tabacchi fc, ovvero tabacchi football club, ovvero tabacchi fancazzisti, ovvero un blog creato da quelli che si ritrovano la sera a giocare a calcetto nel parco tabacchi, quello spicchio di verde fra via tabacchi (appunto) e via giambologna, a Milano. Ovvero un contenitore per metterci tutto quello che ci passa per la testa...

giovedì, marzo 17, 2011





f: scusi, signor eroe.
g: ...
f: ehi, signor eroe?
g: ah dicevi proprio a me allora. ciao. che vuoi?
f: mi perdoni, non volevo disturbarla. è che ho bisogno di parlare con qualcuno di una cosa. lei, credo, è la persona giusta.
g (si avvicina, zoppicando): d'accordo, dimmi tutto. ma non azzardarti più a chiamarmi signor eroe. dammi del tu.
f: certo signor er.. ops, scusa. comunque vengo subito al dunque, se ci riesco. in realtà non so come dirlo senza sembrare offensivo. il problema è che tutto questo garrire di bandiere, tutto questo sventolare di tricolori, tutte queste celebrazioni, beh, mi hanno lasciato un po' inquieto. non so dire bene perché. fino a qualche mese fa ritenevo sacrosanto, doveroso e importante celebrare questa ricorrenza, mi sembrava una cosa molto bella da fare. ora che è appena passato, questo turbinio insistito di bianco rosso e verde, la cosa ecco, non so come dire, mi ha lasciato confuso e perplesso.
g: ho già capito dove vuoi arrivare.
f: (alza le sopracciglia) davvero?
g: si. ho avuto tempo anch'io per pensarci, molto tempo. non fraintendermi, sono molto contento di avere fatto tutto questo. ma a volte mi prende lo sconforto e penso: chi me l'ha fatto fare?
f: che vuoi dire?
g: (si accende un sigaro, con calma) vedi, questo paese può festeggiare molte cose: la bellezza dei suoi paesaggi, i suoi artisti e la sua cultura, le sue esportazioni, il suo mangiare bene, la sua stupenda costituzione. persino la sua nazionale (quando vince). non credo però possa festeggiare la sua unità, senza apparire ipocrita. ecco, ho l'impressione che festeggiare così sia stato un rito vuoto e privo di significato. ha senso parlare di unità, oggi?
f: bella domanda! è proprio questa la questione che mi inquietava. ha molto senso parlare di unità perché un'unità, secondo me, oggi non c'è. è un tema importante. fatta l'italia ci sono ancora da fare gli italiani: il compito è arduo e tuttora in corso. perché a volte mi sembra che qui manchi quasi del tutto una coscienza collettiva, l'idea di essere tutti nella stessa barca, nello stesso paese. le ragioni sono complesse, quasi certamente di natura storica, ma siamo un agglomerato di cittadini singoli, non una collettività. l'orizzonte di ognuno di noi spesso va poco oltre il nostro naso.
g: (soffia via un po' di cenere caduta sul poncho) si, lo penso anch'io. le camice verdi, i colletti bianchi, le camice rosse dovrebbero essere vicini dentro la stessa bandiera. e festeggiare insieme alle tute blu, alle quote rosa, agli immigrati gialli. alle camice nere no, quelle bisognerebbe essere in grado di mandarle a cagare (ride). invece ammantiamo tutto di un denso e soffocante azzurro, pieno di inutili bandierine. come può essere unito un paese che non crede in sè stesso e nel proprio futuro? un paese dove cultura, innovazione, istruzione e lavoro non sono temi urgenti? dove si copre tutto con una coperta sempre più corta, senza più alcuna lungimiranza? (fa una pausa, tira una lunga boccata dal sigaro) chissà se oggi se ne troverebbero mille, di persone lungimiranti (resta un po' sovrappensiero, accarezzandosi la barba). beh, comunque sia, se insulti una persona per 364 giorni è un gesto veramente ipocrita fargli poi un regalo per il suo compleanno, giusto?
f: giusto, si, intendevo proprio questo. mi sembra tutto un po' retorico, credo che passata la festa e l'entusiasmo patriottico domani ritorneremo ognuno a fare i propri interessi, e ad agire come se non esistesse una collettività. perché un senso di collettività ancora non esiste, è tutto ancora da costruire.
g: e ti confesso, tutto ciò mi fa incazzare terribilmente, perché alla fine amo questo paese. vuoi vedere una cosa?
f: si.
g: (si toglie uno stivale, indica un punto del piede): aspromonte, 1862.
f: (si tappa il naso) caspita, una gran brutta ferita.
g: l'ho presa in combattimento. ma non è stata una pallottola borbonica, o austriaca, o francese, o papalina. e nemmeno è stata la pallottola di un esercito dell'altro mondo, anche se è lì che mi ci volevano mandare (ride). è stata una pallottola italiana, appena un anno dopo l'unità. il dolore mi tormenta.
f: mi spiace. non so che dire. però mi viene in mente una domanda: secondo te, per costruire questo famoso senso di collettività di cui stiamo parlando, che cosa ci serve? quali mattoni?
g: (sospira) i tempi sono cambiati ma forse alla fine non così tanto. ho sempre creduto in questa ricetta: allargare i propri confini e sforzarsi di guardare oltre il proprio naso, insistere con i piccoli gesti di pubblica civiltà e promuovere, in tutti i modi, chi li compie. passione civile: l'italia la si deve fare così, o inevitabilmente si muore.
f: hai ragione, è una buona ricetta. buona festa dei 150 anni. salutami anita. e grazie per la chiacchierata.
g: figurati, mi ha fatto piacere. buona festa dei 150 anche a te. f

csxqp: statuto - "è tornato garibaldi"

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