tabacchi fc, ovvero tabacchi football club, ovvero tabacchi fancazzisti, ovvero un blog creato da quelli che si ritrovano la sera a giocare a calcetto nel parco tabacchi, quello spicchio di verde fra via tabacchi (appunto) e via giambologna, a Milano. Ovvero un contenitore per metterci tutto quello che ci passa per la testa...

sabato, marzo 09, 2024

 


cose trovate per terra #1 
il bimbo immaginava la spiaggia come un enorme barbecue: le persone distese sulla sabbia rovente erano salamelle, costine o braciole, e il sole con gli occhiali da sole e il grembiule armeggiava famelico dall'alto con una grossa forchetta, cosa che peraltro spiegava perché alcuni passavano in men che non si dica dalla pancia alla schiena, o perché altri a un certo punto improvvisamente sparivano e non erano più al loro posto. con questi pensieri a frullargli in testa il bimbo raggiunse trotterellando il suo ombrellone, le monetine di resto in una mano, il gelato nell'altra. 
- cos'hai preso?
- un maxicono amarena menta e bacio, con ripieno di caramello salato.
- (smorfia) e quelle cose colorate lì sopra cosa sono?
- smarties.
- santo cielo, è terrificante.
- è buonissimo, nonna, non puoi capire.
- (ride) dopo una porcheria del genere ti ci vorrà almeno una settimana prima di poter rifare il bagno!
un lampo di preoccupazione squarciò il viso del bimbo. durò soltanto un attimo, appunto il tempo di un lampo: la nonna per fortuna non stava dicendo sul serio. che spavento, però. non si scherza su queste cose.
- beh ora corro a giocare, ci vediamo dopo.
- nient'affatto caro, appena hai finito di mangiare il gelato è qui che giochiamo.
- ma come nonna, ancora? dobbiamo proprio?
- si, dobbiamo, lo sai, non farmi ripetere le cose mille volte. un giorno mi ringrazierai: fra qualche anno potrai partecipare ai tornei sulla spiaggia, e ti servirà per conoscere gente. non sei nessuno senza le giuste relazioni: lo capirai meglio quando sarai grande.
- ma io sono già grande, nonna. e poi non ho bisogno di conoscere nessuno, ho già i miei amici. giacomo, tarek e tonino mi stanno aspettando, fra poco giochiamo contro quelli del tropicana. sono dei bulletti e dobbiamo proprio batterli, stavolta. nonna, credimi, è una questione di vita o di morte.
- si lo so, non piacciono nemmeno a me quelli. sono antipatici e arroganti come i loro odiosi genitori.  
- vedi? perciò dobbiamo dargli una lezione, nonna. ci siamo allenati tanto, e la partita di oggi l'abbiamo fissata da tempo.
- questo gioco però è più importante. senti, non fare quella faccia, facciamo qualche mano, e poi vediamo.
- ma nonna, protestò il bimbo.
- dai mescola le carte, e poi vediamo.
 - (sbuffa) poi sarà troppo tardi, nonna, sono quasi le tre, fra poco comincia la partita, devo proprio andare.
- mescola, e poi vediamo, ripetè la nonna, fissandolo dritto negli occhi, e accentuando le parole con severa e definitiva intenzione.
- uff, cavolo, e va bene.
- e non dire parolacce
- non ne ho dette, nonna.
- beh, non pensarle nemmeno (ride). te l'ho mai detto che è così che ho conosciuto tuo nonno? era una schiappa come te (sorride con tenerezza, gli occhi addolciti dal ricordo).
grazie tante, pensò il bimbo, le carte che ogni tanto aveva visto usare al nonno erano molto più facili da leggere di queste, c'erano i numeri comodi comodi scritti in alto e non bisognava sempre contare tutto: ci credo che anche lui fosse una schiappa con queste. per indispettire la nonna le chiese, come ogni volta, se le donne fossero uomini e andassero a cavallo. la nonna per tutta risposta abbassò un po' la testa in modo che il suo sguardo fulminasse il bimbo direttamente, senza passare attraverso gli occhiali. poi con un gesto rapido tagliò il mazzo. niente da fare, che palle, sono spacciato, pensò il bimbo. addio partita, mondo crudele, sono incastrato qui, i bulletti avranno la meglio e continueranno a fare i bulletti, chissà per quanto tempo.
poi, mentre distribuiva le carte, ecco l'idea giusta.
- hai visto nonna? laggiù.. il sole ha appena girato quella salsiccia!
la nonna si volto senza capire.
- eh?
tanto bastò: mentre la nonna era girata il bimbo prese la prima carta del mazzo e se la mise rapido e furtivo nella tasca del costume.
- non ho capito.
- niente, scusa, mi sono sbagliato, devo aver visto male.
si sentiva un vero furfante, ma il fine giustificava i mezzi. il piano era semplice ma poteva funzionare: si sarebbe disfatto più tardi della prova del suo crimine, con tutta calma, gettandola da qualche parte mentre tornavano a casa. iniziarono la prima mano.
- mi raccomando, non tenerti i carichi fino alla fine, come fai sempre. ricordati che in questo gioco, come nella vita, serve strategia, non avidità.
ci risiamo, come da copione. il bimbo voleva davvero bene alla nonna, ma se c'era una cosa che lo infastidiva a morte, più che essere costretto a giocare contro la sua volontà, era la tendenza della nonna a ridurre ogni aspetto di quel gioco ad un insegnamento morale. diamine, alla fine si tratta soltanto di un gioco di carte, mica come il calcio: quello sì che racchiude epica, passione, storia, vita. una lezione oggi ai bulletti del tropicana significherebbe, ad esempio, che il bene trionfa sul male, pensò il bimbo.
- lo vedi, stai sbagliando di nuovo, stai giocando senza criterio, come al solito. quella carta lì facevi meglio a non giocarla ora, e a tenertela per dopo. (ride) sei proprio un due di coppe quando comanda spade.
rieccola, questa è un'altra delle sue massime preferite. a me stanno antipatici sia il due di coppe che quello di spade, pensò il bimbo. se proprio devo essere una carta vorrei essere il tre di bastoni, lucido e dorato, con due bei baffoni folti e un'aria beffarda. certo che a pensarci bene quella si che è una faccia da furfante. forse ora che sono anch'io un po' un furfante verrà anche a me una faccia così. non so se mi conviene però, quei baffoni così lunghi mi sa che si impiastricciano tutti quando uno mangia il gelat…
- ehi, ci sei? tocca a te. non distrarti e concentrati, per favore.
- nonna?
- dimmi.
- le carte sono dispari, guarda.
- come sarebbe sono dispari?
- ne mancano poche ormai, si vede che ne manca una.
- una, due, tre, quattro, cinq.. cavolo, hai ragione. guarda che non sia caduta lì sotto.
- non c'è, nonna.
- forse è rimasta nella scatolina. fammi guardare... no niente. e adesso?
la nonna era visibilmente delusa.
- non si può giocare con una carta in meno, disse il bimbo con tutta la solennità possibile.
- non si può giocare con una carta in meno, dovette ammettere costernata la nonna.
poi la nonna si illuminò:
- aspetta, chiediamo ai vicini di ombrellone se hanno un mazzo da prestarci (si volta).. niente, non ci sono, eppure erano qui poco fa, non li ho visti andar via.
zac, cotti, tirati su e mangiati, pensò il bimbo.
- posso andare ora alla partita?
- (sospirando) va bene, puoi andare, ma non allontanatevi dalla spiaggia.
- grazie, nonna, ciao, a dopo.
il bimbo si senti dispiaciuto per la nonna, e un po'  in colpa, ma solo per un attimo. agguantò svelto il pallone e si mise a cercare i suoi compagni di spiaggia correndo come un matto, a zig zag, per evitare di essere arpionato dal forchettone del sole.
la nonna lo segui con lo sguardo mentre si allontanava. fategli il culo, a quegli stronzetti, sussurrò piano.  f

csxqp: francesco de gregori - "la leva calcistica della classe '68"

domenica, marzo 03, 2024


Ho scoperto che si può essere felici per una caramella, che più si è convinti di donare e più si riceve, che i piccoli gesti hanno grandi risvolti, e che gli affetti possono nascondersi agli occhi, ma non ti abbandonano mai. Ho capito l’importanza della qualità del tempo che condividiamo, quanto le attenzioni più semplici facciano la differenza, il significato delle parole empatia e misericordia, e come l'altruismo possa rendere l'esistenza piena e degna.

In quest’ultimo anno ho imparato molto. Sapevo che esseri li era importante, ma non ero consapevole che lo fosse tanto per te quanto per me. L’ho capito piano piano. Avevi piacere nel vedermi tanto quanto io nel farti visita. E così, in un modo del tutto imprevisto ma naturale, si era creata la nostra routine domenicale, il nostro angolo di paradiso, un’ora di storie e memorie, notizie e resoconti, con chi, come me, di parole non ne aveva mai spese molte. Ma non solo, perché non volevo semplicemente farti compagnia, regalandoti un momento di evasione, ma darti qualcosa di più, di concreto, qualcosa che ti facesse sorridere gli occhi, apprezzare quel momento di vita nonostante il contesto e le preoccupazioni. E allora cosa di meglio del cibo: la frutta, i dolci, i succhi e le caramelle, questi erano l’appendice non scritta dei nostri incontri. Per quanto ti spronassi non mi hai mai chiesto niente, ma non hai mai mancato di ringraziarmi, in quel modo antico e sincero che mi ricordava tanto mia nonna.
Non posso dire che sia sempre stato semplice. Alzarsi presto la domenica, la distanza, il viaggio in auto e il carico emotivo potevano essere un deterrente, ma erano un piccolo prezzo da sostenere in confronto al sollievo che avrei portato. Sapevo che mi aspettavi e non avrei potuto deluderti. E così venire non è mai stato un peso, e adesso mi manca non avere più quel momento da condividere, quella parentesi in cui la mia presenza era importante. 
Per chi mi sta intorno è difficile immaginare cosa abbia perso in questi giorni. Agli occhi del mondo ho sempre celato ogni cosa, custodendo questi incontri gelosamente. Non ne parlavo prima, e non avrebbe senso adesso. E così nessuno sa, ne può capire, la perdita, il dolore che mi affligge, tranne i tuoi cari, loro si, sanno, e mi sono vicini, come fossi parte della famiglia.

Oggi avremmo festeggiato i tuoi 97 anni, ma ci hai lasciato prima. Non ho rimpianti, è stato bello esserci quando serviva, e non solo. Ciao Anna. y

csxqp: lucio dalla - "anna e marco"

giovedì, febbraio 08, 2024

 


devo ammettere che il mio rapporto con la tecnologia, già di per sé molto tormentato, è diventato negli ultimi tempi, se possibile, ancora più turbolento.
più passano gli anni, per esempio, e più mi costa un'enorme e per certi versi inspiegabile fatica avere a che fare con una moltitudine di account , visto che ormai non si può fare davvero più un passo senza essere costretti ad aprirne uno da qualche parte, e dovermi destreggiare nel diabolico marasma delle credenziali d'accesso. insomma trovo sempre più stressante dovermi ricordare  username e password, inserirli, inserirli nuovamente perché quelli che ho inserito non sono corretti, dover aggiornare la password perché mancano una cifra una maiuscola e un carattere speciale, attendere e inserire il codice a sei cifre che mi arriva via sms, inquadrare un qr code di conferma che rimanda a una pagina dove posso inserire il pin generato attraverso la chiave crittografica già in mio possesso, rispondere correttamente alla domanda di controllo (oddio, qual era il nome del cane di mia nonna quand'era nubile? e loro come diavolo fanno a saperlo? gliel'ho davvero detto io?), e infine cliccare con mano tremante e timorosa di vanificare tutto con un ultimo fatale errore le immagini che contengono un semaforo, chiedendomi sempre con angoscia se il palo che lo sorregge ne faccia parte e vada cliccato oppure no, e insomma tutto questo inutile stress poi solo per poter accedere alla tessera a punti della panetteria sotto casa. mi presto ad ognuno di questi faticosi passaggi con un odio crescente misto ad un rassegnato avvilimento, trovo macchinosa e snervante tutta questa supposta sicurezza informatica, e non riesco proprio a non essere maledettamente sospettoso: non autorizzo mai un bel niente e fuggo sgusciando come un pesce a cookies, tracciamenti e tentativi di profilazione.
come se non bastasse i miei due fidati computer, 20 e 12 anni (come crescono in fretta), stanno lentamente oltrepassando la sottile linea che li separa dall'obsolescenza (ok, d'accordo, ve lo concedo, sono due vetusti catorci e quella soglia l'hanno oltrepassata già da un bel pezzo), sono ostinatamente impermeabili a qualsiasi possibilità di aggiornamento, e proprio come me non riescono più a stare al passo con i tempi. così quello che mi scoccia non è doverne comprare uno nuovo, quanto essere già consapevole che con uno nuovo non potrò fare le cose che ero abituato a fare con quello vecchio, e so già che predicherò e smadonnerò senza ritegno perché non dico i floppy, ma almeno i cd uno li vorrebbe pure poter ascoltare, magari salvarsi gli mp3 da mettere nel proprio ipod, e fare delle compilation alla propria fidanzata, chissà poi se le chiavette usb sono ancora compatibili, e insomma quello che in realtà davvero mi infastidisce è prendere coscienza che il mondo è andato avanti senza aspettarmi (e meno male, visto che a pensarci bene sono rimasto fermo), visto che i miei bisogni e i miei comportamenti tecnologici non hanno subito alcuna evoluzione negli ultimi due decenni, per pigrizia e incapacità di adattamento, e la scusa che non sono un nativo digitale proprio non regge. lo ammetto, merito lo scherno e il pubblico ludibrio proprio come uno che si ostinasse a voler usare i floppy disc.
ecco, non so come sia successo, ero un giovane smanettone, e con il tempo sono diventato solo un vecchio brontolone, e invece mi sarebbe piaciuto essere un vecchio smanettone, e mi fa incazzare essere sempre più sofferente e insofferente, e vedere difficoltà insormontabili dove in realtà ci sono solo opportunità che potrebbero di gran lunga facilitarmi la vita.
ma al di là di queste considerazioni, peraltro non nuove e riproposte ciclicamente su queste pagine, ciò che mi ultimamente mi infastidisce di più è essermi accorto con orrore di avere il malsano impulso di prendere in mano il cellulare per riempire qualsiasi interstizio di esistenza che implichi inattività o attesa. quando mi siedo per pochi minuti sul divano, quando sono in fila in panetteria (con tutta la fatica che ci è voluta per aprire l'account e fare la tessera), quando sono al ristorante e chi è con me va in bagno, perfino quando io stesso sono in bagno e sto pisciando, beh ogni volta ho la tremenda abitudine di tirare fuori di tasca il cellulare, approfittare senza opporre resistenza della perenne disponibilità del suo schermo e della sua connessione, e arrendermi inconsapevole alla sua offerta di facile distrazione dal mondo e dai pensieri, come se l'incombere di quei pochi minuti di possibile noia o pensiero attivo fossero qualcosa di terribilmente insopportabile, da temere ed evitare ad ogni costo.
pure quando al lavoro sono in pausa pranzo e non ho colleghi sotto mano con cui scambiare due chiacchiere, cosa che capita spesso visto che ho orari un po' diversi dagli altri, ecco che salta fuori il telefono, che invade con la sua pervasiva e subdola impertinenza un momento in cui potrei essere più presente a me stesso e fare altre cose, non da ultimo godermi con consapevolezza quello che sto mangiando. che poi, va detto, la maggior parte del tempo che ho in mano il cellulare o gioco a scacchi o guardo le notizie sull'app del televideo (a proposito di bisogni tecnologici rimasti al palo), che sono tutto sommato due attività per nulla riprovevoli, allenare il cervello con un nobile e appassionante gioco e tenersi aggiornato sulle notizie del giorno sono cose sane e giuste, tuttavia quello che mi spaventa è rilevare l'automatica naturalezza del gesto: sto un attimo fermo ed ecco che accendo il cellulare. un capitolo a parte poi merita instagram: da un po' di tempo a questa parte mi capita ogni tanto di sorprendermi a scorrere senza sosta e senza opporre resistenza contenuti che non ho chiesto io di vedere, ma che sono dannatamente appiccicosi e finiscono per tenermi invischiato molto più del necessario: un piccolo gesto verso l'alto del pollice diventa mio malgrado meccanico e inconscio, e si trasforma in una lenta discesa nelle sabbie mobili, un perverso meccanismo che mi fa sentire una mosca in trappola, e quando alla fine con uno strattone del pensiero riesco a liberarmi dalla presa tutta la faccenda mi fa incazzare come non mai, e finisco ogni volta per darmi del cretino per aver sprecato quantità considerevoli di minuti preziosi.
ultimamente mi sono avvicinato, anche se con circospezione e molto tangenzialmente, al mondo, alle storie e alle idee che stanno dietro la pratica della meditazione, e il concetto chiave di consapevolezza mi ha in qualche modo risuonato dentro. così forse la soluzione è fare tesoro di queste idee e provare, nei momenti di inattività e non solo, a riordinare i pensieri, riallinearli al mondo che mi circonda, osservarlo, ascoltare il respiro, guardarmi intorno, sentirmi parte del tutto, essere immerso nel presente e nelle sue sensazioni, senza sentire l'impulso di fuggire o isolarmi in un posticcio e inutile altrove. e fare questo, probabilmente, implica, e presuppone, anche avere più leggerezza e un approccio più rilassato nei confronti delle cose, compresa la tecnologia. f

csxqp: will varley  - "is anyone out there?"

sabato, febbraio 03, 2024


Breve post per affermare l’importanza delle piccole cose, dei legami affettivi, dei ricordi intimi, e condividere un qualcosa di cui rischiavo di perdere memoria, che mia sorella ha fatto riemergere dal nostro passato, e che prontamente mi sono apprestato a far rivivere, in attesa che il suo ritorno permetta di riappropriarci di questo momento, insieme. Parlo di un ricordo degli anni ’90, fatto di rarissime domeniche al ristorante cinese, a pranzo, quando arrivati al dolce si scorreva il menù, e dopo diverse esperienze fatte di scelte azzardate, come la banana o il gelato fritto, l’accortezza ci spingeva ad ordinare quelle che erano fantasiosamente chiamate “more cinesi”, Yen Men nella loro lingua, e che solo adesso, a distanza di oltre due decenni, ho scoperto essere i corbezzoli, ovvero un frutto tutt’ora ignoto ai più e di cui io ancora non conosco origine e provenienza.
Al ristorante (cinese) avevamo scoperto che questa bacca carnosa, immersa in uno sciroppo amaranto dolcissimo, era la prelibatezza di cui non sapevamo di avere bisogno. Ordinate le due canoniche porzioni, aspettavamo con gioia di verificarne la quantità presente in ciascuna ciotola, per poi esultare nell’eventualità ne avessimo ricevute in dono una in più rispetto all’altro. Era un siparietto ricorrente, giocoso e infantile, fonte di sberleffi, balletti, finti pianti e promesse di vendetta. Ci divertivamo con poco, in fondo eravamo bambini, io forse un po' meno vista la differenza d’età, ma fare il cretinetti non è mai stato un problema, almeno per me!
Qualche settimana fa, mangiando dei lychees, che sono un altro frutto asiatico, mia sorella mi ha ricordato le more cinesi, e le scenette a cui davano adito. Così, un po' perché mi piacciono, un po' per crogiolarmi nei ricordi, e fare invidia a lei, che in montagna non le può trovare, sono stato in paolo sarpi, la china town di Milano, per acquistarle. In passato trovarle fra gli scaffali dei mini market non era stato complicato, ma qualcosa che ignoro deve essere successo, perché questa volta ho dovuto girare parecchio per comprarne qualche barattolo. In verità uno poteva anche bastare, ma visto che non sono così egoista e malvagio, ne ho preso qualcuno in più, per poterglielo regalare, soprattutto adesso, che è in programma il suo ritorno in città, dopo oltre due anni di assenza.

Rievocare questo episodio della nostra infanzia, apparentemente sciocco e insignificante, mi permette di ricordare quanto sia stupendo e importante avere una sorella / fratello, avere vicino qualcuno con cui sei cresciuto, che ti conosce profondamente, e su cui fare affidamento. Quanto la complicità, il sostegno e la condivisione derivanti da questo rapporto, che non è solo di sangue, possano costituire nella vita solide fondamenta e certezze. Mi auguro che questa convinzione resisti negli anni e che quello che siamo stati fino ad oggi lo si possa essere anche nel nostro futuro.

Ciao squinqui, anche se siamo lontani, se non ci sentiamo spesso, e non ce lo diciamo mai, ti voglio bene. uki

csxqp: coma cose - “mancarsi”

mercoledì, gennaio 31, 2024

 

 

negli ultimi giorni abbiamo partecipato a due manifestazioni contro l'afd, il partito di estrema destra che qui in germania, soprattutto in alcune regioni, sta prendendo sempre più piede. un paio di settimane fa sono emersi incontri e contatti fra questo partito e alcuni movimenti neonazisti, con annessi piani deliranti per espellere e deportare la popolazione di origine straniera, ed è come se fosse suonato forte e chiaro un campanello d'allarme: la reazione è stata immediata, e le strade di tutto il paese, comprese quelle della città in cui viviamo, si sono riempite di persone estremamente preoccupate dalla piega che stanno prendendo gli eventi.
mi è sembrato davvero incredibile, entusiasmante e quasi commovente, vedere così tanta gente riversarsi fuori, manifestare, scrivere cartelli, sfilare e riempire le piazze con il proprio dissenso: una mobilitazione civile imponente e quantomai preziosa, soprattutto in questo momento storico, che vede buie idee malsane guadagnare consenso un po' dappertutto in europa. la cosa davvero bella, che riempie di speranza, è che non sono state manifestazioni di militanti e antagonisti, ma hanno visto coinvolta la società civile al gran completo: c'erano famiglie, e bambini (niente biscotti per i nazisti! fra le centinaia di cartelli che ho letto questo è uno dei miei preferiti), e anziani (le mitiche nonne contro le destre, immancabili), tutti a sfidare la neve e le temperature glaciali dei giorni scorsi, a camminare uno di fianco all'altro semplicemente per farsi argine, e ribadire un no netto, compatto e colorato in faccia alle più tristi e disastrose idee della storia.
così mi resta sempre l'impressione che i tedeschi abbiano saputo fare i conti con il proprio ingombrante e infame passato, e che siano perfettamente consapevoli che se quel passato è potuto accadere è perché nessuno ha osato dire niente quando era necessario, e che il momento per dire qualcosa è adesso, prima di correre il rischio che la storia si ripeta. non ci posso fare niente, è più forte di me, mi fa sempre uno strano effetto osservare tutto questo, e pensare che noi siamo ancora lì a interrogarci sulla legittimità del saluto romano, che siamo spesso così titubanti a condannare quello stesso passato, che siamo sordi a tutti i campanelli d'allarme, e che quelle idee lì le abbiamo messe al governo, incapaci di renderci conto che il voto di protesta, molto spesso, è un'imperdonabile cazzata. ho l'impressione che con il passare del tempo diventiamo sempre più cialtroni e sempre meno capaci di senso critico. ecco, mi lascia un sapore amaro in bocca, osservare un contrasto così stridente. f

csxqp: woody guthrie - "all you fascists"

venerdì, dicembre 01, 2023

 


la prima volta che ascoltai questo gruppo non avevo ancora vent'anni, e lo intercettai risalendo e discendendo, sulla mia piccola canoa di ascoltatore affamato di musica, le forti correnti delle ispirazioni delle band che più mi piacevano allora. fu una scossa prepotente, una vera e propria folgorazione, e l'elettricità che attraversò allora il mio corpo non se n'è mai andata. chissà perché poi, per l'appunto: la domanda del mio ultimo post aleggia sempre con curiosità sospesa sulle cose che finiscono per appassionarmi.
fatto sta che la simpatia che mi lega alla voce e all'anima di questo gruppo mi ha accompagnato ormai per più di metà della mia vita, ed è passata dal più fervente ed esaustivo collezionismo di qualsiasi album in cui compaia (cd, ovviamente, ma ci sono pure un paio di vinili appesi alle pareti), fino al compilare le voci di wikipedia delle band minori di cui ha fatto parte (sconosciute, va detto, esattamente come la sua band più famosa). sono stato felice di essere riuscito a vederlo dal vivo, in un'estate torrida di promesse di ormai innumerevoli anni fa, barcollante e scompaginato come al solito, e capace con la sua voce impastata e abrasiva di dare anima a una delle band che più ho amato nella mia vita.
la prossima guinness che mi capiterà fra le mani me la scolerò alla tua salute, vecchio folle ubriacone, ribelle senza denti, poeta sgangherato. f

csxqp: the pogues - "sally maclennane"

mercoledì, novembre 29, 2023


Giorni fa un post su instagram mi suggeriva i dieci concerti che per dicembre non mi sarei dovuto perdere. Incuriosito non mi sono fatto pregare e avidamente ho scorso la lista alla ricerca di qualche spunto interessante. Ormai sono fuori dal giro, da troppo tempo non seguo più la scena musicale, e così questa poteva essere l’occasione per conoscere le ultime tendenze, gli artisti emergenti, e tutte quelle meraviglie che si nascondono dietro le quinte, in attesa del successo. Con sorpresa, in mezzo a tanti nomi totalmente sconosciuti, ne ho trovato uno noto, di un gruppo che avevo iniziato ad ascoltare una quindicina di anni fa, e che a quanto pare era ancora in attività, i Sick Tamburo. Nati da una costola, o meglio due, dei Prozac+, ne erano la loro naturale continuazione, artistica e sonora, ma sotto nuove, e per certi versi discutibili, spoglie. Sebbene ne avessi apprezzato il primo album, non riuscivo a farmi piacere il nuovo nome, e tantomeno il modo di presentarsi al pubblico, coperti da un passamontagna, con jeans, gilet e cravattino nero, camicia rossa e converse ai piedi. Li avevo seguiti con passione per tanto tempo, e rivederli sotto questo artificio scenico mi aveva lasciato abbastanza stranito e perplesso. Non ne capivo il senso, e questo aveva portato ad una forma irrazionale di ostracismo e rigetto. Così li persi di vista, con la convinzione, immotivata e arrogante, che non sarebbero durati. E infatti mi sbagliavo, e così eccoli qui, a distanza di anni, con un nuovo disco in uscita, un tour promozionale, e tanti concerti in giro per l’Italia. In verità, come ho scoperto in seguito, non si erano mai fermati, e periodicamente avevano dato alle stampe nuovi lavori, con una casa discografica importante, che aveva creduto e investito in loro, dandogli fiducia, senza l’assillo o la necessità di arrivare al grande pubblico. Sapere che fossero ancora in giro mi ha fatto ripensare al passato. La loro musica mi ha ricordato un periodo della mia vita incerto e entusiasmante, in cui tutto sembrava ancora possibile, dove nessuna strada era stata ancora intrapresa. Stavo ancora cercando il mio posto nel mondo, ero materia informe, da plasmare. Scalpitavo, imprigionato in un limbo, incerto sull’uomo che sarei stato. Vivevo nell’attesa che la crisalide abbandonasse le sicurezze del bozzolo e spiccasse il volo. E così, accompagnato da questi pensieri, riascoltare i Prozac+ è diventata un'esigenza. Ho tirato fuori i cd, i biglietti dei concerti, le foto. Ho cercato i video su youtube e recuperato i testi delle canzoni. Ho frugato nella memoria e ne sono uscite tante storie, che stavo rischiando di dimenticare, e che invece voglio raccontare.

La prima immagine che associo ai Prozac+ è legata ad un’estate di metà anni novanta, la prima da maggiorenne, in vacanza con gli amici in toscana. Noi distesi sulla spiaggia caraibica di Rosignano Solvay, un ambulante ci passa davanti, vende audiocassette pirata. La canzone dell’estate è Acido Acida, così decidiamo di tentare la fortuna e comprare l’album, 5.000 lire, per questo trio di Pordenone, che non conosciamo, ma che spopola alla radio e su MTV. 
Dopo qualche tempo passano per Milano, al Rolling Stone. Non ho amici con cui andare, così vado da solo. Nel frattempo ho recuperato tutti i loro album, conosco i testi a memoria, e trepido nell’attesa del nuovo lavoro. Al concerto conosco, cosa mai successa prima e che mai si ripeterà, tre ragazzi piemontesi, fan sfegatati, con cui condivido la transenna, una birra e tante chiacchiere. Ci diamo appuntamento ad un mese di distanza, sempre qui, per andare insieme alla data di Varese, e poi Torino, e poi chissà. Li raccolgo in stazione centrale, col timore di non sapere bene chi fossero, che mi potessero rubare la macchina, o fare chissà cos’altro. Ma è solo un pensiero, e la tensione si scioglie dopo il primo sorriso. Saliamo sul mio pandino celeste, e nonostante il forte anticipo, ci dirigiamo verso il Nautilus, dove ci sarà il concerto. È talmente presto che riusciamo a sentire le prove. Rannicchiati in un angolo ci mangiamo un panino, mentre aspettiamo l’apertura delle porte. Siamo gli unici, ma a noi non importa, ci preme essere i primi, per correre alla balaustra, e guadagnare la prima fila. Di quella serata conservo un ricordo stupendo, è stato un momento epico, liberatorio, di emancipazione, crescita e gioia. Abbiamo saltato e cantato, pogato e scherzato. Finita l’esibizione c’è stata anche la possibilità di incontrare la band, scambiare due parole, e far firmare le magliette. Rientrati in città ci siamo dati appuntamento alla prossima data, ma la vita non ci ha fatto più incontrare, ognuno perso nei suoi impegni. 
Li sentii suonare nuovamente a Pordenone, dove andai con mia sorella e altri amici della montagna. Nella loro città natale fu una festa. Pogando mi feci male ad una spalla e venni assistito dal personale dell’ambulanza. Anche questi inconvenienti facevano parte del “gioco”, e non ebbi di cui dispiacermi. Nel frattempo mi iscrissi al fan club, ricevendo tessera, autografi e adesivi. Pubblicarono ancora due album, a cui seguirono altrettanti tour, fino allo scioglimento, mai ufficializzato. Il loro addio al palco coincise con il mio periodo post laurea, l’affaccio sul mondo del lavoro, i colloqui infruttuosi, le delusioni amorose. Questa era la nuova realtà con cui confrontarmi. Nonostante i Sick tamburo ne avessero raccolto l’eredità per me era la fine di un’epoca, il superamento dell’adolescenza. Si era chiuso un capitolo, e vivevo nell’attesa che quello nuovo venisse scritto. Era un periodo complesso, di cambiamento, fatto di sfide, fallimenti e piccoli traguardi, e nuova musica stava conquistando spazio nella mia vita.

Adesso, a distanza di quasi vent’anni, sono di nuovo pronto a riabbracciarli, a recuperare il tempo perso. Non so se è un’operazione nostalgia, o se è la passione che torna a farsi viva, ma li sento ancora vicini, capaci di toccare le corde giuste, per farmi riavvicinare, tornare ad un concerto, e tirare fuori dall’armadio la storica maglietta numero 9! I Prozac+ non esistono più, ma continuano a vivere e risuonare nei Sick Tamburo. Con loro ho ritrovato vecchi amici che per inerzia e pigrizia non vedevo da tanto tempo, e riascoltarli non è mai stato tanto bello. y

csxqp: sick tamburo - “un giorno nuovo”