ho sempre sentito la mancanza, a milano, fin dal primo giorno in cui i casi della vita mi hanno portato ad abitarci, di un punto di meditazione. un punto privilegiato dove far scorrere i pensieri, riordinarli, filtrarli, incasinarli, aggiungerne di nuovi. un punto insomma dove si può essere soli davanti a qualcosa, un interlocutore silenzioso e amichevole a cui affidarsi per provare a venire a capo della matassa spesso inestricabile delle emozioni e delle intuizioni. manca il mare, a milano. manca un fiume degno di questo nome. manca la possibilità di un panorama facilmente accessibile. così la meditazione a milano per me non è mai stata un punto preciso ma un'infinità di punti, uniti in tratteggio dal percorso casuale della mia bici vagabonda.
voi avete un vostro punto di meditazione preferito?
a volte mi chiedo se il problema non stia negli occhi, e se le fughe notturne su due ruote non siano che un modo come un altro per dar loro la selvaggia libertà ispiratrice di cui hanno bisogno, e che altrove non trovano. è vero che in corso venezia, in giornate particolarmente limpide, guardando verso piazzale loreto si vedono le montagne, ma è anche vero che una volta infilato il giusto spiraglio fra i palazzi bisogna comunque per forza scavalcare con la vista un enorme cartellone pubblicitario con orologio digitale annesso, e la cosa non dà la dovuta soddisfazione. lo sguardo a milano è condannato ad un perenne inciampare. annaspa e sbatte ostinato contro l'onnipresenza degli edifici, imprigionato come una mosca sotto un bicchiere. meglio inforcare la bici, a tutta velocità. una strada dopo l'altra, cercare nel movimento quello che non c'è nella profondità.
ho sempre amato pensare pedalando.
un paio di settimane fa, grazie all'amicizia con la custode, sono riuscito a entrare in possesso delle chiavi per il terrazzo comune che costituisce il tetto, al nono piano del mio palazzo. è più alto dei palazzi circostanti, e la vista che si gode da lassù è molto piacevole. ok, non è imponente come quella di barcellona dal monjuic, nè pittoresca come quella di praga dal metronomo del parco letna, e nemmeno elettrizzantemente ventosa come quella di lubiana dalla torre del castello. non è da cartolina come quella di firenze dal piazzale michelangelo, nè placidamente morbida come quella di bologna dagli asinelli (come avrete forse intuito, sono un appassionato di viste panoramiche). milano vista dall'alto, dal mio nono piano, non è nulla di tutto questo. ma è affascinante, una volta di più, insospettabilmente. c'è la sensazione, identica a quando vado in bici, di avere la città fra le mie mani. ma allo stesso tempo è una prospettiva diversa dal solito, ampia e tranquilla, per schiarirsi le idee quando serve. c'è uno strano miscuglio di gru e grattacieli all'orizzonte, e su tutto spicca il brillare dorato della madonnina. così nella silenziosa compagnia di antenne e comignoli i pensieri pesanti cominciano a cadere, spinti dalla loro stessa gravità (speriamo non colpiscano in testa qualcuno, là sotto), e quelli troppo leggeri a salire come fumo. restano quelli densi, sinceri, arruffati, urgenti, dubbiosi, sognanti.
quelli che, chissà perchè, a volte faccio fatica a condividere con gli altri.
non so perchè mi piaccia salire lassù. forse perchè è un ottimo posto per tenere in volo i miei astratti e testardi infiniti. forse per avere l'illusione, dall'alto, di riuscire a tenere qualcosa sotto controllo. o forse solo per guardare lontano, almeno letteralmente. f
csxqp: francesco de gregori - "sotto le stelle del messico a trapanar"