tabacchi fc, ovvero tabacchi football club, ovvero tabacchi fancazzisti, ovvero un blog creato da quelli che si ritrovano la sera a giocare a calcetto nel parco tabacchi, quello spicchio di verde fra via tabacchi (appunto) e via giambologna, a Milano. Ovvero un contenitore per metterci tutto quello che ci passa per la testa...

venerdì, settembre 20, 2024


Non so se vi sia mai capitato che ascoltando un certo motivo vi sentiate ogni volta pervasi da una sensazione, un ricordo, e ne siate completamente immersi, avvolti, anche con una certa malinconia. A me è successo stamattina, e succede ogni volta che alla radio sento la sigla di una trasmissione che ormai è in onda da oltre tre decadi, sempre uguale a se stessa. 

È inverno, siamo in montagna, a Brusadaz, nei giorni successivi al Natale. Siamo in vacanza, e come ogni anno passeremo il periodo delle feste in quella che era la casa dei nonni paterni. È mattina presto, ci aspetta una lunga giornata sulle piste. Io e mia sorella siamo in calzamaglia e dolcevita, il pentolino del latte è sulla stufa, mentre la caffettiera borbotta sul gas. La cucina è fredda, mio padre è sceso prima di tutti per accendere il fuoco, ma ci vuole pazienza, è una lotta impari, soprattutto quando la casa è chiusa da mesi, i vetri delle finestre sono sottili, ed il vento trova ovunque spazi dove insinuarsi. Davanti alla porta abbiamo un salsicciotto di tessuto, dovrebbe aiutare a tenere lontani gli spifferi, ma non vuole mai stare là dove dovrebbe. Noi bambini ci stringiamo sul divano mentre i grandi organizzano la tavola. Il sole stancamente fa capolino da dietro le montagne e filtra attraverso le tende fatte all’uncinetto. Sono felice, la scuola è un lontano ricordo, non ho pensieri, se non quello di arrivare alle piste e sperare non ci sia troppo casino per parcheggiare, comprare il giornaliero (o i “punti”) e prendere la seggiovia. Le tute sono appese fuori, in corridoio, al gelo. Solo l’idea di doverla indossare mi fa venire i brividi. I guanti, il cappello e la sciarpa invece sono dentro, al tepore che piano piano si sta creando, un po’ per la legna che finalmente arde a dovere, un po’ per la nostra presenza. Il bagno è l’ambiente più angusto e gelido, nessuno ci si sofferma troppo. Indugiare con le mani sotto l'acqua non è fisicamente possibile. Ci si lava in fretta e furia. In sottofondo abbiamo sempre la radio accesa, sintonizzata sul secondo canale, l’unico che prende. Ogni mattina la sigla del Ruggito del Coniglio ci da il buongiorno. Ma è tardi, bisogna muoversi, darsi una spicciata. Raccogliamo vestiti, cose e idee, si esce. L'aria è frizzante, il panorama stupendo. È il momento di salire in macchina, oltrepassare la collina e goderci la giornata.

Sono passati trent’anni ma il ricordo di quei giorni è ancora vivido, indelebile. y 

clxqp: patti smith - “just kids”

martedì, settembre 17, 2024

 

  

 

mi hanno sempre incuriosito, tutte le volte che mi è capitato di intercettarle in rete, quelle iniziative che ti propongono di fare quotidianamente qualcosa di creativo, solitamente per un mese, fornendo come condizione soltanto un unico paletto non negoziabile: un dettaglio, un concetto o una parola a cui attenersi, una scintilla insomma che serva da innesco per far esplodere la creatività.
l'idea di fondo, che trovo molto interessante, è che ad essere importante non sia tanto il risultato o la qualità artistica di ciò che si fa, ma la costanza con cui ci si dedica a farlo: allenarsi è ovviamente fondamentale per migliorarsi, e farlo ogni giorno, nell'ambito di queste piccole sfide con se stessi, ritagliando consapevolmente nella giornata uno spazio anche minimo per quella cosa creativa che ci piace fare, si rivela spesso cruciale per diventare più bravi (e, alla fine, divertirsi ancora di più).
ma quello che più mi incuriosisce e affascina di tutto questo è soprattutto il ruolo dell'input esterno, dello spunto: avere un vincolo o un limite che riduca l'immensa varietà delle cose che si possono creare diventa in qualche modo uno stimolo decisivo per una sfida di lunga durata, senza il quale probabilmente si rinuncerebbe dopo pochi giorni, persi nell'infinito delle possibilità. il paletto diventa il punto essenziale a cui l'ispirazione può aggrapparsi per darsi una bella spinta.
ed è un sistema che funziona davvero, mi è capitato di sperimentarlo recentemente anche con la serie di racconti ispirati a cose trovate per terra. mi piaceva moltissimo l'idea di scrivere di più ma non sapevo proprio di cosa, e fotografare cose strane in cui mi sono imbattuto sul marciapiede per poi scriverci sopra un racconto è stato lo stimolo giusto: i racconti che sono venuti fuori non sono ovviamente un granché, ma il punto è che ora ho davvero un sacco di idee per cose che vorrei scrivere.
insomma, quando v mi mi ha proposto una di queste sfide come passatempo per l'estate in vista delle vacanze ho accettato con entusiasmo. ci siamo cimentati con la fotografia, e il nostro paletto è stato un colore: verde per lei, e come avrete probabilmente intuito dalle foto qui sopra, arancione per me (un colore che, chissà perché, mi piace e mi attira sempre). l'idea era quindi semplicemente quella di fotografare ogni giorno per un mese qualcosa di quel colore, e non contenti di un paletto soltanto ci siamo dati un paio di vincoli aggiuntivi: l'oggetto doveva essere fotografato nel suo contesto, evitando il più possibile di metterlo artificialmente in posa (anche se un paio di foto hanno trasgredito a questa regola, nei giorni in cui per mancanza di tempo non si è trovato nulla da fotografare e si è dovuto tirar cercare qualcosa in casa mettendolo sul tavolo); e l'oggetto del giorno, una volta scelto e fotografato, doveva restare quello: non valeva fotografare più cose di quel colore e poi decidere la sera quale fosse l'oggetto venuto meglio, e questo ha contribuito a rendere di volta in volta molto avvincente la scelta del soggetto, aggiungendo un tocco di estemporaneità creativa a questo piccolo gioco.
parlo diffusamente di questa piccola sfida su queste pagine virtuali perché è stato davvero molto divertente farla: ne sono venute fuori foto che ammirate nel suo insieme mi danno molta soddisfazione. è stato un esercizio molto utile, vista la mia recente saltuaria passione per la fotografia (sto continuando con piacere a fare foto con la vecchia macchina fotografica analogica di mio padre, e per la prima volta ho messo un rullino a colori per vedere cosa salta fuori): alla fine dei trenta giorni avevo individuato un mio stile, ovvero inquadrature per lo più molto ravvicinate, in cui il contesto, riconoscibile ma solo accennato, facesse spiccare il soggetto arancione, e avevo sviluppato un occhio molto attento per le cose e per i dettagli di quel colore. non solo al mare, dove avevo previsto fosse più facile trovare soggetti adatti, ma anche una volta rientrati in città ho scoperto che ci sono così tante cose da fotografare che mi sono rammaricato più volte che la sfida fosse finita così presto. l'arancione (come ogni altro colore, del resto) non manca mai, le cose interessanti da fotografare nemmeno, e non l'avrei mai detto all'inizio del gioco.
così se avete voglia di fare qualcosa di creativo, che sia scrivere, dipingere, fotografare, disegnare, comporre musica o girare video, ma non sapete da che parte iniziare, questo piccolo modo di creare funziona: ritagliatevi ogni giorno uno spicchio di tempo, inventatevi un paletto, e divertitevi. f

csxqp: annenmaykantereit  - "orangenlied"

sabato, agosto 24, 2024

 


cose trovate per terra #2

lato a
1 un viaggio sarebbe solo una parentesi in mezzo ad una lunga frase piena di ripetizioni: casa, ufficio, spesa, tv. casa, ufficio, spesa, tv. ufficio, tv, spesa, casa. ogni due settimane il bridge con le amiche. mi sento persa.
2 no, non mi servirebbe una parentesi, ho bisogno di mettere un punto, qualcosa di definitivo, e andare a capo. lasciare tutto, per ritrovare tutto. il mio collega nuovo l'ha fatto: ha preso la famiglia, e cambiato continente. vorrei poterlo fare anch'io. ma in fondo, perché non posso?
3 non è certo bello, ma ha coraggio, è quello che a me manca. ha gli occhi profondi di chi ha visto, e vissuto, e non teme. vorrei che tom tornasse ad avere gli stessi occhi. tv, casa, spesa, ufficio.
4 è stato bello che ci abbiano invitato a cena, ogni tanto ci vuole qualcosa di nuovo. la moglie ha una delicata esuberanza nei modi, capelli e lentiggini a profusione, il figlio gli stessi occhi del padre, in cui ci si può tuffare e nuotare al largo. il dolce con le banane fritte era delizioso, così come la musica. sarà per via delle musicassette, (una vera sorpresa, erano anni che non ne vedevo), ma mi ha portato lontano, indietro nel tempo. è stato molto carino, a regalarcele. voglio ascoltarle, devo chiedere a tom dove le ha messe.
5 chissà come dev'essere stare sospesi in equilibrio fra due mondi, mescolare entusiasmo e nostalgia, sentirsi vivi.

lato b
1 al diavolo anton. a me la nostra casa piace, mi piace la nostra città, le nostre passeggiate, mi piace alla sera guardare la tv con karen, e fare la spesa insieme. il mio lavoro non è male, e ogni due settimane allo stadio con gli amici. mi sento al sicuro, ecco, e sono certo che per lei sia lo stesso.
2 non sei certo bello: basso, pallido, quegli occhi così inquietanti, e un'accenno di calvizie che, credimi, con il passare del tempo avanzerà inesorabile. mi ero fatto un'idea diversa dei brasiliani. chi te l'ha fatto fare, di fare tutta questa strada?
3 eppure ho visto come ti guarda, quella matta. la conosco abbastanza per sapere che la sua mente è altrove, quando ti vede. è cambiata, e mi manca. vorrei che ritornasse qui.
4 odio il vostro strascicato e inquieto modo in cui pronunciate la vostra lingua, mi fa venire il mal di mare. e poi tutto questo ostentato struggimento, se avete tutta questa nostalgia tornatevene da dove siete venuti, e restateci.
5 perciò al diavolo anton, o antòn, o come cazzo ti chiami. al diavolo tua moglie, così strana, e tuo figlio, così triste, e soprattutto al diavolo la tua musica. non è arrivata, lì da voi, la tecnologia? al diavolo anche lo sguardo sognante di karen, quando l'ascolta. e poi, santo cielo, ma come vi viene in mente di friggere le banane? f

csxqp: chico buarque de hollanda - "o que serà (à flor da terra)"

mercoledì, luglio 17, 2024


Pedalando sto molto meglio. Così affermava una delle immagini che ho scelto per il post di giugno, e così mi sento, ogni volta che prendo la bici e mi lancio all’avventura, come ho fatto stamattina. La sveglia era puntata alle sei, l’obiettivo era arrivare lì dove solo qualche mese fa avevo fallito, arrendendomi all'imminente tempesta e all’inadeguatezza del mezzo. A metà percorso avevo desistito, tornando sulle mie orme, sconfitto, ma con la convinzione che si potesse fare. L’appuntamento con la gloria era solo rimandato. Adesso che ho dei giorni di ferie e posso dedicargli il giusto tempo, senza fretta e impegni da incastrare, ho deciso di riprovarci. E così eccomi qui oggi, una giornata che promette solo sole, e caldo, tanto caldo, da bollino rosso. Allora meglio partire presto, e sperare che il corso del fiume rinfreschi il tragitto. Questa volta niente panino, niente bici da corsa, zainetto e kway, ma solo un mezzo con le ruote cicciotte, per affrontare lo sterrato, e una borsa sottosella, dove tenere le mandorle, il mango disidratato, una barretta (che tornerà a casa) e qualche gel. Mi aspettano quasi 80 chilometri, non so bene quante ore ci vorranno, ma sarà lunga. La cosa buona è che metà della strada l’ho già vista, so cosa aspettarmi, e soprattutto dove andare. Fino a Trezzo sarà un percorso noto, da fare in velocità, e poi inizierà la parte nuova, fatta sicuramente di terra e fango, sassi e guadi, e chissà cos’altro, lo scopriremo strada facendo. Come sempre non ho voluto troppo indagare, ne approfondire, perché affrontare l’ignoto è affascinante, ti regala quel pizzico di incertezza e tensione che alla fine è gratificante, e cmq qualsiasi cosa succeda penso di potermela cavare, in un modo o nell’altro.

Prima di inforcare la bici ho tentennato. Non ero convinto fosse la giornata giusta. Avevo sensazioni poco incoraggianti. Arrivavo stanco da un fine settimana impegnativo, fatto di giardinaggio, pulizie, arrampicata, afa e poco sonno. Lunedì avevo ben pensato di sfiancarmi con un giretto per negozi, per approfittare dei saldi, mentre il martedì era stato scelto come il giorno dedicato alla ciclabile della martesana, e poi oltre, fino a quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte da monti... come direbbe il Manzoni. Mi sono svegliato presto, non tanto quanto avrei voluto, perché in origine l’idea era di partire alle cinque, ma non ce l’ho fatta. Meglio non iniziare subito di malumore, indisponenti, scontrosi, meglio essere riposati, dormire quel tantino in più da sentirsi in forze, positivi, reattivi, e così godersi la giornata dal principio. Con calma e mille ripensamenti ho preso coraggio e sono sceso in strada. Attraversare Milano si è rivelato uno dei momenti più faticosi e pericolosi. Nonostante l’ora la città era già viva, nervosa, insofferente. Per arrivare all’imbocco della martesana ho impiegato diverso tempo, causa semafori, lavori, traffico e strade dissestate. Me l’aspettavo, perché è sempre così, e nonostante ci abbia fatto l’abitudine rimane comunque la parte più pesante e noiosa. In fondo a viale Melchiorre Gioia ho finalmente trovato la ciclabile, animata da una nutrita schiera di podisti. Mi è difficile immaginare di alzarmi all’alba per andare a correre. Mi domando quale sia la forza che li spinge, se la passione o la necessità di tenersi in forma. Nessuno sorride, procedono un passo davanti all’altro, incupiti, probabilmente pensano alla giornata che li aspetta, la frenesia e lo stress che li attende. Mi domando quale possa essere la loro vita, se sono studenti o lavoratori, disoccupati o manager. Se fatta la doccia andranno di fretta al lavoro, o se potranno godersi un momento di pace, dedicandolo alle loro passioni. Li supero, io ho altri programmi, altri spazi da raggiungere, esplorare, conquistare. L’aria è ancora fresca, le gambe girano bene, spingo un rapporto medio, perché voglio lasciarmi alle spalle la città velocemente ma senza esagerare e stancarmi. Incrocio via padova e viale monza, e piano piano mi allontano dal centro, dalla città. Pedalo con il naviglio sulla sinistra, e la linea verde del metro sulla destra. Per tanti chilometri questi saranno i miei punti di riferimento. Superato il Lambro, e fatto il sottopasso dell’autostrada, si palesano tutti quei paesini dell’interland che nessuno ha mai visto o visitato, ma che tutti conosciamo di nome, perché sono fermate della metro: Vimodrone, Cernusco, Bussero, Gorgonzola, Gessate… l’orizzonte è spesso fatto di palazzi, sono i dormitori di chi viene a lavorare in città, ma che per necessità o volontà ha deciso di viverne fuori. La ciclabile inizia a popolarsi di monopattini elettrici, e più ci si spinge lontano, meno persone si incrociano. Nell’acqua iniziano a vedersi le anatre, la natura piano piano conquista terreno. I nugoli di moscerini diventano la mia preoccupazione principale. Ne attraverso diversi e ne esco completamente ricoperto. L’asfalto è messo bene, la bici viaggia scorrevole, è il momento di spingere sui pedali, macinare chilometri. A Cassano d’Adda faccio una pausa, ricordo una fontanella, e li mi fermo, per riempire la bottiglietta, rinfrescarmi e mangiare qualche mandorla. Devo ricordarmi di alimentarmi più spesso, di bere anche quando non ho sete, perché come insegnano i professionisti le crisi sono sempre dietro l’angolo, pronte a coglierti in fallo quando meno te lo aspetti. I primi 37 chilometri sono andati, ho ancora parecchia strada da fare, anche se ancora non lo so. Fin qui è andato tutto liscio, ho potuto solo pedalare, senza preoccuparmi del percorso. Questa volta anche l’arrivo a Trezzo sarà più agevole, senza quell’inutile deviazione nei boschi che tanto tempo e fatica mi aveva richiesto pochi mesi addietro. Qui inizia lo sterrato, e quella parte di tracciato che non ho mai affrontato. Sono guardingo, concentrato, accorto. Riconosco alcuni ciclisti che ho incontrato lungo la via, immagino che anche loro abbiano avuto la mia stessa idea, e stiano andando a Lecco. Non voglio perdermi troppo con il cellulare per trovare il sentiero, così almeno inizialmente seguo uno di loro, lo tengo a portata d’occhio, per quanto possibile. Loro sono attrezzati di tutto punto, con completo da ciclista, bici gravel, occhiali e caschetto. Io sono un po' più alla buona. Ho un mezzo un po' datato e ormai fuori moda, degli anni novanta, ma il casco e i pantaloni con il fondello li ho anch’io. Soprattutto quest’ultimi ho capito essere indispensabili, se si ha l’idea di pedalare per parecchio tempo. Anche la sella è fondamentale, e finalmente credo di aver trovato quella perfetta per le mie chiappette (non ridete, perché è veramente importante, se non volete avere brutte sorprese). Alla fine comunque quelle che contano sono le gambe, ed io mi sento particolarmente bene. Abbandonato il naviglio adesso ho al mio fianco l’Adda, con il suo corso imponente, arricchito dalle forti piogge delle ultime settimane. Il sentiero è nella boscaglia, proprio sull’argine del fiume. Inaspettatamente è fresco, c’è una leggera brezza, che mi rinvigorisce, mi spinge a pedalare con maggior intensità. Il terreno è sconnesso, a tratti fangoso, ci vuole precisione e prudenza. Bisogna stare attenti ai sassi, ma è un dolce andare, in leggera salita. Si rimane ben lontani dalla civiltà, nessuna possibilità di ristoro o rifornimento. Raziono l’acqua, e continuo ad alimentarmi, cercando di fermarmi il meno possibile. Pedalo nella natura, uno scoiattolo decide di accompagnarmi per una decina di metri, uccellini e libellule volteggiano nell’aria, tutto procede meravigliosamente, senza intoppi. Ma passate le due centrali idroelettriche Edison trovo la strada sbarrata, un cancello arrugginito chiuso con lucchetto. La cosa è alquanto strana, mistero. Altri due ciclisti sono sbigottiti quanto me, pensano al da farsi. Appurata l’assenza di ogni possibilità di continuare da quella parte, cellulare alla mano cerco di capire come proseguire. Mi rassegno, devo tornare indietro un bel pezzo, attraversare il paese e poi cercare di riprendere il tracciato più avanti. Questa piccola deviazione mi costerà grande fatica, dovuta al caldo, alla salita, ad uno sterrato sconnesso fatto di ciottoli grossi e fastidiosi. Sarà il momento in cui ho tentennato, in cui ho pensato di tornare indietro, di rimandare ad una terza volta. Ma ho resistito, non mi sono dato per vinto, mi sono fatto guidare da google maps attraverso i campi, le frazioni, le villette, fino al ponte di San Michele. Li sono riuscito a riprendere il sentiero, e continuare lungo il corso del fiume. Nella mia testa pensavo che l’arrivo fosse vicino, al massimo una decina di chilometri, anche perché l’umanità cominciava a riaffacciarsi sul percorso. Ma non sarà così. Ormai pedalo da quattro ore, penso che il più sia fatto, la tensione si allenta, sento la meta a portata di mano, così decido che al primo bar farò una sosta seria, con tanto di cappuccino e brioches. Ormai le mandorle sono quasi finite, un gel è andato, e la bottiglietta perde. Meglio approfittare dell’occasione per unire l’utile al dilettevole, riprendere fiato, rifocillarmi, e godermi il momento. Sento mio padre, mi aveva cercato quando non potevo rispondere. Gli racconto cosa sto facendo, è sorpreso, non commenta, chissà cosa pensa veramente. Il tempo corre ed io ho una meta da raggiungere. Dopo la sosta alla bocciofila inforco la bici con nuovo vigore, riempio la bottiglia alla fontanella e riprendo a pedalare. Adesso il sole è alto, fa caldo, per fortuna stamattina mi sono forzato a mettermi dappertutto la crema, sarà la mia salvezza. Il tracciato segue sempre il corso dell’Adda, ma qui gli argini non hanno tenuto, l’acqua ha tracimato. Pedalo lentamente, cercando di evitare gli schizzi, e di bagnarmi più del necessario. Ma più procedo più sprofondo, e alla fine mi rassegno, non ho alternative, l’acqua mi arriva ai polpacci, pedalerò gli ultimi chilometri con le scarpe zuppe. Il sentiero tende a diventare sempre più un tracciato di ciclocross, diverse volte sono costretto a caricarmi la bici in spalla per superare degli alberi caduti. Fango e piccoli ruscelli sono i protagonisti del momento. Mi sento bene, in pace, è una mattina stupenda, sto facendo quello che mi piace, e queste piccole disavventure sono il sale della giornata, le storie che mi rimarranno attaccate e che mi piacerà ricordare. Pedalo senza fretta, con leggerezza, la tensione iniziale si è allentata, assaporo già l’arrivo. È un errore. Bisogna sempre essere prudenti, stare attenti e accorti. Mai perdere la concentrazione, distrarsi, ma è successo. Ho preso una curva troppo centrale, senza aspettarmi nessuno, e invece ho trovato un altro ignaro ciclista, che procedeva in senso opposto. È stato un attimo. D’istinto abbiamo tirato i freni e cercato di allontanarci. La velocità e la ghiaia non ci hanno permesso di evitare lo scontro, ma ci siamo miracolosamente incastrati senza farci male. Uno di fronte all’altro ci siamo sorrisi, felici dello scampato pericolo. Appurata l’assenza di danni ci siamo scusati a vicenda, dandoci una pacca sulla spalla. Nel rischio schivato umanamente ci siamo trovati emotivamente vicini, sollevati di essere ancora interi e sani. È stato un istante, ma avrebbe potuto rovinarmi la giornata, se non di più. Ho fatto una leggerezza, ne conserverò il ricordo come monito per il futuro.

Dopo il grande spavento riprendo la via, curioso di capire quanto possa mancare. Sbircio il cellulare, mi indica ancora otto chilometri. Alla prima fontanella mi fermo, ho deciso di fare il ritorno in treno, e non posso salire con la bici piena di fango. Mi dedico ad un lavaggio sommario, per salvare le apparenze, e renderla presentabile agli occhi del controllore. Anch’io sono bello conciato, soprattutto la schiena, ed ho le gambe e le braccia piene di insetti, ben amalgamati con i peli e la crema solare. Già mi sogno la doccia che mi farò a casa. Ma non è ancora finita, c’è ancora un ultimo pezzettino di strada da fare. Dopo tanta natura, solitudine, tranquillità, ritrovarsi nel traffico di una statale non è l’immagine più entusiasmante per chiudere questa giornata, ma così è. Gli ultimi chilometri sono caratterizzati da continui lavori, deviazioni, mezzi pesanti, caldo asfissiante. Raggiungo Lecco, mi vorrei fare una foto con il cartello, per testimoniare l'impresa, ma ogni ricerca è vana. Rinuncio anche all'idea del pranzo, e mi avvicino alla stazione. Scopro che le bici non pagano più, e che in poco più di tre quarti d'ora sarò al punto di partenza, la mia amata Milano. In tutto ho pedalato sei ore, sono entusiasta e soddisfatto, è stata una giornata epica, da ricordare. y

csxqp: sick tamburo - "fino a farcela"

postfazione: per quanto le gambe abbiano retto, e non abbia avuto nessun dolore muscolare, il giorno dopo il fisico ne ha risentito, forse più per l'aria condizionata del treno che non della pedalata in se, e mi sono svegliato con la febbre. Per fortuna sono riuscito a scrivere queste righe prima di rendermene conto, perché altrimenti mi sarei perso tanti dettagli, e forse non sarei più stato in grado di portare sulla carta quest'avventura. 

lunedì, luglio 01, 2024

 


una coppia di carissimi amici, plurimaratoneti e addirittura ultramaratoneti, mi ha recentemente istigato alla corsa. ho sempre opposto loro una strenua resistenza, osservando con un misto di scetticismo e compassione (diciamo pure: con orrore) il loro alzarsi presto la mattina per andare a macinare chilometri. poi però un giorno, trascinato da v, ho provato ad accontentarli, dai, ho pensato, per una volta che male può fare, e alla fine ho scoperto, non l'avrei mai detto, che correre mi piace. così sono un paio di mesi che i due amici sono diventati anche personal trainer a distanza, e che le mattine del weekend mi trovate in maglietta e pantaloncini ad allenarmi nel parco vicino a casa (tutto questo, beninteso, se non piove e non fa freddo: in quel caso col cavolo che mi schiodo di casa).
mi piace correre soprattutto perché è bello sentire il proprio corpo capace di fare cose: l'ho già scritto altrove su queste pagine virtuali, il movimento mi sembra un'arma formidabile per combattere, ed esorcizzare, la paura di invecchiare. e poi c'è da dire che l'attività fisica ha il pregio di lasciarmi sempre, insieme alla stanchezza, una sorta di inaspettato benessere, e un persistente buonumore.
mi affascina molto anche l'aspetto mentale della faccenda, di come il corpo e il cervello quasi si separino durante la corsa, come se seguissero due spartiti diversi: il primo impegnato nel suo incedere ritmico, un passo dopo l'altro scandito dal respiro, il secondo a cercare le sue melodie vagando altrove, spesso molto lontano, nel tentativo semplice ma efficace di ingannare la fatica.
e poi mi piace la consapevolezza di avere in qualche modo fiato, e resistenza, e chilometri nelle gambe. quand'ero ragazzo ero un volenteroso mezzofondista, mi ero cimentato con la marcia e al liceo mi ero perfino iscritto con entusiasmo alla squadra di corsa campestre (cosa non si fa per saltare le lezioni). di quell'esperienza ricordo un epico arrivo in solitaria, ai campionati regionali, rimasto negli annali della scuola: caparbiamente ultimo, con gli atleti della gara successiva in esasperata attesa che io tagliassi il traguardo per poter finalmente partire a loro volta. poi però da allora non avevo praticamente mai più corso, e adesso sapere di poter fare cinque chilometri tutti in un volta, senza arrivare rantolando con la lingua a penzoloni, è davvero una bella sensazione. ok, è vero, lo ammetto, cinque chilometri non sono davvero niente, ma proprio perché erano quasi trent'anni che non correvo più mi sembrano lo stesso degni di nota, alla mia età e con la mia pigrizia poi.
il ruolo di v in tutto questo è fondamentale: non solo perché possiede, almeno in questo frangente, costanza e meticolosità che io non ho, e mi spinge ad un allenamento graduale e ragionato per evitare che cuore e ginocchia collassino senza rimedio (fosse per me correrei finché ce n'è, come un giovane cavallo selvaggio e scalpitante che non si può imbrigliare con la cavezza del buonsenso), ma anche perché la sua compagnia è davvero decisiva: correre resta per me, vai a sapere perché poi, un'attività che da solo non farei davvero mai. ammetto che mi piacerebbe molto mettermi alla prova in mezzo agli altri, con un pettorale sulla maglietta, e partecipare ad una corsa vera e propria, di quelle che di tanto in tanto da queste parti si organizzano per i dilettanti: dev'essere divertente correre in mezzo a tante persone. l'obiettivo, ovviamente, sarebbe quello di non arrivare ultimo.
sono un corridore un po' smandrappato, che corre per il gusto di correre: non mi alleno regolarmente, non tengo traccia dei miei tempi con l'idea di battere i miei primati (anche perché sarebbero tempi lentissimi, meglio non lasciarne traccia), non ho abbigliamento tecnico né scarpette in carbonio, e nemmeno un cardiofrequenzimetro che mi dice quante calorie ho bruciato. per ora mi accontento di avere entusiasmo nei piedi, buona volontà nei polmoni, e un cuore pronto a battere forte. f

csxqp: gil scott-heron  - "running"

venerdì, giugno 14, 2024


Ho viaggiato parecchio. D’istinto avrei usato l’aggettivo molto, e ripensandoci avrei anche potuto utilizzare abbastanza, ma nel primo caso non volevo sembrare presuntuoso, e nel secondo irrispettoso (verso chi vorrebbe ma non ne ha la possibilità) o appagato, anche se credo che alcune sfumature di quest’ultima parola descrivano il mio attuale stato d’animo, e siano la ragione che mi ha spinto oggi a scriverne. Nonostante la mia cronica paura di volare, mai veramente sopita, per quasi due decenni ho attraversato il mondo in lungo e largo, spingendomi là dove desideravo, dove i miei sogni mi spronavano a osare. La mia esperienza da globetrotter è iniziata in solitaria, e poi con alterne fortune si è arricchita degli amici più cari, ma anche dei più disparati compagni di viaggio, gruppi organizzati fatti di sconosciuti che un giorno prefissato si trovano in aeroporto con la speranza di due settimane di convivenza allegra e felice, cosa assai difficile se non impossibile. In verità scrivendo queste parole sono più tragico del dovuto, o forse il passare del tempo ha smussato i ricordi lasciando spazio solo a quelli più gioiosi, ma in tutta onestà ho poco da lamentarmi dei viaggi fatti con i vari tour operator. L’unico appunto riguarda il fatto che raramente ho trovato persone della mia età, e ancora più raramente mi sono portato a casa delle amicizie, ma della convivialità e dell’esperienza in generale non mi posso lamentare, non mi sono mai sentito inadeguato o sbagliato, osteggiato o escluso, anzi, mi sono reso conto che fuori contesto posso essere, ed essere percepito, una persona differente da quella che sono nella quotidianità. Penso che molto del successo del viaggio, e del proprio ruolo nel gruppo, dipendi dall’approccio, dallo stato d’animo del momento. Il viaggio non risolve i problemi, non allontana i pensieri e le preoccupazioni. Apparentemente mette tutto in stand by, permettendoti di lasciare la vita alle spalle. Ma non sempre è così, e quando non sei tranquillo non riesci a goderti pienamente l’attimo, per quanto possa essere sbalorditivo il posto in cui ti trovi. Il Vietnam è un luogo incantevole, in cui perdersi e rilassarsi, riempirsi gli occhi e divertirsi, ma avevo la testa altrove, e questo è stato un grosso limite. Ogni pausa la mente vagava li, alle cose irrisolte che mi ero lasciato dietro, e questo ha inciso non poco sul ricordo che ho di quel viaggio. Ma non sempre è andata così, soprattutto quando i miei compagni d’avventura sono stati gli amici. Nonostante fossi uno straccio Israele e l’Andalusia mi rimarranno sempre nel cuore. I periodi neri possono essere bellissimi se intorno hai le persone giuste.

La cosa entusiasmante del viaggio è che rimescola le carte, mina le tue certezze, le comodità e le abitudini, forzandoti a spingerti oltre. Per questo penso che sia importante partire entusiasti, carichi di energie, altrimenti c’è il rischio di rimanerne schiacciati. Adesso non ho nulla di tutto questo, e quindi è meglio fermarmi, trovare qualcosa che mi rimetta in sesto, mi dia motivazione e forza, passione e voglia, prima di lanciarmi in qualche nuova avventura.
Ho la pace e la serenità di dire che sono felice delle esperienze fatte. Ho visto tanti luoghi stupendi, commoventi tanta era la loro bellezza. Ma sento che è arrivato il momento di una pausa, di cambiare qualcosa nella logica estiva delle ferie. Sembra quasi un post da “commiato”, da periodo di riflessione, e forse un po' lo è. Me ne sono reso conto l’anno scorso, quando mi sono comunque forzato a viaggiare, nonostante nel profondo dell’animo sentissi emergere una certa resistenza. Più di una volta mi sono chiesto chi me l’avesse fatto fare, perché fossi lì, e perché mi fossi imbarcato in un qualcosa che non mi rendeva felice. Spesso ho rimpianto di essere partito, e ho contato i giorni che mi separavano dal rientro a casa, dagli amici, dalle biciclette, e dalla mia routine cittadina. Semplicemente mi sono reso conto che non ho più voglia di stare in giro, non sento né il bisogno né la gioia dell’avventura, ne di rivivere certe dinamiche. Il richiamo dell'ignoto, della novità, del diverso non mi appassiona più, almeno non così come l'ho sperimentato finora. Casualmente questa consapevolezza ha iniziato a manifestarsi dopo il periodo Covid, ma non credo che le cose siano collegate. Probabilmente era molto che covavo questo pensiero, questa necessità di fermarmi, ridurre, respirare.


Non ho perso la voglia di fare, ma sento di dover rivedere alcuni aspetti di quello che fino adesso è stata la normalità. Il mio nuovo orizzonte sono escursioni in montagna, cammini, giri in bicicletta. Brevi fine settimana, al mare o in piccoli borghi, gite in città d’arte, per mostre e musei, concerti o eventi sportivi, e le ferie con gli amici, ma niente di troppo complicato, articolato, lontano. Forse l’ho già scritto, ma ho bisogno di rallentare, di camminare, pedalare, di abbassare il livello di stress. Poca programmazione, molto istinto e improvvisazione. Voglio circondarmi solo delle persone che mi sono più care, che mi conoscono, e con le quali non ho bisogno di essere nessuno se non me stesso. Queste sono le direttive che mi faranno da giuda, la mappa che seguirò quest’anno.

Quello che mi ha portato qui adesso a mettere sulla carta queste riflessioni é stato un lungo viaggio introspettivo. Posso togliere la maschera, smetterla di bleffare, non devo dimostrare niente, né fare nulla solo perché la società se lo aspetta. Per troppo tempo ho preso lo zaino e sono partito solo perché sentivo l'obbligo di farlo. Cosa farai quest’estate? Un cazzo. Punto. Va bene così, sono felice così, potrebbe andare diversamente, perché non mi piace stare fermo, ma adesso non ci voglio pensare, deciderò al momento giusto, per me. y

clxqp: tino mantarro - “nostalgistan” 

lunedì, giugno 03, 2024

 


fra le tante sensazioni belle e positive che mi riporto in germania dopo quest'ultimo viaggio a milano (risate, confidenze e pezzi di vita, la fortuna di avere una famiglia e tanti amici da incontrare, il privilegio immenso di poterli abbracciare) c'è anche un rinnovato entusiasmo verso la magia, dopo un lungo periodo in cui l'avevo messa da parte. non dico che la passione si fosse spenta, ma un po' assopita, questo sì. a soffiare sulle braci per ravvivare il fuoco ci hanno pensato la mia nipotina più grande, una sua amica di giochi e un mio amico, anche lui aspirante mago.
per le prime due mi sono esibito nel parco sotto casa, in mezzo a mamme, carrozzine, altalene e urla di bambini in frenetico movimento, sfoderando diversi giochi dal mio piccolo ma variegato repertorio (con carte speciali, monete, e perfino il cubo di rubik): vedere i loro occhi colmi di meraviglia per una cosa che non si sanno spiegare è davvero gratificante. mi fa ridere che appena terminato un gioco, la bocca ancora spalancata, subito me ne chiedevano un altro, ed essere presentato con orgoglio come lo zio mago è una cosa che mi piace davvero moltissimo.
con il mio amico ci siamo seduti su un muretto e abbiamo tirato fuori un mazzo di carte, improvvisando una sessione di street magic in mezzo a tram, piccioni, auto e passanti, mostrandoci e insegnandoci giochi a vicenda. non tutto, ovviamente, è venuto come avrebbe dovuto, ma ogni gioco non riuscito ha portato a una risata, e lo smarrimento del mio amico ogni volta che un mio gioco è riuscito a stupirlo mi ha divertito davvero un sacco.
la verità è che avevo un po' lasciato andare questa passione perché mi imbarazza molto essere al centro dell'attenzione, non mi piace generare aspettative e non saperle soddisfare, e il timore di sbagliare un gioco o rovinarlo con presentazioni e mosse maldestre (cosa che purtroppo succede di frequente) si è rivelato spesso più forte del desiderio di cimentarmici e generare una piccola scintilla di meraviglia in chi mi sta davanti.
ed è davvero una gran stupidaggine: bisognerebbe riprovarci e riprovarci ancora, divertirsi, barattare ogni sbaglio con una risata, mandare sempre al diavolo tutte le proprie paure, buttarsi in acqua con le migliori intenzioni e creare onde, moltissime onde, senza preoccuparsi di quelle che si non si infrangono come vorremmo. f

csxqp: queen - "a kind of magic"