tabacchi fc, ovvero tabacchi football club, ovvero tabacchi fancazzisti, ovvero un blog creato da quelli che si ritrovano la sera a giocare a calcetto nel parco tabacchi, quello spicchio di verde fra via tabacchi (appunto) e via giambologna, a Milano. Ovvero un contenitore per metterci tutto quello che ci passa per la testa...

giovedì, novembre 30, 2017



qualche giorno fa ho sfidato il freddo, la pioggia, la sveglia all'alba, il sonno e la stanchezza di due lavori accatastati uno sopra l'altro per salire sopra un treno e trascinarmi fino a colonia, per andare a sentire il concerto di un vecchio cantautore colpevolmente sconosciuto ai più. era più grigio di quando l'ho visto l'ultima volta (saranno passati almeno cinque o sei anni), ma le sue canzoni, perfino quelle nuove, mi sono sembrate quantomai colorate e vitali.
non intendo fare una recensione del concerto, né tantomeno del suo ultimo album, ma solo provare a descrivere una sensazione che mi ha attraversato mentre ero in piedi, stipato con troppe persone in un teatro troppo piccolo, con le gambe dolenti, stremato e assonnato, ad ascoltare un vecchio inglese con un forte accento e un naso grande quasi come la sua chitarra, che si ostina imperterrito a scrivere canzoni di protesta in un mondo arresosi al despacito.
canzoni che possono piacere o non piacere ma hanno un indiscutibile pregio: sono state scritte da uno che ancora ci crede, che è convinto fermamente che il mondo possa cambiare e nonostante tutto diventare un posto migliore, e che proprio le canzoni abbiano il potere, nel loro piccolo, di coagulare la coscienza di chi le ascolta, di alcuni perlomeno, intorno alla consapevolezza che non tutto è perduto, e all'intuizione che il vero pericolo non è nei fascismi o nei fanatismi, ma nel menefreghismo accondiscendente di chi accetta, stanco di lottare, le cose sbagliate. è un modo di pensare che mi trova d'accordo, e mi conforta, seppur limitato dalla mia proverbiale pigrizia e dalla mia abituale pachidermica inerzia, sapere di esserci, di fronte alla barricata, e di emozionarmi di fronte a queste idee, attraverso queste e mille altre canzoni, che ne condividono spirito e intenti.
la verità è che io, che sono sempre stato un sognatore ad occhi aperti, sia nel senso buono che, soprattutto, in quello negativo del termine, io che tendo a circondarmi di illusioni e di speranze, sulle possibilità di cambiamento di ciò che non va e sulla buona fede delle persone, io che preferisco l'ottimismo utopico alla rassegnazione, io che insomma sono un ingenuo di professione, ecco, io a volte ho una paura fottuta, con l'età che avanza e l'aumentare del numero delle cicatrici sulla mia pelle, di svegliarmi un giorno e scoprire di essere diventato irrimediabilmente cinico. di smettere cioè di condannare le disuguaglianze e le arroganze, e di rinunciare a credere che ogni gesto, anche quello più piccolo e insignificante, sia importante e a suo modo decisivo per migliorare ciò che mi circonda (o anche solo me stesso, e le tante cose che non funzionano in quel punto imprecisato fra la mia anima e il mio cervello): ho paura ad esempio di non aver più voglia di andare a votare perché tanto sono tutti dei farabutti, di credere che fare la raccolta differenziata o ridurre il mio impatto ambientale sia inutile perché tanto non lo fa nessuno, o di smettere di tendere una mano o il cuore ad una persona che ne ha bisogno perché tanto so che poi mi frega o se ne approfitta, o non se lo merita.
ecco, la sensazione era questa, così limpidamente bella da essere quasi banale: certe canzoni decisamente non salveranno il mondo, né cambieranno mai le cose. ma sono meravigliosamente preziose, e ho disperatamente bisogno di loro, nel momento in cui mi ricordano che è ancora possibile farlo. f

csxqp: billy bragg - "saffiyah smiles"

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