarmi trascinare dalla corrente, che sceglie per me.

Un giorno ti guardi allo specchio e ti rendi conto che non sei più il ragazzo di vent'anni che avevi sempre visto, immaginato, pensato e creduto. A me è successo quest'anno, e l'impatto è stato tremendo. Cosa ho fatto in tutto questo tempo? cosa ho costruito? a cosa ho dedicato anima e cuore? Si corre, ci si affanna, si crepa, senza neanche uno scopo, un obiettivo, se non la sopravvivenza. y

"no Maria, io esco." 

csxqp: "kanye west ft. pusha - runaway"