tabacchi fc, ovvero tabacchi football club, ovvero tabacchi fancazzisti, ovvero un blog creato da quelli che si ritrovano la sera a giocare a calcetto nel parco tabacchi, quello spicchio di verde fra via tabacchi (appunto) e via giambologna, a Milano. Ovvero un contenitore per metterci tutto quello che ci passa per la testa...

sabato, agosto 30, 2025


Quest'anno sono arrivato alle agognate ferie arrancando, fiaccato nel fisico e nella mente. Più la data della partenza si avvicinava più la mia convinzione scemava. Ho più volte tentennato pensando al viaggio che ci aspettava, a quel piccolo sogno che con tanta pazienza, passione e tempo avevamo costruito, scontrandoci spesso con una cronica mancanza di informazioni e mille difficoltà logistiche e linguistiche, che alla fine ci avevano spinto, per la richiesta del visto, a rivolgerci ad un'agenzia specializzata. Pur trattandosi di un territorio europeo, pur essendo parte della vicina Grecia, la repubblica monastica del Monte Athos ha una sua autonomia speciale, delle leggi e delle disposizioni uniche nel suo genere, a cui bisogna necessariamente attenersi: si può soggiornare solo per quattro giorni, non sono ammesse le donne, si devono indossare pantaloni lunghi, il bagno in mare è vietato, le ciabatte si possono indossare solo col calzino... 
L'idea del dove, del quando e del come ha iniziato a prendere forma a gennaio, e mese per mese abbiamo aggiunto tanti piccoli tasselli al mosaico di quello che sarebbe stato il nostro pellegrinaggio. Ottenuto il visto (ufficiosamente, perché le cose devono essere complicate, e fisicamente l'avremmo avuto in mano solo la mattina dell'imbarco, presentandoci negli appositi uffici) abbiamo iniziato a verificare i voli, i traghetti e le loro fermate, i monasteri, a valutare gli alberghi e le tratte dei bus. Ci siamo spesso trovati ad arrancare davanti ai nostri limiti linguistici, non conoscendo il greco, e dinnanzi all'assenza di notizie pratiche e canali ufficiali a cui rivolgersi. L'impossibilità di trovare risposte e chiarimenti ai molti punti oscuri e contraddittori che ci tormentavano ci ha spinto a interrogarci sull'effettiva fattibilità di quello che sulla carta sarebbe dovuto essere semplice ma nella realtà era tanto aleatorio quanto imprevedibile. Nonostante le innegabili problematiche irrisolte ero tranquillo, il non avere tutto organizzato nel dettaglio ci dava un po' di sana incertezza, quel pathos che poi è il sale della vacanza, e allo stesso tempo la flessibilità di cambiare i piani strada facendo. Definito tutto il possibile (volo e pernottamenti) abbiamo iniziato il tragitto di avvicinamento atterrando in tarda serata a Salonicco. Qui abbiamo preso accordi con il taxi, che ci aveva raccolto in aeroporto, affinché la mattina seguente ci venisse a riprendere per portarci nella cittadina costiera dove avremmo preso visto e traghetto. Nonostante il Monte Athos sia una penisola l'unico modo di accedervi è via mare, partendo da Ouranopoli. Come previsto ci siamo arrivati in taxi, ma non con l'autista con cui avevamo concordato il trasporto. Nella notte era stato male e ci aveva affidato ad un collega, che non parlava una parola di inglese, e con il quale ogni scambio è dovuto passare attraverso il figlio al telefono, che faceva da tramite fra noi e il padre. Questo è un piccolo simpatico esempio che vi riporto giusto per farvi capire quanto la barriera linguistica fosse grande e impattante, limite che ci accompagnerà per tutti i giorni della nostra permanenza.


Una volta ritirato il visto, e comprati i biglietti per la tratta marittima, molti dubbi si sono dissolti, la tensione si è allentata e abbiamo finalmente realizzato che ce l'avevamo fatta, era tutto vero, stava per iniziare la nostra esplorazione nel misterioso universo dell'ortodossia. Dopo poco più di un'ora di navigazione saltiamo agili sul molo del monastero di San Grigoriou, che ci avrebbe ospitati la prima notte. Siamo felici, ma anche frastornati e titubanti. Non sappiamo come muoverci, siamo soli, spaesati. Dopo trenta minuti di attesa, di figure losche, spazi angusti, odore acre di sudore e parole balbettate, già meditavo la fuga, un comodo traghetto di ritorno, verso quella civiltà quantomai cara. Preso da questi pensieri, incerto sul da farsi, e maledicendo le mie strane fantasie di viaggio, con la promessa che le prossime ferie le avrei gestite diversamente, veniamo infine avvicinati dal monaco incaricato dell'accoglienza. Ci spiega le regole della comunità, ci fa vedere gli spazi, dove avremmo dormito, il refettorio e i bagni. Con solerzia ci informa degli orari delle funzioni, specificando che vi avremmo dovuto partecipare. La messa iniziava alle 4 di mattina, per terminare alle 7.30. A quel punto quindici minuti per la colazione e poi via, liberare le stanze. La sera invece alle 17.30 avremmo presenziato ai vespri, per poi terminare e cenare alle 18.45. Alle 19 venerazione delle reliquie. Non potete capire lo stupore, i volti basiti e perplessi. Sul mio avreste riconosciuto sicuramente incredulità e rassegnazione. Avevo capito bene? Ormai non avevamo scelta, o alternative, questo era quanto. Mi sono consolato pensando che quattro giorni tutto sommato passano in fretta, e poi a veder bene l'ultimo riguardava il rientro. Si poteva fare, magari questa esperienza mi avrebbe fatto vedere la mia quotidianità con occhi differenti, più accondiscendenti e meno critici. Per farmi coraggio, e prendere familiarità con il contesto, ho pensato che la cosa migliore fosse esplorarlo, guardarsi intorno, godere della natura e della vista del mare. L'ambiente era affascinante, e il monastero fiabesco. La bellezza era intorno a me: torri fortificate a picco sul mare, strutture medioevali, la cittadella con la chiesa color porpora. Ho iniziato ad apprezzare il silenzio, i sentieri, gli orti terrazzati, i filari di uva lungo il decumano, i gatti oziosi e gli scorci delle insenature. E poi l'isolamento, l'assenza di strade, attività commerciali, esseri umani. Sono entrato in comunione con la spiritualità del luogo, con la sua unicità. Non dovevo fare nulla, niente da preparare, di cui preoccuparmi, a cui pensare. Un quarto d'ora prima della funzione un tocco di campana ci ha chiamato a raccolta. Diligentemente siamo accorsi in chiesa, senza alcuna nozione del culto ortodosso e di come avremmo potuto partecipare. E' stata un'ora abbondante di raccoglimento, studio dei dettagli, contemplazione. Ho osservato attentamente pratiche e movimenti, cercando di capirne i dettami. Mi sono immerso totalmente nella liturgia, facendomi cullare dalla litania e dalla luce fioca delle candele, l'unica presente nello spazio dedicato ai miscredenti, ovvero i non ortodossi. Mi sono accomodato lì dove ci era stato indicato di stare, mi sono alzato quando tutti si alzavano, e fatto il segno della croce quando necessario. Ho abbassato il capo quando richiesto, e sono stato ripreso quando ho incrociato le gambe, cosa che ho capito essere vietata perché segno di lassismo e mancanza di rispetto. Non comprendere una parola è stato faticoso, ma la curiosità e l'emozione del momento sono state grande fonte di motivazione. Finiti i vespri siamo stati invitati con una certa solerzia alla cena, composta da un piatto di semolino, pane, olive, pomodori e cetrioli in insalata. Il silenzio era d'obbligo, e tutto doveva essere consumato con una certa celerità. Dopo neanche quindici minuti un suono metallico ci ha richiamato in chiesa, per la venerazione delle reliquie, ultimo atto della giornata monastica. Noi avevamo preso a riferimento Alexios, il monaco che ci aveva accolto e forse preso in simpatia. Durante la funzione, inquanto cattolici, non avevamo potuto accedere alle reliquie, ma una volta terminata ci aveva preso in disparte, invitandoci nel santa sanctorum. Qui, su un vassoio d'argento, ci ha reso visibile il loro tesoro, le sacre reliquie, spiegandocene la storia e incoraggiandoci a baciarle. Come gesto finale ci ha benedetto quattro santini, con raffigurata Sant'Anastasia, a cui è dedicato il monastero, e a cui adesso mi sento devoto, per l'accoglienza e la disponibilità che ci hanno donato.
Il grande portone d'ingresso si sarebbe chiuso alle 21 ed entro quell'ora bisognava essere dentro. Prima di coricarmi ho sfruttato il tempo su una panca in legno, sul ballatoio della zona dedicata agli ospiti. Mi sono sdraiato e guardando il tramonto ho aspettato che il buio calasse perso nei miei pensieri. Ho meditato su quanto stavo vivendo, e mi sono sentito leggero, sgombro da ogni preoccupazione. Mi sono lasciato accarezzare dalla brezza marina e con lo sguardo fisso verso il cielo ho incrociato una stella cadente. Era tutto perfetto, ero in pace, potevo andare a letto. Questo momento è stato la svolta, qualcosa è scattato, non avevo più alcun timore, incertezza, perplessità. Dinnanzi a me ci sarebbero stati solo giorni stupendi. 
Partecipando alla funzione tardo pomeridiana avevamo capito che c'era una certa flessibilità nella liturgia. Stranamente noi italiani eravamo stati ligi ai dettami, mentre gli altri pellegrini, nonché i monaci, avevano avuto un atteggiamento alquanto disinvolto, andando e venendo con una certa sorprendente libertà. Il mattino seguente mi ero quindi permesso di frequentare la chiesa verso le 6.30, dedicando alla preghiera poco più di un'ora. Dopo questa, come a cena, è seguita subito la colazione, frugale e frettolosa, fatta delle stesse pietanze della sera, col l'aggiunta dell'anguria. Per noi è stato un duro colpo non poter avere caffè o tè, e qualche dolce da forno, ma questa era la prassi, e di quello che ci veniva offerto abbiamo fatto tesoro. Il tempo però stringeva, e una volta raccolte le nostre poche cose ci siamo confrontati sul come proseguire, direzione monastero di Iviron. La verità è che non avevamo idea di come arrivarci, e dopo un fallito tentativo per farci venire a recuperare a metà strada, abbiamo optato per una irta camminata lungo la costa in direzione di un altro eremo, al cui attracco avremmo potuto incrociare un'imbarcazione. La decisione era presa. Il sole era appena sorto, tirava un vento fresco e a tratti incontenibile, la natura era verde e rigogliosa. Armati di spirito d'avventura e fatalismo ci siamo messi in movimento, zaino in spalla, un passo dopo l'altro, verso l'ignoto. E' stato faticoso ma la vista che ci ha riservato il sentiero è stata sorprendente. Mi ha riempito l'animo di entusiasmo e gioia, facendomi dimenticare tutto il pregresso, il mal di schiena, e tutti qui mesi carichi di sofferenza che avevano caratterizzato quest'anno maledetto. Al volo abbiamo preso la piccola Mikra Aghia Anna, sbarcando dopo pochi minuti nell'approdo principale, dove tutti arrivano e stazionano per riprendere il pellegrinaggio. La presenza di alcuni pulmini presupponeva la possibilità di un servizio di trasporto, ma tutto era sospeso nell'incertezza, non essendoci linee ufficiali e tabelle orarie. Lungo la banchina abbiamo raccolto un po' di notizie, capendo che sarebbero partiti non appena trovati almeno dieci passeggieri. Così ci siamo messi pazientemente seduti, in attesa, chi mangiando frutta secca e chi bevendo un pessimo caffè greco, speranzosi di raggiungere la capitale e poter poi riprendere il sentiero fra i boschi per arrivare alla nostra seconda meta, il monastero di Iviron.


Non è il caso che racconti tutto per filo e per segno, meglio lasciare un minimo di mistero, ed il piacere della scoperta, per chi vorrà intraprendere questo percorso. Ogni monastero ha la sua storia, le sue peculiarità, tradizioni, orari, riti e reliquie. Troverete castelli medioevali, fortezze imponenti, con spessi muri di pietra e alte torri, con i camminamenti e la cittadella. Vedrete affreschi e chiese buie ma scintillanti di ori e argenti, icone e biblioteche centenarie, portoni blindati con armature di metallo dietro cui la sera sarete rinchiusi, al sicuro. Incontrerete monaci schivi e diffidenti, spesso guardinghi e all'apparenza ostili, ma dai modi cortesi e l'animo gentile. Sarete ospitati in camere e spazi simili ai nostri convitti per studenti, con lenzuola e asciugamani sempre puliti e profumati. Avrete una colazione e una cena, ma dimenticatevi il pranzo. Nella nostra esperienza la dieta è sempre stata vegetariana, ma non posso dire se sia la prassi o solo una casualità. Sarete immersi nella spiritualità e nel rispetto reciproco, nella compostezza, lontani dal clamore, dall'apparenza e dal superfluo. Camminerete in un luogo che tutti voglio preservare, custodire gelosamente, mantenendolo così come è sempre stato. E per quanto riguarda il lato organizzativo vivete il momento, una via la troverete, e nella peggiore delle ipotesi non avrete comunque difficoltà a incontrare una struttura dove essere accolti.


Per quattro giorni sono stato fuori dal mondo, fuori dalla mia vita, e da ogni pensiero che mi portavo dietro. E' stato un viaggio verso l'ignoto, nell'anima dell'ortodossia alla scoperta delle sue radici profonde, di un universo sconosciuto carico di tradizioni. Abbiamo tentennato, errato, dubitato. Ci siamo interrogati sul significato di tutto questo, e solo adesso riesco a raccogliere emozioni ed idee. Lì ero troppo preso a vivere il momento per fermarmi e riflettere. Ora ho il tempo per farlo, e quello che provo è una grande gioia, e riconoscenza.
Monte Athos io vado, ma non è un addio, c'è ancora tanto da scoprire, ascoltare, apprendere. Non so quando ci rivedremo, per adesso grazie di questi giorni intensi. y

csxqp: c.c.c.p. - ortodossia

giovedì, agosto 21, 2025

 


un sorridente pompiere nero con la sua inseparabile accetta e un'avvenente miss ciglia lunghe con corona e abito da sera sono stati i protagonisti del nostro ormai tradizionale progetto fotografico estivo: abbiamo affidato al caso la scelta di questi due personaggi e ce li siamo portati dietro dovunque andassimo per un mese, immortalandoli ogni giorno in una fotografia (quella che vedete è l'ultima della serie, scattata sulla "spiaggia" della nostra città). le regole erano sostanzialmente quelle dell'anno scorso, e devo ammettere che fotografare un personaggio, sempre lo stesso, si è rivelato a suo modo più impegnativo che trovare un soggetto di un determinato colore: mettere il mio pompiere in un contesto che avesse un senso e al contempo raccontasse qualcosa che stavo facendo in quel momento è stata senza dubbio una piccola piacevole sfida. innanzitutto perché mi sono accorto ben presto che fotografare una cosa relativamente piccola con uno sfondo alle spalle presenta una difficoltà tecnica non banale legata alla messa a fuoco: o si vede bene il personaggio o si vede bene lo sfondo, e ho rinunciato a tante idee di foto in campo largo perché, perfezionista come sono, non mi sarebbero riuscite come volevo (poi magari l'impostazione per mettere bene a fuoco tutto sul cellulare c'è, e sono io pigro che non ho avuto voglia di andare a cercarla): poco male però, ho fatto di necessità virtù e ho cercato di restringere le inquadrature e concentrarmi sui dettagli, ed è stato un bell'esercizio. e poi perché quasi tutte le foto le ho scattate in luoghi pubblici, e tutte le persone che mi hanno visto fare un book fotografico ad un playmobil (guardami, sorridi, bravo, così, più intenso, fai un passo indietro, alza l'accetta, ci siamo) mentre appunto cercavo lo scatto e l'inquadratura perfetta, avranno probabilmente pensato, come dargli torto, che fossi un po' matto. non che me ne freghi qualcosa, ma di sicuro ho strappato a molti passanti ben più di una risata (e a nulla, credo, sia valso provare a spiegare, e a cercare indulgenza facendomi scudo con le parole "progetto artistico": avranno sorriso bonari per poi picchiettarsi la tempia con l'indice, appena giravo le spalle).
però quello che conta è che è stato bello: anche quello di quest'anno è stato un gioco creativo davvero molto divertente, e mi è piaciuto davvero tantissimo farlo. sono molto soddisfatto delle trenta foto scattate: ognuna racconta un momento di quella giornata, un aspetto della vacanza, della vita al mare, del rientro a casa, o del mio lavoro, le cose che ho fatto o che amo fare, o semplicemente un dettaglio che in quel giorno mi ha incuriosito, attirando la mia attenzione.
d'accordo, forse mi entusiasmo con poco, e sono l'eterno bambino che ha sempre bisogno di giocare, ma il punto importante di questo post in realtà è un altro, e ha a che fare con la fortuna: è un periodo in cui, forse per la piega che sta prendendo il mondo, mi capita spesso di pensare a tutte quelle che ho, che sono tante. è già di per se un privilegio poter dedicare tempo ed energie ad un passatempo così frivolo e giocoso, perché significa non avere la mente intasata da preoccupazioni o malesseri, ma la vera propria meraviglia è quella di avere al mio fianco una persona divertente, con uno spiccato senso dell'umorismo, una miss battuta pronta giocherellona e aperta allo scherzo, che non solo è capace di stare al gioco, ma che nel gioco mi ci trascina con tutte le scarpe, come nel caso di questo piccolo progetto. ridiamo davvero tanto, ed è davvero una fortuna: grazie! f

csxqp: dire straits - "lady writer"

mercoledì, agosto 20, 2025


Sono arrivato alle ferie estive fisicamente, emotivamente e mentalmente distrutto. Partire per la montagna era quanto mi ero ripromesso di fare, e una flebile speranza mi spingeva a credere che come al solito le dolomiti mi avrebbero ridato energia e gioia di vivere. Era inutile rimanere a soffrire a Milano, nella solitudine agostana, con il caldo alle porte, e la solita routine che non prometteva nulla di nuovo/buono. Così sabato mi sono alzato di buonora, sono salito in macchina, e alle cinque sono partito sperando di evitare il traffico che per quel giorno era stato indicato da bollino nero. Dal primo momento ho percepito che il viaggio sarebbe stato un calvario, avevo male, ma ho fatto finta di niente, dovevo piegare il fisico al mio volere, volevo andare, ad ogni costo, e cercare di recuperare quella serenità che il dolore, i pensieri e le rinunce di questi mesi mi avevano tolto. Il tragitto si è rivelato senza intoppi, e passando per Vittorio Veneto in viso ha fatto capolino un lieve sorriso, ormai mi sentivo arrivato, l'aria era diversa, il paesaggio stava cambiando, la visuale dell'orizzonte spaziava all'infinito. Stavo per riabbracciare le mie montagne, la mia Heimat, i miei affetti più cari. Lungo la strada mi sono fermato nel negozio di alimentari dove lavora mia sorella. L'ho vista di spalle, alla cassa, ero felice, e l'ho abbracciata come non mai, facendo affiorare qualche lacrima, perché ero finalmente a casa, lì dove avrei potuto curarmi l'anima. Ho prolungato la stretta, un po' perché ne sentivo il bisogno, un po' perché non volevo mi vedesse nelle mie debolezze. Lei è rimasta sorpresa, perché non sono solito a questi slanci d'affetto, ma non ha detto niente, anche se le si leggeva in viso. Ancora adesso ripensandoci mi viene il magone. Non lo sapevo ma questo stato d'animo, questa angoscia, questo tormento, sarebbe stato il filo conduttore di tutta la settimana, in barba alle grandi aspettative che mi ero immaginato. Avevo ancora da fare pochi chilometri e sarei arrivato in paese, dove mi aspettavano i miei genitori, e lhasa, la loro cagnolina. Erano giorni che non stava bene, e vederla così magra, spelacchiata e col passo incerto è stato un altro boccone amaro, difficile da mandare giù. Come sempre ho cercato di non far trasparire nessuna emozione, ma nel profondo ero devastato. In queste condizioni sarebbe stato duro passare del tempo in famiglia celando il disagio che stavo covando. Ero appena arrivato e già volevo scappare. I giorni successivi non furono migliori, e più volte mi ritrovai a trattenere a stento le lacrime. Volli toccare il fondo andando al cimitero, cosa che facevo ogni anno, con l'intenzione di ritrovare tutte le persone che avevo conosciuto, e rendergli così omaggio. La visita naturalmente fu straziante, e piansi senza ritegno. Un altro giorno incrociai un caro amico, che abbracciai disperato, quasi potesse offrirmi un riparo o un aiuto da tutto questo malessere. Passeggiando nel centro incontrai anche una signora anziana, che mi aveva visto crescere, ma aveva anche perso un nipote mio coetaneo. Si chiamava Federico, mi ha ricordato che erano passati ormai 25 anni dalla sua scomparsa. Lo sapevo bene. Per tanto tempo non ero riuscito più a guardarla in viso, ne a parlarle, e tantomeno esprimerle il dolore che provavo. Eravamo amici, avevamo trascorso tutte le estati della nostra giovinezza li insieme, e diventati maggiorenni ci eravamo ripromessi di rivederci, dopo qualche anno in cui era stato via, con il padre, dopo aver lasciato la scuola. L'avevo sentito per telefono, aveva una ragazza, un lavoro, era felice, e io l'aspettavo con gioia. Non lo rividi più. Anche questa volta non seppi cosa risponderle, limitandomi a piegare la testa e trattenere le lacrime. Ma mi sono ripromesso di tornare a trovarla, e per quanto sarà doloroso dirle che di lui non ci siamo mai dimenticati, che continua a vivere nei nostri ricordi.

Sono stati giorni complicati, e il dover tornare a Milano per una visita medica è stata una liberazione. Avrei potuto fermarmi un giorno in più, ma non mi sembrava il caso, meglio rincasare, lontano da tutto e da tutti. Di li a qualche giorno sarei dovuto partire per il Monte Athos, in compagnia di tre amici, ma non mi sentivo nelle condizioni per farlo. Più volte ho pensato di rinunciare, di rimanere a casa a piangermi addosso, ma così non è stato, per fortuna. Adesso mi sento rinfrancato, nel cuore e nello spirito, ma il percorso per arrivarci è stato doloroso, complesso, intricato. Difficilmente ci sarei arrivato senza il contributo di voi tutti. Grazie. y

csxqp: the cure - "boys don't cry"

ps le prime avvisaglie di questa fragilità le avevo già avute a Pescara, quando ritrovando f in stazione mi ero lasciato andare ad un abbraccio più sentito e persistente del solito. Anche li mi sarei voluto abbandonare ad un pianto liberatorio, quello di chi raggiunge un approdo sicuro e si libera di ogni preoccupazione, ma non l'ho fatto, anche se sarebbe stato utile. grazie f e v, anche quei giorni sono stati importanti nel portarmi qui dove sono ora.
pps non è vero che i ragazzi non piangono.