ma c'è un'altra cosa che mi ha fatto molto piacere riscoprire e ritrovare inalterata, ed è questa, che quando su un campo da basket si è in troppi a voler giocare interviene d'ufficio per la formazione delle squadre una regola non scritta e tacitamente condivisa da tutti, una procedura automatica che assegna ad ognuno le stesse opportunità di giocare: un pallone a testa ci si mette in fila e si tira a turno un tiro libero, il primo che lo segna va nella prima squadra, il secondo nella seconda, mentre chi lo sbaglia si rimette in coda per un nuovo tentativo, e così via, ad oltranza, fino ad esaurire le squadre (solitamente tre o quattro) e i posti disponibili. certo, a volte il tutto può andare decisamente per le lunghe, soprattutto quando i partecipanti non brillano per mira e non la metterebbero in una vasca da bagno, ma si tratta in ogni caso di un meraviglioso meccanismo democratico e meritocratico, incredibilmente semplice e profondamente egualitario, che presenta come bonus il pregio non indifferente di formare squadre tendenzialmente molto equilibrate.
ma il bello di questo sistema autogestito è che discrimina solamente chi non vuol giocare: eravamo davvero in tanti sul quel campo, c'erano con me un sacco di cinesi, tantissimi neri, qualche tedesco, qualche turco, qualche sudamericano, e ci siamo tutti lasciati mischiare volentieri da questa lotteria dei tiri liberi. ho apprezzato davvero molto questa integrazione così semplice e spontanea, a maggior ragione in questi tempi così bui in cui il razzismo è un tema ritornato tristemente e prepotentemente alla ribalta. è stato tutto così naturale e immediato che mi ha stupito, quando invece a pensarci bene dovrebbe essere proprio questo stupore a stupirmi. sarebbe davvero bello se il mondo si comportasse come un immenso campo da basket.
poi si potrebbe obiettare che non si può essere ingenui, che un basketballplatz della ricca e cosmopolita aachen non respira le stesse problematiche che aleggiano sopra un playground dei sobborghi di los angeles, di detroit o di minneapolis, e che non bastano certo un pallone e un canestro per estirpare completamente l'intolleranza, erbaccia infestante che si annida dappertutto e le cui radici purtroppo sono spesso maledettamente profonde. obiezione accolta, tuttavia non posso fare a meno di pensare una volta di più come un atteggiamento di chiusura, di odio e paura del diverso (di qualsiasi diverso), sia oggi completamente anacronistico, per nulla lungimirante e in definitiva assurdo: sono convinto che in questi tempi di crisi e sfide globali che esigono risposte condivise e soluzioni collettive (la pandemia ancora in corso, ad esempio, oppure l'ineludibile e purtroppo accantonato problema ambientale) il futuro e la sopravvivenza del genere umano dipendano in misura determinante proprio dalla nostra capacità di sradicare questa erbaccia e tenerla lontana da tutti i giardini possibili.
ben vengano dunque le persone che si mescolano, e questo minuscolo ma concreto e potente esempio di come le cose possano funzionare. mi ha fatto molto piacere farne parte, respirarne l'aria pulita, toccare con mano e avere conferma di quanto possa essere limpidamente semplice la convivenza fra persone diverse. f
csxqp: beans on toast - "on & on"
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