tabacchi fc, ovvero tabacchi football club, ovvero tabacchi fancazzisti, ovvero un blog creato da quelli che si ritrovano la sera a giocare a calcetto nel parco tabacchi, quello spicchio di verde fra via tabacchi (appunto) e via giambologna, a Milano. Ovvero un contenitore per metterci tutto quello che ci passa per la testa...

martedì, maggio 13, 2025

 


qualche mese fa ci siamo trasferiti in un nuovo magazzino, molto più grande di quello dove stavamo prima, e molto più vicino al negozio dove le biciclette vengono poi vendute, due fattori che in pratica rendono il mio lavoro davvero molto più semplice e più comodo. all'inizio però ho guardato con molto sospetto a questo trasferimento, come del resto ahimè faccio sempre con tutti i cambiamenti, ma poi ho cominciato ad abituarmi, a strutturare il mio lavoro adattandolo intorno a questi nuovi spazi e a queste mutate condizioni e ad apprezzare i pregi di questa nuova sistemazione, mettendone in secondo piano i difetti, che pure ci sono. ci sto provando: devo imparare a concentrarmi sulle porte che si aprono invece che su quelle si chiudono, forse è davvero l'unico modo di superare questo irragionevole vizio che ho di affezionarmi maledettamente alle cose.
da qualche giorno ho ricominciato ad andare a lavoro in bici dopo la lunga ed estenuante pausa invernale: si è fatta attendere, è sempre troppo timida la ragazza, ma alla fine si è affacciata anche da queste parti, irresistibile e sensuale, la primavera. così ho scoperto che c'è un aspetto di questo cambiamento che, devo proprio ammetterlo, è estremamente positivo: il percorso per raggiungere questo nuovo magazzino è, se possibile, perfino più bello dell'altro.
certo è più breve, e questo un po' quasi mi dispiace, inoltre i saliscendi da affrontare sono molto più ripidi, e laddove prima potevo cavarmela con un dolce e graduale dislivello qui c'è una salita in cui ogni volta che arrivo in cima mi tocca girarmi per controllare di non aver lasciato indietro un polmone (non è vero, sono un contaballe, era per dare al racconto un po' di tensione drammatica, in realtà la pigrizia prende il sopravvento quasi subito, i polpacci si ammutinano, scendo dopo pochi metri dal mio fidato catorcio e poi lo spingo a mano, insomma scalatela voi 'sta montagna, se ne avete voglia, io passo. che poi a dirla tutta non è vero neanche questo, la verità è che cerco ogni volta di fare qualche metro in più di quello che ho fatto il giorno precedente e a furia di piccoli obiettivi di avanzamento prima o poi ce la farò a farla tutta, quella maledetta salita. ecco, questa mi sembra la versione più bella delle tre, e in ogni caso lascio a voi decidere quale sia quella vera).
però dopo che mi lascio alle spalle il quartiere universitario, la porta nord, e le ultime paciose propaggini residenziali della città ecco che giro una curva e improvvisamente mi trovo al cospetto di una campagna maestosa, un trionfo di verde e cielo che ogni volta, immancabilmente, mi sorprende e mi lascia senza fiato. sono sempre felice di trovarmi lì, in bici, e pedalando mi scorrono a fianco cascine e maneggi, prati e campi coltivati, colline e fattorie, mucche e cavalli, papere e aironi, alberi imponenti e nuvole in fuga, mentre il sole, imperturbabile e magnifico, benedice ogni cosa.
si lo so cosa state pensando, probabilmente sono il solito uomo di città così irrimediabilmente inurbato da emozionarsi a sproposito non appena vede un ramo e due fili d'erba. forse, ma è più forte di me, questo aprirsi degli spazi e questo verde a rotta di collo mi riempiono sempre di meraviglia, mi mettono di buonumore, il cuore mi sobbalza, l'anima mi si illumina, e ride. andare a lavoro diventa una cosa bella, che faccio volentieri, e non è poco.
è una piccola fortuna in più fra le tante che so di avere, e ne sono grato. f

csxqp: joe strummer & the mescaleros - "x-ray style"

martedì, aprile 29, 2025

 


ogni tanto quando faccio qualcosa di manuale, tipo stendere il bucato e dare così almeno un misero contributo alle faccende domestiche, mi capita ancora di tirare fuori il mio vecchio e fidato ipod (si lo so, non dite niente), e tutte le volte che lo accendo finisco invariabilmente per mettere su la stessa canzone, una canzone di un bel po' di anni fa che mi piace molto ascoltare, e che parla di dio.
tranquilli, non sono stato folgorato sulla via di damasco: la canzone è davvero particolare e a suo modo spiazzante, e ritrae un dio sotto una luce inconsueta e sorprendente, immerso in una quotidianità un po' borghese, sul divano, con le pattine ai piedi, vittima di una moglie acida e petulante che impartisce ordini e insulti da una poltrona massaggiante (per non parlare del rapporto non certo idilliaco con la suocera). un dio che non sopporta il papa, la messa in tv, e nemmeno i rompiscatole che lo assillano al telefono, importunandolo chissà con quale preghiera o richiesta di benedizione. un dio per cui l'unica salvezza sembrano essere le cuffiette dell'ipod (anche lui!), i classici del rock e l'amicizia di vecchi pazzi furiosi e iconoclasti che ogni tanto lo vengono a trovare.
non c'è niente da fare, non riesco mai a resisterle, è molto orecchiabile e mi mette di buonumore, e questo suo essere allegramente sovversiva, eretica e blasfema riesce sempre a farmi ridere di gusto. fra l'altro è il sequel di un altro pezzo che descrive questa sua travagliata quotidianità e che non ho mai potuto ascoltare perché online è introvabile (cosa che non solo trovo a suo modo poetica, ma mi permette con molta soddisfazione di segnare almeno il gol della bandiera contro i sostenitori di spotify, e avere una scusa per rimanere trincerato nella mia ottusa arretratezza tecnologica).
la scorsa settimana mi è capitato di dover raccontare ad una ragazza febbricitante di fede che intendeva convertirmi dal tavolino di un caffè, che si, conosco qualche passo della bibbia ("il libro", come lo chiamava) ma no, non mi ha illuminato come invece è successo a lei. le ho detto che sono ateo e miscredente, che con buona pace delle sue argomentazioni non cambierò idea, e che accetto volentieri il rischio di finire all'inferno. e poi è morto il papa, e per quanto mi stesse simpatico rimango sempre incredulo nel constatare quanto la sua figura sia ritenuta importante e autorevole, quanto la religione sia ancora capace di smuovere in profondità l'animo delle persone, e avere un impatto emorme sulla vita e i comportamenti di milioni e milioni di individui.
così ogni tanto sento il bisogno di fermarmi e interrogarmi su cosa credo. giungo sempre alla stessa conclusione: non credo nel dio che ci viene raccontato dalla chiesa, non ci riesco proprio, non fa per me, e guardo con sospetto tutto ciò che ha a che fare con la religione, qualsiasi essa sia: riti, sacramenti, dottrine, comandamenti, parabole e dogmi finiscono sempre per snervarmi e farmi pensare alle incongruenze e alle contraddizioni che si portano dietro. così se devo proprio credere a un dio, mi piacerebbe davvero che fosse così: amante della buona musica, amico di quelli che non ci stanno con la testa, e convintamente anticlericale.
però credo nell'umanità e nel suo spirito, e nell'inafferabile meraviglia di ciò che nonostante tutto ci circonda. ecco, la canzone mi pare raccontare un punto di vista interessante: dio siamo noi. dio è l'uomo, non soltanto l'uomo che l'ha creato per sentirsi al sicuro, ma sopratutto l'uomo nella sua lotta quotidiana, nella sua ricerca di giustizia e bellezza, nel suo eterno goffo tentativo di far quadrare le cose e provare a migliorarle. f

csxqp: giorgio canali e rossofuoco - "bentornato lazlotoz"

sabato, marzo 08, 2025



come sarebbe a dire tre palle? ma sei serio? ci sono persone che devono destreggiarsi fra la fame, il freddo, la sete e la guerra, e tu mi parli di giocoleria? da un po' di tempo a questa parte il mondo è impazzito, te ne sarai accorto, sta prendendo davvero una brutta piega, persone scellerate prendono decisioni scellerate in nome di popoli scellerati che li hanno messi al potere. ma le leggi le notizie? è tutto sbagliato, stanno vincendo l'egoismo e la chiusura, dappertutto, erigiamo steccati sempre più alti intorno ad orticelli sempre più piccoli, abbiamo tutti paura di chi non ci assomiglia e ci aggrediamo l'un l'altro. allora al diavolo le palle da giocoliere, caro f, è davvero questo il meglio che sai fare? in quanto tua coscienza ho il dovere di ricordarti che gaza soffre, che l'ucraina soffre, che le minoranze soffrono, che paesi che non sai nemmeno collocare sulla mappa soffrono, che il mondo soffre: non meritano nemmeno una riga? o pensi di cavartela con queste? non so te, ma io sto soffrendo con loro, mi pare che stia andando tutto inesorabilmente a rotoli, siamo arrivati ad un punto in cui non solo la guerra è ingiusta, ma è ingiusta pure la pace, e avvoltoi senza scrupoli volano sempre più bassi, provando a spartirsi brandelli di carcasse di paesi allo stremo. senza considerare, caro f, che in tutto questo abbiamo perso di vista l'ambiente: te lo ricordi il riscaldamento climatico? non è più un tema rilevante, gli scienziati non parlano più di ipotesi di salvezza ma di contenimento dei danni, non fingiamo nemmeno più di ascoltarli, come se ci fossimo rassegnati, ormai la terra è persa, amen, tiriamo a campare, alla bell'e meglio, finche si può. sei sicuro che fare il giocoliere, o perdere tempo dietro alle tue cose, non sia solo un modo per mettere la testa sotto la sabbia? per non affrontare questa spaventosa deriva? io sono turbata e sgomenta, ogni giorno un colpo di tosse, i sintomi sono inequivocabili, il contagio avanza inesorabile, il mondo si sta ammalando, una sostanza nera e vischiosa gli impedisce di respirare, con buona pace degli anticorpi e dei cordoni sanitari, chissà per quanto tempo ancora resisteranno: abbiamo già completamente scordato il novecento, e non voglio esserci quando ci inietteranno un nuovo vaccino. l'urgenza delle cose è enorme, è tutto sottosopra, ma non può essere una scusa, non si può far finta di niente, perciò altro che giocolare, posa quelle dannate palle, dovremmo scendere in piazza, ecco cosa, lo capisci? se non per fare la rivoluzione, santo cielo, almeno per sporcarci le mani, provarci, in qualche modo, e non stare fermi mentre tutto ci crolla addosso. la verità caro f è che scrivi solo di cazzate, lasciatelo dire, e a volte, sai, ho paura che ti dimentichi di quanto tu sia fortunato a poterlo fare. no, non voglio sentire quello che stai per dire, guarda in faccia alla realtà, la goccia non fa l'oceano, fa al massimo un canale di scolo, la gentilezza quotidiana fa il solletico alla prepotenza dilagante, la raccolta differenziata è una toppa già sdrucita: mi vedi davvero così pulita? davvero pensi di migliorare il mondo, nel tuo piccolo? davvero ti basta questo, per sentirti assolto? quand'è che inizieremo tutti a pensare in grande? quand'è che inizieremo a pretenderlo, da noi stessi e da chi ci governa? quand'è che… quand'è che… quand…

ok, perdonami, la smetto. del resto nemmeno questo serve a qualcosa. non ho risposte, non lo so proprio cosa si può fare, di concreto. che confusione, scusa lo sfogo, mi spiace, purtroppo è così, ultimamente mi prende davvero male, a volte tracima tutto ed esce fuori dai bordi. ora mi calmo. è passata. non te la prendere, il contributo nel tuo piccolo è davvero prezioso, dico sul serio. ora non pensiamoci più. dai fa un po' vedere, in effetti giocolare con tre palle ti riesce bene, caspita che destrezza, non pensavo, devo proprio ammetterlo, non sei davvero male caro f

csxqp: francesco bianconi e clio - "ciao"

domenica, marzo 02, 2025

 

 

capita di frequente, nella città in cui vivo, di imbattersi lungo la strada in scatole piene di oggetti appoggiate sul marciapiede. sempre corredate dall'immancabile scritta "zu verschenken" (regalasi) contengono cose che al proprietario non servono più, ma che sono ancora in buono stato e perfettamente funzionanti, e quindi sarebbe un vero peccato doverle buttare via. l'idea è che quegli oggetti a qualcun altro potrebbero servire: meglio dunque lasciarli lì, a disposizione di tutti, in attesa che un nuovo proprietario ne faccia buon uso e ne prolunghi la vita.
è un'usanza tutta tedesca, non l'ho mai visto fare da nessun'altra parte, ed è inutile dire che mi piace moltissimo, perché è un modo molto semplice per combattere lo spreco. rimettere in circolo un oggetto funzionante invece di fargli prendere la strada della spazzatura è una cosa saggia e giusta, che fa bene al mondo.
vasi, stoviglie, cornici, vestiti, cancelleria, bicchieri, uno potrebbe facilmente etichettare come ciarpame il contenuto di queste scatole, e forse in molti casi lo è, si tratta davvero di cianfrusaglie inutili. tuttavia non di rado può capitare di scoprire in mezzo alle cianfrusaglie qualcosa di particolare, un libro interessante, un cd introvabile, un oggetto strano e inaspettato che ti apre un mondo, ti ispira un progetto o ti accende un'idea. così ogni volta che nelle nostre passeggiate ci imbattiamo in una di queste scatole io e v vi ci accostiamo e sbirciamo dentro, curiosi e aperti alla serendipità, pronti a lasciarci sorprendere, chissà che non salti fuori qualche piccolo inatteso tesoro.
l'altro giorno ci ho trovato tre palle da giocoliere ancora nella loro custodia. sono di ottima qualità: ripiene da sabbia per facilitare la presa e rivestite di cuoio colorato, hanno il giusto peso per essere lanciate da una mano all'altra. forse il proprietario dopo innumerevoli e infruttuosi tentativi ci ha rinunciato e in preda alla frustrazione ha alzato bandiera bianca, o forse è diventato talmente bravo da essere passato alle clave, o agli anelli, e adesso magari lavora in un circo, vai a sapere.
la faccio breve: le ho naturalmente prese e me le sono portate a casa. avevo imparato a giocolare con tre palle ormai secoli fa, ed è una di quelle cose che, passato l'entusiasmo e la soddisfazione di avere imparato qualcosa di nuovo, avevo poi messo da parte e dimenticato. ho scoperto con piacere che tutti gli anni passati da allora non hanno minimamente arrugginito né la mia memoria muscolare, né la mia coordinazione, e ogni tanto la sera trovo molto divertente passare qualche minuto ad eseguire il classico esercizio della cascata. l'idea di essere in grado di fare qualcosa con le mie mani e con il mio corpo è qualcosa che mi affascina sempre, chissà perché.
così ecco un'altra cosa che mi riprometto di fare e che rimando ad un futuro indefinito, visto che sono già saturo di passioni e progetti: prima o poi aggiungerò una palla, magari due, mi cimenterò con esercizi più difficili, e mi sa che non scamperete ad un post con il resoconto dei miei progressi.
e poi giocolare è un'attività molto rilassante, e in qualche modo davvero meditativa, perché ti costringe a stare nel presente, a restare concentrato sul movimento delle mani e sulla traiettoria delle palle, fino a sgomberare la mente da qualsiasi altra cosa. non c'è in effetti molto altro che uno possa fare, nel frattempo, se non godersi in totale consapevolezza la pienezza di quell'azione, e devo dire che è una sensazione che mi piace molto, e che vorrei essere in grado di esportare anche in altri momenti e altre attività della mia giornata.
una cosa divertente che avevo dimenticato, un nuovo cimento da portare avanti, una via per lo zen: pensa te cosa si può trovare in una scatola su un marciapiede, fra vasi, bicchieri e vestiti usati. f

csxqp: i ratti della sabina - "il giocoliere"

domenica, febbraio 02, 2025

 

 

cose trovate per terra #4

…on glielo fanno fare più, il suo stupido lavoro, e secondo me è un bene, quello non è mai stato capace e poi è quasi vecchio come noi, e non venirmi a raccontare quella scemenza dello spirito giovane, con me non attacca, comunque ti ho visto prima, sai, spirito giovane dei miei stivali, mentre buttavi l'occhio nella scollatura della cameriera, quella svergognata, a parte che potrebbe essere tua nipote, si capiva lontano un miglio che non erano vere, togliti quel sorriso ebete dalla faccia, so che ci stai ancora pensando, e poi se proprio devo dirla tutta non mi è piaciuto che hai fatto il cascamorto con marcie, ridevi a tutte le sue battute, una più scema dell'altra, del resto lei è scema, non è che mi aspettassi altro, comunque continuavi a versarle il vino, e secondo me hai pure bevuto qualche bicchiere di troppo, anzi sai che ti dico, la prossima volta non ci andiamo più a mangiare con i fresser, stanno cominciando a starmi antipatici, non fanno altro che ridere e fare battute sceme, anche il ristorante non era un granché, caro come il fuoco, porzioni piccole, la carne era troppo cotta, nemmeno da tua madre mangiavamo così male, ma santo cielo, non può essere, guarda lì, di nuovo, hanno aperto un altro cantiere, come se non bastasse già la pioggia, ci mettono pure i cantieri a flagellare 'sta maledetta città, ti rendi conto che oggi è l'unico giorno senza pioggia dell'ultimo mese, io te l'ho sempre detto che dobbiamo trasferirci ai caraibi, ma tu sei un pusillanime, chi ti sposta a te dal tuo orticello, comunque sono sicura che la pioggia ci perseguiterebbe fino ai caraibi, e pure i cantieri, eccone un altro, allora lo dicano, lo fanno apposta per rompere le palle a noi poveri cittadini, mo me lo dici tu dove passiamo, è tutto bloccato, io questi l'anno prossimo non li voto più, anzi non voto più nessuno, sono una manica di farabutti, uno peggio dell'altro, guarda che macello, attento a quei sassi lì, guarda dove metti i piedi, che poi mi cadi e ti rompi il femore, maldestro come sei, in quel caso ciao eh, ti porto all'ospizio e ti lascio lì, ma si può sapere che ti prende, è da quando siamo usciti che hai quell'aria da pesce lesso, sembra che hai visto la madonna, comunque dicevo ti lascio lì e al massimo ti porto le noci una volta a settimana, come fa la moglie di berthold, beata lei, però berthold lasciamelo dire è proprio un cretino, ben gli sta, gli han finalmente chiuso il negozio e n…
f

csxqp: simon & garfunkel - "the sound of silence"

sabato, febbraio 01, 2025


“sapevo che in montagna si cammina da soli anche quando si cammina con qualcuno, ma ero contento di dividere la mia solitudine con questi compagni”

Ci sono fine settimana in cui vorresti solo rimanere a letto, farti vincere dalla pigrizia, ma il tempo abbandonato all’ozio non ce lo restituirà nessuno, e così qualche volta bisogna lottare contro sé stessi, e forzarsi nel fare le cose, anche quando apparentemente non ne hai voglia, quando la stanchezza vorrebbe prendere il sopravvento. La difficoltà sta sempre nel muovere il primo passo, perché dopo qualche ora sarai contento di esserti alzato all’alba, aver tolto il ghiaccio dalla macchina, aver guidato per un centinaio di chilometri ed esserti inoltrato al gelo in un anonimo bosco sperduto nel nulla. Le premesse non sono mai troppo invitanti, e ogni tanto anche la gita ha dei risvolti poco piacevoli, ma si fa sempre tutto per passione, attratti dallo spettacolo della natura, ma anche per la gioia della compagnia, perché la cosa più bella rimane avere uno o più amici con cui condividere il momento. Questo l’ho capito negli anni, e da allora le avventure in solitaria non fanno più parte delle mie giornate.

Ho la fortuna di non dover mai pensare ai dettagli. Le uniche cose che chiedo e mi vengono date sono le informazioni di base, il dove e a che ora. Non discuto mai, anche se per l’orario cerco sempre di trattare un minimo, spingendo per spostare il ritrovo più verso le nove che non le otto. A tutto il resto pensa Lorenzo. Per quanto negli anni si sia provato a più riprese a coinvolgere i conoscenti più disparati, alla fine le camminate sono spesso un affare a due. Un giorno mi piacerebbe capire come mai, cosa abbiamo fatto in passato per spaventare così tanta gente, allontanandola da noi e dai nostri progetti. Siamo consapevoli che spesso andiamo all’avventura, senza seguire un sentiero, senza un rifugio come meta, con il pranzo rigorosamente al sacco. Come la camminata sarà serrata, prolungata e con un dislivello considerevole. E come sia scontata l’eventualità di passaggi poco agevoli, esposti, in cui con molta probabilità scivolerai, ti bagnerai e sporcherai tutto, per poi tornare alla macchina solo nel tardo pomeriggio. Ma nonostante questi trascurabili aspetti restano incomprensibili le ragioni che portano tutti a stare alla larga da noi, e dai nostri giretti.

E così questa mattina mi sono tirato fuori dal letto, dal tepore del dolce dormire, per buttarmi in autostrada direzione Val Seriana. Come da copione ero all’oscuro di tutto. Non mi interessava sapere dove saremmo andati, il dislivello o il meteo. Quello che veramente mi importava era camminare, immerso nei boschi, con al fianco un buon amico. Non è che avessi grandi pretese, ma nutrivo una flebile speranza di avere quantomeno del tempo clemente. Se non altro avrebbe aiutato l’umore e agevolato le tante ore all’aria aperta che ci aspettavano. Il freddo era pungente, le nuvole basse a rendere tutto ancora più onirico o spettrale. Bardati di tutto punto ci siamo avventurati attraversando prati imbiancati da uno spesso strato di brina ghiacciata. Dopo pochi minuti avevo già le gambe stanche, ma non c’erano alternative se non andare avanti. Ancora non lo sapevo ma tutta la giornata sarebbe stata così, a faticare, testa bassa, scarpe e pantaloni bagnati, e camminare, un passo dopo l’altro, fino a quella cima che lui aveva in mente e di cui io non sapevo nulla. L’illusione di un timido raggio di sole ci ha abbandonato subito. La realtà è stata un incedere sotto/dentro/sopra nebbia/neve/nuvole, letteralmente sperduti nel mezzo del nulla, lungo un crinale senza fine, e senza una traccia di sentiero. Nonostante le incertezze abbiamo continuato a salire, ma la mancanza di visibilità impediva di capire dove effettivamente fossimo. Eravamo semplicemente su una cresta in mezzo al bianco ovattato delle nuvole. E così a un certo punto si è insinuato il dubbio che fossimo quasi arrivati, o addirittura che fossimo andati oltre, che ci fossimo persi la svolta a sinistra, e che bisognasse tagliare, per riprendere la via. Io non sarei potuto essere di alcun aiuto. Non conoscevo la zona, non sapevo dove fossimo né dove dovessimo andare. Cosi mi sono affidato a lui, dapprima fiducioso, e poi sempre più scettico vista l’evidente confusione del momento. Abbiamo iniziato scendendo, per proseguire risalendo, tornando sui nostri passi, arrampicando, aggrappandoci a ciuffi d’erba, facendoci strada fra tronchi caduti e neve. Ovunque andassimo sembrava non fossimo sulla strada giusta, nel posto dove il cellulare indicava dovessimo andare. Per qualche tempo abbiamo ancora ripreso a salire, girando intorno ad uno sperone di roccia, per poi spingerci in un intricato sottobosco di cespugli, dove solo la magrezza e la voglia di arrivare in fondo (e ucciderlo) mi ha permesso di uscirne. Alla fine il cielo si è diradato regalandoci un momento di tregua, permettendo alla mia guida di ritrovarsi e condurci verso quello spiazzo dove saremmo dovuti arrivare qualche ora prima. Naturalmente ero furioso, uno perché ci andiamo sempre a impelagare in camminate assurde fuori sentiero, in zone sperdute dove non va nessuno e dove non c’è neanche il miraggio di un rifugio. Due perché è inaccettabile questo incaponirsi nel voler continuare a salire quando la soluzione più ovvia e agevole è dichiararsi sconfitti e tornare a valle. Si può ripercorrere a ritroso la stessa strada, o scendere seguendo la pendenza della montagna, e alla fine stai sicuro che troverai un sentiero, la strada o un paese. E invece no, avanti fino allo stremo. Nella mia testa l’ho odiato, mi sono detto a più riprese “mai più”, l’ho sfanculato centinaia di volte, e sicuramente qualche parolaccia soffocata è partita, ma lui era troppo distante, troppo impegnato a raccapezzarsi per poterla sentire. Alla fine mi ha ringraziato di non aver detto nulla, di averlo seguito come un bravo soldato segue il suo capitano, anche se avrebbe tante cose da ridire. Ho confessato che se la mia bocca era stata silente altrettanto non lo erano stati i miei pensieri, e che l’avevo ricoperto di improperi e insulti, ma non si aspettava niente di diverso, era semplicemente felice del mio contegno, della dedizione e spirito di sacrificio. 
Anche per questa volta, nonostante tutto, ci era andata bene. y

fine prima parte

clxqp: paolo cognetti - “senza mai arrivare in cima”

venerdì, gennaio 31, 2025


seconda parte

In tutto questo perdersi e ritrovarsi mi ero completamente bagnato, infreddolito, sfiancato. La giacca mi si era strappata nella lunga traversata fra i rovi, e ogni indumento era sporco o logoro. Nonostante fossimo sollevati di aver trovato la via corretta, il meteo non era dei migliori per fermarsi e pranzare. Faceva freddo, tirava vento e il suolo era coperto di neve. Così la pausa si è ridotta ad un misero mangiare in piedi caratterizzato da un continuo muoversi per mantenere il poco tepore corporeo e non gelare. Questo momento è stato anche la mia vendetta, perché gli ho messo fretta, e visto che si sentiva in debito per quanto successo non ha potuto che assecondarmi e riprendere il cammino velocemente. La verità è che non vedevo l’ora che tutto finisse, di essere di nuovo a casa, all’asciutto, sotto le coperte, dopo una doccia calda. Ammetto che le ore successive sono state tutto un pensare ad arrivare alla macchina nel più breve tempo possibile. Un ritorno fatto di stanchezza, poche parole, in cui la mente vagava libera, senza particolari pensieri. Ero concentrato, attento ai sassi, agli alberi, alla neve, a dove mettere i piedi e le mani. L’ultima cosa che volevo era prendere una storta, o scivolare. Una volta intuita la via da seguire, che altro non era che un solco fra due pendii scavato dall’acqua, sono partito a razzo. La discesa è stato tutto un saltare di qua e di la, cercando di preservare ginocchia e caviglie. Sono andato avanti, spedito, cercando di tenere sempre Lorenzo a portata di orecchio, finché non ho sentito urlare il mio nome. Ho sperato che fosse veramente importante perché l’idea di risalire non era fra i miei più immediati desideri. Nonostante qualche ritrosia sono tornato sui miei passi, ripromettendomi di ucciderlo se fosse stata una sciocchezza. L’ho trovato chino, fermo in un passaggio dove sembrava che dal terreno uscisse un tubo metallico, su cui pochi attimi prima ricordavo di esserci passato sopra coi piedi, pensandolo una condotta dell’acqua. E invece no, a suo dire era ben altra cosa. Con circospezione ha smosso un po’ la terra, e avuta certezza di quanto immaginava è partito con una raffica di fotografie, emozionato e felice come un bambino. Al sentire la parola “bomba” io ho fatto ciao ciao con la mano. Ho dato giusto un’occhiata e poi sono filato, pensando che la cosa più saggia fosse mettere quanta più distanza possibile fra la mia misera vita e quel pezzo di ferraglia. Ho atteso che finisse il servizio, che rilevasse le coordinate gps e si decidesse a lasciare quello che in pochi minuti era già diventato il suo piccolo tesoro. Io aspettavo ad almeno venti metri di distanza, cosa che mi rivelò essere pressoché inutile. Valutandone dimensioni e peso (60cm x 50kg) scoppiando avrebbe probabilmente fatto saltare mezzo costone. Questa notizia era la ciliegina sulla torta di una giornata vissuta pericolosamente, che fortunatamente volgeva al termine.

Ho lasciato a lui le incombenze con i carabinieri e gli artificieri. La denuncia in caserma, il doverli guidare sul luogo e la rimozione / brillamento dell’ordigno sono stati il suo onere e onore. Non posso aggiungere molto di più, ci hanno chiesto di mantenere il riserbo, non diffondere foto e informazioni, e così tutto rimarrà fra noi pochi intimi, avvolto dalla nebbia, come la nostra pazza camminata. y

csxqp: coma_cose - posti vuoti