tabacchi fc, ovvero tabacchi football club, ovvero tabacchi fancazzisti, ovvero un blog creato da quelli che si ritrovano la sera a giocare a calcetto nel parco tabacchi, quello spicchio di verde fra via tabacchi (appunto) e via giambologna, a Milano. Ovvero un contenitore per metterci tutto quello che ci passa per la testa...

giovedì, maggio 31, 2007


un cazzo di marocchino, un fottuto immigrato clandestino, senza assicurazione… sono queste le parole che mi affollano la mente. Da venerdì non ho pensieri se non per questo, un tamponamento, i vigili, la fuga, l’amara realtà della legislazione italiana. Sei vittima e devi pagare. Chi viola la legge non viene punito se non con una multa (che si intascherà il comune) mentre la parte lesa, cioè io, non avrà nulla, perché l’unica arma a tua disposizione è la denuncia, gli avvocati, il processo, un’incognita che ti può condurre sul lastrico, può distruggere una famiglia, corroderti nell’animo. Questa volta no, abbiamo già dato, un’esperienza è più che sufficiente, 12 anni di processo per veder riconosciuti i nostri legittimi diritti, una traversata del deserto da non ripetere. E poi ti rechi dalla tua assicurazione, e con una sconsolante rassegnazione ti dicono che non c’è molto da fare, i danni sono a tuo carico, e forse sarebbe stato meglio commettere una frode, arrivare a un compromesso, evitare l’intervento della polizia municipale e concludere un accordo col bastardo, magari utilizzando l’assicurazione di un’altra sua automobile. Avrei risparmiato, è vero, ma solo l’idea mi fa vomitare. Se ci piegassimo così all’illegalità dove finiremmo, come potremmo sperare in una società migliore, come potremmo andare a letto sereni, con la coscienza pulita. Lo schifo è uno Stato lascivo, garantista, incapace di tutelarti.
Rassegnato torno a casa coi mezzi pubblici, perché la macchina, aimè, non è utilizzabile, e chi ti trovo? Un gruppo di zingari, che fra la gente che affolla il tram continua a guardarsi intorno, fare aventi e indietro, strusciandosi alla ricerca di un facile bottino. I passeggeri mormorano, inveiscono, si stringono la borsa al petto, controllano le tasche. Nei loro occhi vedo il timore, sono prigionieri della paura. Sono sul punto di esplodere, il bicchiere è colmo, non posso rimanere inerme, sopportare questo spettacolo vergognoso. Fortuna loro scendono.
Ora non ho pensieri, l’unica cosa che veramente rimane è l’orgoglio ferito, che esige vendetta… y*

domenica, maggio 27, 2007




la prima cosa che il capo della curva ci dice appena il pullman parte è ragazzi questa è una partita tesa, chi provoca poi deve anche combattere, chi vedo a fare gesti e poi non è in prima linea le prende dopo da me, il gruppo deve restare compatto, se siamo compatti non le prendiamo, siamo solo in cinquanta e se andiamo giù in cinquanta è per tifare l'olimpia e onorare la maglia e altre cose del genere, in un italiano allentato dalla birra e condito da qualche bestemmia. io e i miei amici ci guardiamo, mi sa che non faremo gesti. la partita in effetti ha tutti gli ingredienti per essere tesa: rivalità storica fra noi e loro, se loro perdono escono, se noi perdiamo ci giochiamo tutto in casa nella gara di spareggio e non è una bella prospettiva visto che di solito queste partite tendiamo a perderle, e vorrebbe dire addio non solo al campionato ma anche al posto in eurolega per l'anno prossimo: insomma la partita è di quelle che valgono una stagione... non male, come presupposto per la prima trasferta della mia vita. che al di là di tutto il fatto che sia proprio a varese le regala un fascino particolare: l'odio verso varese è inferiore solo a quello, assoluto e incontenibile, per i porci canturini. l'attesa dunque è altissima, altro che il milan e la sua finale, per molti di noi la partita, l'unica che conta, è questa.
dopo aver arrancato stancamente nei tornanti in salita che portano a masnago (ma da quando varese è in montagna?), il nostro pullman scortato da svariate volanti, neanche fossimo dei serial killer in libera uscita, arriva finalmente al palaignis e ci deposita proprio all'inizio dei gradini che portano al nostro settore, in modo che il contatto con il mondo circostante il palazzetto sia il più rapido e indolore possibile. entriamo di corsa, sotto gli occhi torvi della polizia: il palaignis è stracolmo, come da copione bordate di fischi accolgono il nostro arrivo, il caldo è infernale... ed eccomi ultrà dell'olimpia, a torso nudo, sciarpa legata alla cintura, in piedi sui seggiolini, ad eseguire coreografie e cantare cori (dopo tre stagioni passate a bordocampo è tutto ancora molto divertente, tranne quando canti lo stesso coro per un quarto d'ora di fila: abbiamo un vasto repertorio, ma a volte i capi della curva attivano inspiegabilmente l'opzione loop). il caldo comincia a farsi insopportabile, per fortuna qualcuno tira dell'acqua, come ai concerti. la partita è bella, nel senso che controlliamo tranquillamente i primi tre quarti con un vantaggio che oscilla sempre intorno ai dieci punti, con grande sicurezza. troppa sicurezza. perchè improvvisamente la nostra amata squadra si ricorda che le parole "olimpia" e "tranquillità" per qualche strano motivo non si riescono a scrivere nella stessa frase, e comincia a perdere qualche pallone, sbagliare qualche tiro, fare qualche cazzata di troppo. se non si complica la vita non è più lei, e se non soffre non si diverte: varese ci mette l'entusiasmo e un parziale di 11-0, e ritorna sotto nell'ultimo quarto, sorpassandoci perfino, a due minuti dalla fine. i porc... e i vaff... si sprecano, la paura per qualche istante si fa palpabile nel nostro settore, il sangue ci si ghiaccia nelle vene e un brivido ci corre lungo la schiena: vabbè che fa un caldo torrido ma insomma, preferivo gli schizzi d'acqua.
il basket è uno sport magnifico. come le donne, è poesia in movimento. perchè il basket è razionalità, centimetri, tecnica, tattica, strategia, abnegazione, forza, statistica. è tutto questo ma quello che in fondo ti colpisce e ti affascina perdutamente è la sua sfuggente inafferrabilità, la sua imprevedibilità, la sua magia. giocando in trasferta, con il pubblico contro e l'inerzia della partita completamente in mano agli avversari l'olimpia impasta cuore e coraggio e decide semplicemente che è l'ora di non sbagliare più niente, tirando chissà come fuori dal cappello una vittoria che sembrava ormai persa. certo varese ci mette del suo sbagliando invece tutto quanto poteva sbagliare, in quegli ultimi due minuti, ma insomma, anche questo fa parte della poesia.
il resto è festa sugli spalti, che dura appena qualche secondo perchè bisogna correre per tornare al pullman, è diluvio che ci attende appena fuori, insieme al cordone della polizia che continua a guardarci storto, è la gente in strada che ci mostra il dito medio mentre noi rispondiamo maledetti avete perso vi brucia (cioè il concetto è questo, le parole ovviamente sono diverse), è il pullman che sulla maledetta salita di prima ci ha lasciato l'anima e la frizione e non può andare a più di dieci all'ora, è il capo che dice bravi ragazzi gruppo compatto mi siete piaciuti, è il sollievo per non aver dovuto menare nessuno, è il pensiero rivolto alla semifinale, è cantare cori per ingannare le quasi tre ore di viaggio che lente ci separano da milano. è l'emozione di una bella trasferta, la prima. f

giovedì, maggio 24, 2007

Vai Pippo,
controlla il pallone,
vola verso l'area,
trafiggi il portiere,
e gioisci...
ancora e ancora!

martedì, maggio 22, 2007

y*

lunedì, maggio 21, 2007




che belli, i ratti. i ratti gli ho scoperti ormai un anno fa, girando su vari siti che parlavano dei mercanti: c'erano sempre anche loro, da qualche parte (e il fatto che fossero associati ai mercanti era già un'ottima garanzia). i ratti sono musica e poesia ad alto voltaggio, in grado ogni volta di fulminarmi, di lasciarmi la scossa dentro e i capelli dritti, attraversandomi dai piedi allo stomaco alla testa passando per forza da cuore (ehi, notevole questa frase!). i ratti li copiai in tutta la loro discografia ad una ragazza che mi piaceva. ascoltali, t'innamorerai, le dissi, provando a suggerirle in questo modo qualcosa. lei effettivamente s'innamorò, in particolare di una canzone. di me no, ma questa è un'altra storia (che tanto sapete già). i ratti non si trovano nei negozi (scordatevi di trovare un loro cd alla lettera r, subito dopo i dodici scaffali dedicati a ramazzotti). i ratti hanno scritto un sacco di canzoni che mi piacciono. ma soprattutto hanno scritto la canzone in cui mi rifugio quando sono triste, perchè riesce a raccontare il senso dei miei insuccessi, e quella che ascolto sempre quando sono felice, perchè riesce a descrivere la pienezza del mio stare bene, e non è poco. i ratti sono magia. ai ratti voglio bene.
forse è per tutto questo, e anche perchè i ratti della sabina vengono dalla sabina (ma va?) e non si fanno vedere tanto spesso da queste parti, che ieri sera verso le nove ho avuto l'impulso irresistibile di prendere la macchina e andare fino a lodi a vedere un loro concerto. da solo, in barba a tutte le persone che ho invitato e non sono venute, per precedenti impegni o per diffidente sufficenza (i ratti di che cosa? ma chi diavolo sono? ma tu musica conosciuta mai? ecc ecc). del resto non li avevo mai visti dal vivo e ci tenevo davvero a farlo. un impresa. un impresa? si perchè in realtà lodi è anche vicina, alla fine in mezz'ora scarsa ci si arriva, ma la mia pigrizia di solito è una zavorra enorme in questo genere di cose (e dire che il concerto chiudeva una rassegna intitolata "scacco matto all'accidia"... per fortuna per una volta non sono stato l'accidioso di sempre!): perchè o c'è qualcuno che mi trascina (e allora girerei in lungo e in largo anche tutta la brianza... ogni riferimento ecc ecc), o niente mi smuove. ed è stato bello lo stesso perchè l'atmosfera in questo genere di concerti è coinvolgente, e non pesa poi molto essere da soli. la gente la conosci sotto il palco, qualcuno ti spintona per caso e allora si, dai, ti butti a pogare, reggi uno striscione, canti a squarciagola ecc ecc (no, questo post non sta puntando al record mondiale di ecc ecc, il fatto è che so già che verrà lungo e non ho voglia di dilungarmi troppo). perchè alla fine un concerto dei ratti è inevitabilmente qualcosa per pochi iniziati. probabilmente non arrivavamo alla tripla cifra, lì sotto il palco, in quell'enorme piazza dominata da una chiesa senza la metà superiore (avete mai visto una chiesa romanica quadrata? no? a lodi c'è). da un lato è bello, perchè quando la musica che ti piace la conoscono in pochi diventa tua in un modo particolare, ti senti parte di qualcosa di molto esclusivo, e diventi quasi il custode di una magia che solo pochi possono capire fino in fondo. dall'altro ovviamente l'unico rovescio della medaglia è che... beh, hai il tuo bel da fare a convincere qualcuno a venire a vederli! ma non importa, l'importante è che si conservino sempre così, lontani dalle insidie dello show business. come i mercanti. come i gang. ne ho bisogno, di questi eroi.
non fossero stati loro probabilmente non mi sarei mai mosso da casa. voi ora direte si va bene f, abbiamo letto tutte queste sbrodolate, ma 'sti ratti che musica fanno? è folk. si, ma è anche rock. quasi punk, a volte. con il violino e la fisarmonica sugli scudi (dai, non storcete il naso, figli di stratocaster che non siete altro!), velocità, allegria, testi davvero ispirati, favole, poesia, utopia... beh, si, è un pò roba da sognatori, la musica dei ratti. mica per tutti. ma se con queste mie parole io vi ho fatto convinzione, e questa un pò assurda recensione vi ha incuriosito, vi copierò qualcosa. chiedete, e vi sarà dato. del resto ho la loro esplicita autorizzazione (scaricateci, masterizzateci e distribuiteci: insomma diffondete il verbo, dicono loro dal palco).
della musica ci si innamora, devo averlo già scritto da qualche parte. davvero: che belli, i ratti. f

giovedì, maggio 17, 2007



L’appuntamento era alle 20.30 davanti all’Alcatraz, ospiti i Bloc Party (e scusate se gli epiteti me li conservo per dopo). Consapevoli della serata siamo arrivati con la giusta calma, in fondo si tratta di un gruppo agli esordi, che presenta il suo secondo album, che in Inghilterra sono un fenomeno che i tabloid apostrofano come coloro che ridefiniranno gli standard del rock ma che da noi nessuno se li fila, e tantomeno li ha sentiti mai nominare. Sta di fatto che chi ha avuto l’acume di sentire il primo album con la dovuta attenzione stasera è qui, perché la qualità è certa e i tempi sono maturi.
Birra, due chiacchiere, una sigaretta e iniziano le prime note, trattasi del gruppo spalla, i famigerati “special guest”, al secolo Biffy Clyro, un’esplosione di energia, un qualcosa a metà fra System of a Down e Audioslave, senza però mai superare quella linea che oltrepassata porta verso il casino sconclusionato. Dopo i doverosi applausi e la loro uscita di scena si capisce che in fondo le notizie girano e chi ha saputo è venuto, il locale è colmo, e nel tripudio generale ecco gli accordi di Song For The Clay, un lento che sale progressivamente, seguito da Positive Tension, la mia preferita. Poi un susseguirsi di grandi canzoni (Banquet, I Still Remember, So Here We Are, Like Eating Glass) che infiammano il pubblico e personalmente mi portano nella bolgia, perché un concerto senza una bella “pogata” non è un vero concerto. Entrando nello specifico posso dire che il suono era pulito, scaletta ben calibrata, coreografia essenziale ma originale. A completare il quadretto grande energia e cura nell’esecuzione delle canzoni, perché c’è differenza fra suonare e fare musica, e chi ai fronzoli preferisce la qualità non può che dare il massimo in questo senso. Dopo quasi un’ora e mezza mozzafiato si giunge all’ultima canzone, Helicopter, degna conclusione di una serata da ricordare. Felice mi riaggrego agli amici, ci sorridiamo, consapevoli. y*
p.s. un consiglio, ascoltatevi “Silent Allarm”.

mercoledì, maggio 09, 2007




venduta. la casa di via bronzino 20, la casa comperata dai miei bisnonni per la bellezza di 65.000 lire nell'anno 1930 VIII, la casa semidistrutta e ricostruita dopo i bombardamenti del '43, la casa in cui mia mamma è cresciuta, la casa in cui mia nonna ha sempre abitato da quando sono al mondo, e la casa in cui io stesso ho abitato nel mio anno da pendolare universitario, l'abbiamo venduta. ormai è definitivo, domani consegnerò le chiavi a un'isterica e non troppo simpatica trentottenne ingegnere microsoft, con un divorzio alle spalle e altri vari problemi, che sicuramente abbatterà molti muri e rivoluzionerà la disposizione delle stanze. va bene così: ora sarà lei a scrivere la storia di quella casa, e noi probabilmente lo faremo di un'altra, più piccola.
svuotare una casa è un lavoro pazzesco: la quantità di oggetti, ricordi, documenti che una casa racchiude, una volta andati oltre la superficie delle cose che normalmente sono esposte, è impressionante. quintali di vestiti, e piatti, e bicchieri, e tazze. e valige di lettere, d'amore e di amicizia, di quando ancora non esistevano le mail, e mobili in pezzi unici, di quando ancora non esisteva l'ikea. e libri, tantissimi libri, e fotografie, tantissime fotografie, e cose di quando mio nonno era nell'esercito, e i dischi di mia mamma da ragazza, e i quadri dipinti da mio bisnonno e da mio zio. e svariate centinaia di oggetti, soprammobili e ricordi, dopositatisi in strati nel tempo. un lavoro difficile, perchè ci sono le cose che hanno un valore affettivo per noi, quelle che se avevano un valore affettivo noi non sappiamo capirlo, quelle che ne hanno uno solamente materiale e vanno vendute, quelle da tenere in un deposito perchè non si sa dove altro metterle, quelle da dare in beneficenza, quelle da regalare agli amici che hanno spazio, che è meglio che le abbiano loro piuttosto che buttarle. a volte non è facile decidere. i vecchi servizi di porcellana si vendono, che non c'è posto. così i tappeti, e il tavolone antico della sala da pranzo. ma alcune pentole possono servire. le foto e le lettere ovviamente si tengono tutte. i libri d'arte li ho venduti. le enciclopedie vanno regalate, che è un peccato buttare via tutto quel sapere. i vecchi libri di testo di quando mia nonna era professoressa? beh, quelli purtroppo si buttano. ma calvino e fenoglio quelli no, li ho tenuti. e sono contento che un pò di mobili siano finiti in teatro, e anche il grosso cane di ceramica che c'era sempre all'ingresso, così almeno lo rivedo. perchè la mia casa già straripava, figuriamoci ora con tutte le cose che abbiamo portato via da quella di mia nonna.
alla fine di tutto questo mi viene male a pensare ai miei figli e ai miei nipoti, se mai ne avrò: quando a loro toccherà di svuotare la mia, di casa, mi malediranno, io che tendo a conservare qualsiasi cosa intersechi anche solo di sfuggita la mia esistenza. f

martedì, maggio 08, 2007




ieri come ieri di tre anni fa mi laureavo, ed era un giorno felice di un periodo molto infelice. era il culmine di un periodo in cui se me ne fosse importato appena un pò di più del mondo, del futuro e di me stesso adesso sicuramente la mia vita sarebbe diversa. sarebbe diversa, ma non posso giurare sul fatto che sarebbe diversa in meglio: non avrei conosciuto le persone che ho conosciuto, e non avrei fatto le cose che ho fatto. ora, probabilmente, non starei scrivendo. sarebbe diversa. mi tengo stretta questa.
domani come domani di due anni fa incontravo per la prima volta una ragazza che sarebbe stata, a suo modo, nel suo piccolo, e suo malgrado, molto importante, ed era un giorno felice di un periodo molto felice. era il culmine di un periodo in cui la mia vita ridefiniva se stessa, nelle persone che conosceva e nelle cose che faceva. il perchè oggi me la tenga stretta passa per forza da qui.
oggi come oggi dell'anno scorso scrivevo il primo post che poi, per vari motivi, avrei deciso di non pubblicare, ed era un giorno infelice di un periodo molto felice. fra altre stupidaggini scrivevo questa: la sfiga è trovarsi al posto sbagliato nel momento giusto, o al posto giusto nel momento sbagliato, o al posto giusto nel momento giusto, e non sapere che cazzo fare. in quel periodo la mia idea di giusto era sbagliata, ma questa è un'altra storia.
oggi come oggi di quest'anno, cioè oggi e basta, è alla fine un piccolo giorno felice di un piccolo periodo felice. e lo sarà ancora di più se la frase scritta sopra non avrà da rinnovare il suo senso. f

venerdì, maggio 04, 2007


Il calcio combina due differenti sforzi nell’atto della difesa e dell’attacco. Il primo – anticipare il pericolo, indietreggiare e proteggere il pallone, marcare, coprire, bloccare, contrastare – è quello del mutuo soccorso nei momenti di crisi e di emergenza, quando si lavora insieme con coraggio e con altruismo.
Il secondo – costruire la complessa e improvvisa rete di passaggi, correre via con il pallone, offrire alternative, dribblare, crossare, tirare – è quello della totale collaborazione all’interno di un processo creativo.
Queste due diverse componenti sono indissolubilmente legate all’interno dello stesso gioco; il gioco oscilla costantemente fra entrambe. Quando tutto funziona, il risultato è una profonda comunione, un’intima amicizia… quello che io definisco lo spirito del calcio. y*

Liberamente tratto da “Fuori area – Racconti UK di rabbia e passione” Tim Pears, ed. Oscar Mondatori, € 7,75.

giovedì, maggio 03, 2007


…“che schifo, un gesto di inciviltà inaudita”. Questo è quanto avreste udito se il 27 Aprile foste stati sull’Eurostar Milano – Venezia delle 18.55. Ma andiamo per ordine. Dopo un periodo di intenso lavoro mi sono permesso di chiedere il ponte del primo maggio, perché c’era la possibilità e come sapete bene ogni lasciata è persa ed è meglio approfittare delle occasioni che ti si presentano piuttosto che rimpiangerle poi. Già mi pregustavo l’arietta fresca di montagna, i verdi prati e il cielo azzurro, qualche ora e avrei lasciato l’afa milanese, lo smog, il traffico e le zanzare che quatte quatte stanno tornando alla ribalta. Per completare il quadretto avevo deciso di prendere il treno, così da evitare ogni tipo di sbattimento, soprattutto in considerazione del possibile esodo di rientro. Il viaggio proseguiva tranquillo, mia sorella mi sedeva di fronte, mentre affianco erano accomodati due ragazzi, una spocchiosa donzella tutto cellulare e moine, e un uomo riservato intento nell’approfondire la lettura del giornale. Quest’ultimo, considerata l’ora, aveva saggiamente deciso di pranzare nel vagone ristorante, o almeno così avevo pensato. Nulla di male, se non fosse che poco dopo il suo allontanamento una ragazza si è avvicinata chiedendo se il posto fosse libero. Io naturalmente ho replicato di no. Questa risposta è stata la mia condanna. Alla fermata successiva la “stronzetta”, poi capirete il perché dell’epiteto, si è ripresentata domandando se il mio amico immaginario era ritornato. Io, perso nei miei pensieri, I-pod alle orecchie, e nella più assoluta buona fede ho risposto che non era ancora tornato, come fosse la cosa più normale del mondo. Solo poi, dopo la sua escandescenza, culminata nella frase “che schifo, il tuo è stato un gesto di inciviltà inaudita” ho avuto modo di soppesare le sue parole e rendermi conto di quanto stesse succedendo. Conclusa la filippica mi ha voltato le spalle e via, senza lasciarmi il diritto di replica. Tempo cinque minuti e il titolare del posto affianco al mio è magicamente riapparso, come nelle più prevedibili candid camera, purtroppo però non c’era nessuna telecamera a riprendere il tutto.
Se scrivo è perché è arrivato il momento della mia invettiva, cara stronzetta. Punto uno, sull’Eurostar si sale solo in possesso di biglietto con prenotazione del posto, cosa che alla luce degli eventi tu non avevi. Punto due, è proprio vero che la madre degli imbecilli è sempre incinta. Chiuderei qui la questione sottolineando da buon misogino quale sono che queste scenate le possono fare solo le donne. y*