tabacchi fc, ovvero tabacchi football club, ovvero tabacchi fancazzisti, ovvero un blog creato da quelli che si ritrovano la sera a giocare a calcetto nel parco tabacchi, quello spicchio di verde fra via tabacchi (appunto) e via giambologna, a Milano. Ovvero un contenitore per metterci tutto quello che ci passa per la testa...

domenica, settembre 17, 2023


È successo, il brutto anatroccolo si è trasformato in cigno, il gregario si è fatto campione. Ma andiamo per ordine. Come sapete ho una passione smisurata per la bicicletta, e per tutto quello che le gira intorno. Mi entusiasma il mezzo, la meccanica, la storia, ma anche le gare, quelle corse a detta di tutti noiosissime, lunghe circa duecento chilometri, dove si pedala per almeno cinque/sei ore, e non succede nulla (sempre a detta dei critici) fino al traguardo. Io invece le seguo con piacere e interesse, in diretta, e se il lavoro non me lo permette recupero le tappe in streaming, sul web. I miei amici non ne comprendono la bellezza, e ogni volta scuotono la testa, ma a me piacciono, veramente, e così non mi perdo una gara, anche a costo di mancare qualche uscita. Però a differenza di tanti amatori io sono sempre stato un tifoso da divano, e salvo qualche rara eccezione, come le partenze della Milano Sanremo o gli arrivi del Giro d’Italia in città, ho sempre seguito le corse in televisione, anche da bambino, quando le guardavo a casa dei nonni. Ma quest’anno è successo qualcosa di eccezionale. Il programma della stagione ciclistica mi ha riservato una sorpresa unica e irripetibile. Una tappa del Giro a Brusadaz, con arrivo in Val di Zoldo. Probabilmente queste due località non vi dicono niente, ma per me e la mia famiglia rappresentano storia e radici. Sono il luogo da cui veniamo, a cui siamo legati, e a cui ci sentiamo di appartenere. Potete immaginare quindi che emozione e giubilo nell’apprendere la notizia. Quel giorno non sarei potuto mancare, dovevo essere lì, a bordo strada, a seguire i corridori, a vivere il momento. Senza esitare ho chiesto le ferie, cinque giorni da dedicare unicamente a questo evento, e poter così assaporare pienamente l’atmosfera, i preparativi e il post corsa. Dopo settimane di attesa è arrivata la primavera, e il momento di partire. Ho caricato la bici in macchina e via, direzione Zoldo, fra le montagne, per godermi il tappone dolomitico, la gara che sarebbe passata per quel minuscolo paesino alpino dove erano nati i miei nonni, e dove era tornata a vivere mia sorella. Brusadaz era in fermento, la strada tappezzata di nastri, coccarde e bandierine. Ad ogni curva, e in ogni giardino, era stata esposta una bici, vera o stilizzata, in ferro battuto o cartapesta. La chiesa era stata decorata con dei tendaggi, rosa naturalmente, e l’asfalto era stato coperto con scritte di benvenuto e incoraggiamento. Nell’unica piazza esistente, poco più di un incrocio stradale, era stato creato uno spazio ristoro, una decina di tavoli e relative panche per una piccola festa tra i locali, per ingannare l’attesa e vivere con un po' di convivialità l’evento. Io invece, salutati gli astanti, mi ero appostato davanti a casa, con un amico, che a piedi mi aveva raggiunto dal fondovalle. Si, proprio a piedi, perché dalla sera prima tutte le strade erano state chiuse, e si poteva raggiungere il percorso solo camminando o in bicicletta. La giornata era splendida, soleggiata, così come non se ne vedevano da settimane. In lontananza si sentiva il vociare della folla, la musica a tutto volume, il fumo delle grigliate degli appassionati. Prima dei corridori sono transitate le moto, le forze dell’ordine, le auto dell’organizzazione, i giornalisti, insomma quella che in gergo viene definita la carovana, ossia quel marasma di persone che fa si che un grande giro funzioni e possa essere visto e raccontato. E poi ho sentito l’elicottero, l'inconfondibile segnale che la corsa si stava avvicinando, perché da li arrivano le immagini per la tv, e infatti ecco sbucare da un tornante i primi ciclisti, i due principali contendenti, e un gregario, che apriva la strada, dettando il ritmo. Mi sono passati davanti, senza che io riuscissi a fare nulla di tutto quello che mi ero immaginato. Niente video, foto, incoraggiamenti e folli corse. Ero immobilizzato dall’emozione, ma riconoscendo il gregario ho abbozzato comunque uno scatto. L’avevo visto tante volte in televisione, sempre davanti ad aiutare il capitano nelle salite più dure, a gestire la corsa, mettere in fila il gruppo, come oggi. Lo ammiro, per la classe, il carattere, il temperamento, lo spirito di sacrificio, per l'essere sempre a disposizione, mai una parola o un atteggiamento fuori posto, sempre al servizio della squadra. Qualche ora prima ne avevo parlato anche ad una giornalista americana, sua connazionale, che si era fermata li per vedere da vicino la tappa. E così non posso che incitare lui, anche se non vincerà, anche se fra qualche chilometro, completato il suo lavoro, si farà da parte, e quindi forza Sepp, vai vai vai…
È stato un attimo. A poco a poco sono passati tutti, la maggior parte esausti, sfiancati dai tanti chilometri di salita, con lo sguardo di chi ti vorrebbe chiedere se manca ancora molto al traguardo. In verità di li a poco sarebbe iniziata la discesa, e la fine della loro pena.

Gli amanti del ciclismo, siano essi giornalisti o tifosi, appassionati o scrittori, hanno sempre avuto uno sguardo benevolo e una buona parola per i gregari, per il duro lavoro che svolgono, sempre dietro i riflettori, e per il contributo importante che danno alla squadra, ai capitani, permettendo spesso loro di raggiungere grandi traguardi. E così io, li ammiro e li rispetto, per la loro dedizione, l’abnegazione, il darsi completamente affinché altri possano alzare vittoriosi le braccia al traguardo, sui campi elisi a Parigi o in qualsiasi altra corsa. E in questi ultimi anni ho visto spesso lì davanti, nelle salite, ad aiutare il proprio capitano di turno, un giovane americano, che risponde al nome di Sepp Kuss. Un ciclista esile ma infaticabile, un professionista serio e sorridente, uno dei pochi capace di correre, da protagonista, tutte e tre le grandi corse a tappe di cui si compone il calendario ciclistico. Dopo essersi dimostrato una pedina fondamentale per far vincere alla squadra sia il giro che il tour, quest’anno la sua stagione si è conclusa con la vuelta, la corsa spagnola che di fatto chiude a settembre il trittico delle gare su strada da tre settimane. Anche qui il suo ruolo era scritto, assecondare le esigenze del team per supportare i capitani. Ma questa volta la strada ha voluto regalarci una nuova storia. La squadra gli ha permesso un giorno di libertà, giorno in cui è andato a vincere tappa e maglia. Non la sua prima vittoria, ma di certo la più importante. Vederlo sul podio, vestire la maglia del leader, è stato bello, giusto, meritato. Ho gioito, come tutti coloro che amano questo sport. E mi sono commosso, nel vederlo emozionato e impreparato, catapultato in un ruolo che non gli era mai spettato, quello del protagonista. Pochi credevano potesse mantenere il primato fino alla fine, e anche la squadra non immaginava che sarebbe potuto accadere. Ma come sempre aveva fatto in ogni salita, giorno per giorno ha stretto i denti, rintuzzato gli attacchi, anche dei suoi capitani, forse non troppo propensi a voler lasciare la vittoria al primo dei loro gregari. Ma alla fine Sepp, the durango kid, ha resistito, vincendo il suo primo grande tour, ritagliandosi così con merito un posto nella storia. È stata una vittoria entusiasmante, inaspettata, che ha appassionato gli animi dei tifosi idealisti e sognatori, come il sottoscritto. È stata il legittimo premio per chi ha sempre fatto il suo lavoro con impegno e dedizione, senza mai un gesto o una parola di troppo. Una vittoria che da un lato conferma tutto il talento di Sepp, e dall’altro restituisce un pò di romanticismo e giustizia anche a questo sport.

È successo, una nuova favola è stata scritta. y

csxqp: queen - “bicycle race”

1 Commenti:

Blogger tabacchi fc ha detto...

quando ero ragazzo ogni tanto mi piaceva guardare il ciclismo in tv, e sono stato spesso a milano a vedere l'arrivo della tappa finale del giro. mi ricordo quando passò da ivrea, e riconosco nelle tue parole la stessa atmosfera di festa che si respirava allora. fra l'altro qualche anno fa il tour de france è passato proprio da aachen, e nonostante una pioggia battente sono stato contento di esserci per vederlo passare.
anche se ormai ho smesso da tempo di seguire il ciclismo ricordo che da ragazzo il mio corridore preferito era un certo michele coppolillo, perché il mio spirito di contraddizione al mondo aveva bisogno di identificarsi con un ciclista volenteroso ma un po' sfigato, che ce la metteva tutta ma non vinceva mai. era un gregario pure lui infatti, ma a differenza del protagonista del tuo post non è mai riuscito a vincere davvero niente di importante, anzi, per quello che mi ricordo aveva un'insana predilezione per i piazzamenti inutili.
non conoscevo la storia di kuss, e mi fa molto piacere sapere che nel ciclismo di oggi ci sia spazio per i gregari e per le sorprese! f

csxqc: francesco baccini e ladri di biciclette - "sotto questo sole"

2:58 PM

 

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