tabacchi fc, ovvero tabacchi football club, ovvero tabacchi fancazzisti, ovvero un blog creato da quelli che si ritrovano la sera a giocare a calcetto nel parco tabacchi, quello spicchio di verde fra via tabacchi (appunto) e via giambologna, a Milano. Ovvero un contenitore per metterci tutto quello che ci passa per la testa...

sabato, febbraio 05, 2022


Periodo di attesa, con la prospettiva, o quantomeno la speranza, che nel futuro ci sarà qualcosa di importante a cui dedicare tempo ed energie. Mi sento come se fossi in panchina, aspettando la chiamata dell’allenatore, l’invito ad entrare in campo, per partecipare al gioco, e dare così un senso alla mia presenza. Sempre più spesso mi rammarico del mio immobilismo, soprattutto in questo periodo, in cui sono libero da obblighi e impegni, dolori e preoccupazioni, perché ho un’opportunità che non durerà in eterno. Sono consapevole che all’orizzonte ci sono delle responsabilità che mi reclamano, e quando sarà il momento dovrò essere pronto e disponibile, ma non è ancora quel giorno, posso ancora permettimi di organizzare (e conoscendomi sperperare) il tempo extra lavorativo, un privilegio raro, che rischio di non saper gestire adeguatamente, offrendo il fianco ai rimpianti.

I ragazzi davano sostanza ai miei fine settimana, organizzavano il tempo, permettendomi una vita confortevole da gregario, perennemente in scia, al riparo. Ma nulla è immutabile, in questi mesi i loro programmi di vita sono cambiati, e di riflesso anche i miei. La nuova realtà con cui mi devo confrontare è l’assenza, un vuoto ma anche una ricchezza, un’arma a doppio taglio, capace di mettermi davanti alle mie croniche mancanze. L’assenza è innanzitutto libertà, mi ha regalato tempo e spazio, per coltivare passioni, seguire ispirazioni e desideri, ma è anche inquietudine, perché mi ha reso consapevole che del tempo spesso non so cosa farmene, e che perlopiù lo sto sprecando futilmente. Inizio a credere che tutto ciò a cui mi sono dedicato finora non è più abbastanza, non è sufficiente a considerare la vita pienamente vissuta. Ci deve essere dell’altro. Uscire in bici, leggere, utilizzare i social, pranzare con i miei, le cene con gli amici, i giri in montagna… è questa la vita che voglio e a cui aspiro? La vita è un progetto da realizzare, va plasmata, e mi sembra di non avere ancora iniziato. Sono una storia ancora da scrivere, un foglio bianco, o quasi, con pochi tratti appena accennati, ai margini, ancora incapaci di far nascere una trama, ma abbastanza decisi da avermi guidato fino a qui.

Ho quarantatré anni, nella migliore delle ipotesi sono arrivato a metà della mia esistenza, in teoria dovrei lasciarmi alle spalle il periodo più glorioso e costruttivo, invece mi sembra di non aver combinato ancora nulla, eterno adolescente in attesa di una svolta. Mi rendo conto che vivo alla giornata, senza un progetto, senza un obiettivo da seguire, senza un sogno da realizzare. Non faccio nulla per cambiare, temporeggio, quasi non fossi in grado di indirizzare la vita, darle uno scopo, e un senso. Ho scelto la via facile, quella dell’attesa, e la cosa a quanto pare mi va bene così. Mi dovrei impegnare di più? Forse, ma non so in cosa, e se anche lo sapessi probabilmente non ne avrei l’energia né la voglia. Qualcosa mi sveglierà dal torpore? Sentirò ancora ardere il cuore? L’entusiasmo di vivere tornerà a pervadere il mio corpo?

Forse guardo troppo a quello che manca, e non capisco la ricchezza di quello che ho. Forse è la mia parte malinconica ed eternamente insoddisfatta a parlare, a soffocare e sminuire quanto costruito in questi anni. Forse è stato un inverno pesante e le pressioni lavorative non mi hanno aiutato a vedere la luce là dove le giornate sono dominate dal buio. Sarà.
Così aspetto, come se fossi in riva al fiume, guardando l’acqua scorrere, nell’attesa che una barca passi e mi carichi a bordo, per dare il via a quello che sarà il mio viaggio, e la mia storia.

clxqp: penguin books - "i know i'm wasting my life but..."

1 Commenti:

Blogger Valentina ha detto...

Mi risuonano molto queste parole. Conosco bene la sensazione dell'attesa di qualcosa di più importante e so altrettanto bene che così facendo perdo l'unica cosa su cui valga la pena concentrarsi: il presente. Probabilmente le aspettative sono state le mie peggiori consigliere, ma soprattutto per il fumo e la confusione che creano tra i pensieri, che invece vorrei fossero più nitidi, e anche più radi (l'overthinking mi ucciderà). Ogni tanto mi chiedo „ma è tutto qui?“, come se mi sentissi destinata a chissà quale destino e non sapessi manco io come mi ritrovo nella vita che vivo (o non vivo). Mi piace dare la colpa alla società: siamo la prima generazione “diversa”, cresciuti in un mondo che, di fatto, non c'è più. E nessuno ci ha detto come dovrebbe essere, ci tocca fare da soli. Poi mi piace dare la colpa alla pandemia, che ha gettato un secchio di apatia viscosa su tutto. E però pare che dobbiamo essere produttivi, coltivare tempo e spazio, altrimenti abbiamo pure i sensi di colpa di sprecarli, che poi non tornano!
In tutto questo però, poi mi ricordo di esercitare sempre la gratitudine: “tutto qui” è in realtà tantissimo, una fortuna immensa, niente affatto scontata o dovuta. Ora sto provando ad aggiungere gocce di consapevolezza, per sentire ogni momento e impedire che scivoli via così (un lavoraccio, ti dirò).

Ecco, tutto questo per dire che se trovi delle risposte, abbi la bontà di condividerle :)

4:26 PM

 

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